STILE JUVE
Al modico costo di € 210,00 (circa 400.000 delle vecchie lire), la Juventus FC vende sul suo sito internet la "maglia n. 10 di Michel Platini Coppa Campioni 1984-85. 100% cotone mako. Taglia unica, riprodotte in numero limitato vidimate dal Vice Presidente della Juventus Roberto Bettega".
Da un successivo controllo del 6 gennaio 2005, ecco la nuova dicitura del sito ufficiale bianconero:
"Campionato 1984-85 Maglia n.10 di Michel Platini Campionato 1984-85. 100% cotone mako. Taglia unica, riprodotte in numero limitato vidimate dal Vice Presidente della Juventus Football Club, Roberto Bettega".
Prezzo: € 150,00"
In pratica da "Coppa dei Campioni", è diventata "campionato".
Buonasera,
in data 20/05/04 due giocatori della Juventus F.C. nel giro della Nazionale maggiore, sigg. Miccoli e Legrottaglie, hanno preso parte ad una serata organizzata dal Juventus Club di Moncalieri (TO), cui ha partecipato anche un mio collega che, a conoscenza della mia dichiarata ed orgogliosa fede romanista, ha chiesto ai due ospiti d'onore di formularmi una dedica. La stessa, scansionata in allegato, lascia basiti per la bassezza dei contenuti e per il fatto che proprio la Juve è sempre stata associata, più o meno giustamente, ad uno "stile" che evidentemente o si è andato perdendo negli anni o alcuni suoi effettivi non hanno affatto recepito. Ora lungi da me aspettarmi scuse o provvedimenti per quanto accaduto, che lede non solo la mia immagine ma quella della tifoseria giallorossa tutta, ma ritenevo giusto che veniste a conoscenza di quanto sopra. Cordiali saluti
Stefano Sciotti

Pur essendo visto e rivisto, 
il primo video è abbstanza forte e sconsigliato per gli impressionabili
La tragedia
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La partita
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Lo stile di Michel Platini
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Lo stile della Juve
(6273 kb)

"Non sapevano, vanno assolti: altrimenti sarebbero stati dei mostri"
(Il direttore del Guerin Sportivo)

"Noi della Juventus sapevamo che all'Heysel c'erano stati dei morti laggiù nel settore Z. A dircelo erano stati i tanti, tantissimi tifosi che erano giunti nello spogliatoio per farsi medicare ...."
(Stefano Tacconi, 1995)
Autore: Francesco Caremani 
Titolo: Le verità  sull'Heysel - Cronaca di una strage annunciata -
Edizioni: Libri di Sport 
Pagine: 150 
Prezzo: € 13 
Note: Recensione di Roberto Beccantini. Introduzione di Andrea Lorentini 
Lo stile della Juventus, di Boniperti e della Uefa
di Francesco Caremani
24/5/2004

Caro Stefano, torno a scrivere sull'Heysel, per l'ultima volta. Lo faccio perché sono stato tirato in ballo personalmente e credo di avere, come minimo, il diritto alla replica. Cercherò d'essere telegrafico, quindi vado per punti.
1) Io ho la mia visione dell'Heysel, ovvio, per tanti e vari motivi. Hanno scritto che io voglio imporre il mio Heysel. No, ho solo risposto a chi voleva farmi accettare il suo e lo voleva far passare per la madre di tutte le verità. Ho notato che dopo l'ultima, sublime, replica di Simone Stenti, maglia di Michel Platini compresa (a casa mia comportamenti come questo hanno un solo nome), nessuno s'è azzardato più a entrare nell'argomento. Ringrazio personalmente Simone, un collega e un amico eccezionale. Ma questo mi fa pensare che è facile e vigliacco prendersela con un Francesco Caremani qualunque, mentre di fronte alle firme si tace e ci si ritira. 
Come sempre, alla fine sul campo restano solo gli uomini veri. Nessuno di coloro che ha cercato di mettermi in difficoltà ha potuto criticare il libro, forse perché quei fatti, tutti, nessuno escluso, sono veramente accaduti. L'unico è stato un tifoso juventino che ha scritto a un altro tifoso juventino, così nessuno avrà da ridire sulla precisione della descrizione, per sottolineare che c'erano delle ripetizioni. È vero, ma ho anche spiegato il perché, per dare più forza a certe argomentazioni. Però, per un lettore, la critica è giusta, vera, idonea, l'unica. L'unica. Triste, invece, che si siano accaniti contro di me a livello personale: livoroso, inacidito, scorretto, comunista...
2) Per chi soffre della sindrome uno, nessuno, centomila, posso dire solo che ho preferito non citare nessuno di coloro, tifosi, che hanno partecipato come parte 
critica al dibattito. Le parole possono fare male e non mi sembrava giusto. Ho 
citato solo il collega Malagutti, lui si può difendere. Se poi c'è chi crede, o vuole 
credere d'essere stato il solo ad aver mosso delle critiche al mio libro, fatti suoi, 
non abbiamo più niente da dirci. Mi rendo anche conto che con gli ultras è 
impossibile discutere seriamente, si è costretti a scendere al loro livello. Io sto con gli sportivi, quale credo di essere e per fortuna ne sto trovando tanti anche tra gli juventini. In un primo momento ho dubitato fortemente e da tifoso della Juventus, a modo mio, ci stavo male. Ringrazio tutti coloro che con questo dibattito hanno fatto pubblicità al mio libro. Non ho mai nascosto l'aspetto commerciale, l'ho scritto sin dal primo intervento. Piano piano, sta nascendo un obiettivo molto più grande, molto più alto. Un dvd e una giornata particolare per il 29 maggio 2005. 
Ricordando che ai familiari delle vittime è stato politicamente impedito di 
commemorare il decennale. Oppure si vuole impedire ancora una volta ai parenti 
delle vittime di commemorare, di ricordare i propri cari? Volete spingervi a tanto, 
siete disposti a tanto per difendere il nome della Juventus, che tristezza... Sarà 
anche vero che io ho le mie teorie, come dice qualcuno, basate su fatti realmente accaduti, e che ho in testa e nel cuore il mio Heysel. Ma sarete d'accordo con me nel dire che è diverso uscire dallo stadio Heysel e dalla curva Z vivi e vegeti insieme ai propri cari, piuttosto che tornare con un figlio o un padre dentro una cassa di zinco, oppure vederseli tornare entrambi in una cassa da morto, com'è accaduto. Avete il coraggio di criticare anche questo, volete giudicare il dolore altrui, decidere cosa è bene per i familiari delle vittime, che hanno combattuto da soli, sempre e comunque. Volete decidere cosa devono sentire gli altri, volete stabilire voi la profondità e la solitudine del lutto altrui? Accomodatevi. Io nel libro ho cercato d'avere rispetto per quel dolore e ancora oggi non so se ci sono riuscito, spero solo di si. La mia fortuna è stata quella di conoscere Otello, allora presidente dell'Associazione tra le famiglie delle vittime di Bruxelles, e la famiglia Lorentini da sempre. Questo mi ha permesso di prendere la sua storia e quella di suo figlio Roberto come esempio per tutte le altre vittime. Non credo che sarei riuscito altrimenti a farlo questo libro, ci sarebbe stato troppo dolore da tirare a galla con forza e in questo non sarei stato capace.
3) Onestamente trovo ridicolo che i più accesi partecipanti al dibattito siano stati coloro che non hanno letto il libro, non lo leggerano e non vogliono parlare 
dell'Heysel. Nessuno li ha costretti, spero, ma non potevano nemmeno pretendere che io rimanessi in silenzio. In democrazia le cose funzionano così, a meno che non si preferiscano i sistemi sudamericani. Ancora più ridicolo, mi perdoni Simone Malagutti, che a questo triste gioco abbia partecipato un collega da me tanto stimato.
4) La Juventus ha tolto il mio libro dalla pagina pubblicitaria della casa editrice su Hurrà Juventus. L'Uefa mi ha negato l'accredito a Euro2004 e molte recensioni 
promesse, nonostante ne abbia avute tante, sono finite nel dimenticatoio. 
Perché?
Perché nessuno di coloro che è intervenuto ha avuto una parola, una, per le 39 
vittime, di cui 32 italiane? Non trovate questo comportamento inumano? I veri 
sportivi hanno accolto il libro con entusiasmo e con grande dignità. Consapevoli 
che non si può rimuovere, come molti hanno cercato di fare, una tragedia del 
genere. Diciamo che ha prevalso lo spirito critico. C'è però una frangia d'irriducibili che non ne vuole sapere, come Giampiero Boniperti. Lo trovo umanamente triste. 
Anche perché da parte di questi non una parola sui morti, solo l'inumana avidità di poter contare due coppe dei Campioni. Presa di posizione che si commenta da sé. Confido, con questo libro, di far riflettere profondamente tutti coloro che amano questo sport, nella speranza che tra qualche anno, anche da noi, ci siano stadi senza barriere e senza violenza. Ho in mente alcune iniziative a questo proposito.
5) Io non vivo di certezze, verità e sicurezze, ma ne ho lette molte nelle righe dei 
miei detrattori. Io vivo di dubbi e da tanti dubbi e dalla voglia di dargli una risposta ho scritto il libro sull'Hesyel, sapendo che non tutti l'avrebbero digerito, ma non 
pensavo che potesse scatenare la reazione dei tifosi juventini, credevo anzi che 
fossero tutti dalla mia parte. Ma c'è una cosa da dire, dove ci sono io non ci sono gli ultras, non mi appartengono e non appartengono al calcio che piace a me.
6) Ringrazio, come ha detto qualcuno, della pubblicità che avete fatto al mio libro. Anzi state dando più forza a tutto quello che si sta muovendo intorno, molto più grande di voi, molto più grande di noi/me.
7) Sto notanto a 360 gradi un'idiosincrasia per le tragedie, soprattutto per quelle 
italiane. All'epoca, per le modalità silenziatorie si paragonò l'Heysel a Ustica, 
Piazza Fontana, ecc. Ancora una volta familiari costretti a fare i conti con muri di gomma insormontabili. Otello Lorentini, però, quel muro è riuscito ad abbatterlo, 
l'ha fatto soprattutto per la memoria di suo figlio, perché non avrebbe saputo cosa raccontare ai suoi nipoti, per sentirsi ancora uomo. Per un figlio l'avremmo fatto tutti. Ma in Italia le tragedie hanno poco seguito ed è abbastanza triste che la piazza partecipi al gioco omertoso dei palazzi, fino al momento in cui non ne è direttamente toccata. Io credo, al di là del mio libro, molto al di là, che il 
giornalismo sportivo dovrebbe tornare a fare inchieste su inchieste e visto quello 
che sta accadendo nel mondo del calcio, spesso sottolineato da Indiscreto, trovo professionalmente imbarazzante che i giornalisti sportivi arrivino sempre dopo la puzza. C'è stato un tempo in cui non era così. Troppi soldi da gestire? Troppi soldi da guadagnare? Paura di rompere il bel giocattolo? Ma voi un giocattolo del genere lo dareste in mano ai vostri figli? Suvvia, siate seri. Ricordare l'Heysel rientra in un meccanismo mentale del genere. È una pagina brutta e sporca che non si vuole ricordare perché in troppi si devono vergognare, al di là dei veri ed unici colpevoli, dalla Juventus di allora ai tifosi pro e contro. Pensate cosa è stato per i parenti delle vittime leggere sui muri di tutta Italia certe frasi, allucinante, non esiste nessun comportamento antisportivo della Juve che possa giusitificare tanta stupidità.
8) La memoria va coltivata. Se in questo caso da fastidio bisognerebbe chiedersi perché con un grande sforzo introspettivo, perché dà tanto fastidio che si parli 
dell'Heysel? Forse perché c'è di mezzo il calcio? Malagutti l'ha detto, la morte 
azzera, cancella tutto, ricordando quella sera non si può parlare di calcio e nelle 
mie parole c'è la condanna, non il livore. Malagutti dimostra di non conoscermi 
come persona e come collega. Pensate veramente che sia tanto sbagliato essere arrabbiati con chi ha cercato di cancellare, far dimenticare, solo per contare una Coppa dei Campioni, solo per continuare a parlare di calcio dopo la morte, eppure la morte azera e cancella, oppure era solo un modo di scrivere e di fare letteratura della morte?
9) Non ne parliamo più, facciamo contenta la Juventus, proni al volere della triade, perdonatemi se non m'inchino.. non mi lego a questa schiera, morrò pecora nera. 
Comunque grazie, avete sdoganato il mio libro da una specie di esilio mediatico, che poi, per fortuna, ha contagiato televisioni e giornali. Adesso rispettando la 
vostra volontà di tacere ci riaccomodiamo nel silenzio, almeno per quanto riguarda Indiscreto, che considero un grande spaccato di tifosi e colleghi attenti, intelligenti e interessati. Questo significa che a prescindere da quello che sarà ulteriormente detto, nel caso il bluff verrà a galla, io non interverrò più su questo argomento.
10) A tal proposito Stefano Olivari in una delle tante mail che ci siamo scambiati mi ha detto che rischiavo di confondere il contenuto col contenitore. Come se 
Indiscreto fosse il coacervo di tutte le critiche al mio libro. No, caro Stefano, come vedi, non confondo, certo è che quando si da' voce a tutti il rischio del calderone è tutto di chi lo gestisce.
11) Infine una piccola parentesi per l'amico Roberto Gotta che mi ha citato in un intervento. Premetto, Gotta è il giornalista italiano che conosce il calcio inglese meglio di chiunque altro.
 In questo mondo di falsi fenomeni lui è uno vero, avete letto Le reti di Wembley? Fatelo è un libro bellissimo. Sa tutto, dalla storia alla sociologia dell'ambiente calcio. Ha criticato una mia citazione rispetto all'episodio, ormai famoso, di Di Canio, che poi gli ha fatto vincere il premio 'Fair Play' della Fifa. Tutto vero e da Gotta accetto la critica. Ma quell'episodio è stato scritto per parlare d'altro, per sottolineare cose più importanti, non vorrei citare il proverbio cinese del dito e della luna, ma nella foga c'è andato vicino.
Francesco Caremani
Le famiglie: siamo stati dimenticati (Il Guerin Sportivo, 1995)


LA VICENDA DEL DELLE ALPI
DI TORINO
Tutto sulla costruzione del Delle Alpi..... direttamente scritto da un ex assessore comunale di Torino. Regalie varie alla Juve, introiti pubblicitari etc etc etc... 
Un po' lunghetto ma per chi ha vogli di approfondire sullo stile Juve...

http://www.antijuve.com

In ordine alla inchiesta sul doping, cliccate qui di seguito per leggere la perizia fatta dal Prof. Giuseppe D'Onofrio per conto del Giudice relativamente ai giocatori della Juventus e quella
del Prof. Eugenio Muller
1980: 
IL CALCIO
SCOMMESSE
come si salvò la Juventus
Servizio/intervista a Carlo Petrini sui fatti di Bologna Juventus # 1
(3069 kb, wmv)
Servizio/intervista a Carlo Petrini sui fatti di Bologna Juventus # 1
(1008 kb, wmv)


DOPING:

Quando alla Juve si faceva uso di sostanze proibite si vinceva ovunque:
secondo la giustizia sportiva i reati sarebbero prescritti
 Tre scudetti macchiati dal doping
Rimessi in discussione i successi degli anni d’oro.
Il Coni: aspettiamo le motivazioni
 di CARLO SANTI  (27 novembre 2004)
ROMA - La sentenza è di primo grado e mancano le motivazioni. Nessuno, tantomeno i vertici del Coni e quelli della Federcalcio, ha voglia di esprimere un giudizio. Esiste, nella giustizia ordinaria, un iter che deve essere rispettato e fino a quando non è concluso nessuno deve essere considerato colpevole. Lo stesso accade con la giustizia sportiva. Mai, allora, lasciarsi andare in dichiarazioni affrettate, soprattutto in un caso così delicato. Al momento, l’unica cosa da fare è prendere atto di questa sentenza del tribunale che scagiona Antonio Giraudo - e quindi la società Juventus - e condanna il medico sociale Riccardo Agricola. E in molti hanno la sensazione che in appello la condanna di un anno e dieci mesi per frode sportiva inflitta al dottore verrà annullata. Quello di ieri è stato il primo tempo di una partita che aspetta di essere giocata fino in fondo. 
Quattro anni di successi sono stati quelli tra il 1994 e il 1998: un periodo davvero dorato. Si contano in questo periodo per la Juventus tre scudetti, una Champions League, una Supercoppa europea, una coppa Intercontinentale, una coppa Italia e due Supercoppe italiane. Su questi trofei pesa l’ombra del doping, sostanze anche “pesanti” come l’eritropoietina che, stando al tribunale, è stata utilizzata. Ma non solo, visto che vennero trovate nella “farmacia Juventus” ben 281 tipi di medicine quasi si fosse non in una squadra di calcio ma in un ospedale. Ed esiste, anche, la possibilità che qualcosa possa cambiare perché il nuovo regolamento antidoping del Coni, quello in vigore dal primo gennaio di quest’anno (approvato con la delibera 482 del 21 ottobre 2003) all’articolo 17 comma 5 è previsto che il termine della prescrizione è di «otto anni dal giorno in cui il fatto si è verificato». Su questo tema si può aprire una discussione perché in precedenza un reato veniva prescritto in cinque anni. Cosa fare allora con gli scudetti vinti dalla Juve? Al di là dei regolamenti, oseremmo dire delle interpretazioni o dei cavilli, c’è una condanna morale che è assai più grave di quelle che possono comminare gli organi di giustizia sportiva. Qui si parla di onore sportivo e non di una pena che può essere diversificata come accade solo nel calcio rispetto agli altri sport. 
Sarà bene ricordare un altro aspetto di questo caso ormai lungo. La Procura Antidoping del Coni - il presidente allora era l’avvocato Ugo Longo, poi diventato presidente della Lazio calcio - nel 1998 ha indagato per due mesi sulla vicenda bianconera portata alla ribalta dalle dichiarazioni di Zeman. Otto settimane di lavoro prima di archiviare tutto non avendo riscontrato irregolarità. Adesso (ma forse già con le ultime fasi del processo torinese) ai vertici del Coni dovrebbe, non senza un po’ di imbarazzo, venire qualche curiosità: ma quell’inchiesta del 1998 è stata fatta bene? Nessuna accusa, forse adesso ci sono elementi che prima non c’erano, ma qualche dubbio c’è. Un dirigente attento e scupoloso qual è Gianni Petrucci non si lascerà sfuggire questa opportunità per fare ulteriore chiarezza, lui che ci tiene a gestire il Coni come una casa di vetro. E’ inquietante che una Procura della Repubblica e un magistrato abbiano scoperto tante irregolarità in tema di doping mentre al Coni un’apposita Procura non ha scovato nulla. Tutto il mondo guarda all’Italia calcistica e la Juve, che è la squadra più famosa, condannata per Epo è una macchia indelebile. Per questo il Foro Italico, una volta avute le motivazioni della sentenza di ieri, dovrà intervenire. 
Ieri la Federcalcio, che alla pari del Coni ha evitato qualsiasi commento in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, ha subito informato la Fifa e l’Uefa ma anche la Wada, ossia l’Agenzia antidoping mondiale. E’ stato lo stesso presidente Carraro a parlare con i responsabili delle federazioni. In ogni caso i dirigenti della Figc ma anche quelli del Coni sostengono che l’aver scagionato l’amministratore delegato della Juventus, Giraudo, ha un significato preciso, ossia quello di una non responsabilità da parte del club.
Quando le facce dicono tutto: Giraudo
Agricola
Le principali tappe del processo alla Juventus
25/7/1998 - Zeman, allenatore della Roma, al raduno della squadra dichiara: «Il calcio deve uscire dalle farmacie».
9/8/1998 - Il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello apre un'inchiesta e convoca il boemo, che viene ascoltato il 12.
14/8/1998 - Alessandro Del Piero apre la lunghissima serie di calciatori interrogati da Guariniello. Il 22 agosto toccherà a Ronaldo. Sentiti anche medici sportivi e allenatori.
24/8/1998 - È l'ora dei dirigenti: il primo testimone è il presidente del Coni Mario Pescante.
29/8/1998 - La Juventus viene formalmente coinvolta nell'inchiesta: sequestrate le cartelle cliniche dei giocatori bianconeri.
4/9/1998 - Guariniello scopre gravissime carenze nel sistema dei controlli antidoping. Fioccheranno le dimissioni.
27/11/98 - Deposizione notturna di Diego Armando Maradona.
29/5/2000 - Ricevuta dai propri consulenti la perizia sull'uso dei farmaci alla Juventus, la procura chiude l' inchiesta: sono indagati l' ad Giraudo e il medico Riccardo Agricola. L' avvocato difensore Vittorio Chiusano: «Non c'è niente».
11/7/2000 - Per una complicata questione di procedura gli atti vengono trasmessi alla Corte Costituzionale. Il processo è sospeso per dieci mesi.
22/5/2001 - La Juventus chiede al gip una super-perizia: negata.
30/5/2001 - Guariniello rinvia a giudizio Agricola e Giraudo.
31/1/2002 - Comincia il processo.
23/5/2002 - In aula Luciano Nizzola, ex presidente di Lega e Figc: «Di doping nel calcio ce n'è poco».
21/7/2003 - Cinque giocatori chiamati in tribunale: sono Del Piero, Birindelli, Tacchinardi, Pessotto e Conte.
19/12/2003 - Testimoniano Baggio, Ravanelli, Peruzzi, Lombardo, Amoruso, Ferrara. Montero si intimidisce e non parla: «C'è troppa gente».
26/1/2004 - In aula Vialli e Zidane.
28/6/2004 - Perizia dell' ematologo Giuseppe D'Onofrio, secondo 
lui la Juve ha usato l'epo.
15/7/2004 - I pm contestano ad Agricola e Giraudo anche l'accusa di epo.
7/10/2004 - Dopo una lite con il giudice Giuseppe Casalbore, l'avvocato difensore Luigi Chiappero abbandona il processo e viene denunciato. Dopo qualche giorno l' incidente si ricompone.
25/10/2004 - I pm chiedono di condannare Agricola a 3 anni e 2 mesi e Giraudo a 2 anni e 1 mese.
18/11/2004 - La difesa invoca l'assoluzione.
26/11/2004 - La sentenza: Agricola condannato a 1 anno e 10 mesi, assolto Giraudo. 
Doping alla Juve: aveva ragione Zeman.
di M. Travaglio (La Repubblica)
Pare passato un secolo, da quel giorno di fine luglio del '98 quando Zdenek Zeman dichiarò all'Espresso che il calcio era finito in farmacia. Gli diedero del pazzo, del calunniatore, del visionario, assicurando che "nel mondo del pallone il doping non esiste". Poi si capì che non lo cercavano, per questo - ufficialmente - non esisteva. E saltò il laboratorio Coni dell'Acqua Acetosa. Ora, per la prima volta nella storia del calcio italiano (e non solo), una società viene condannata per doping. Ed è la più prestigiosa e blasonata d'Europa: la Juventus. Questa, al di là delle analisi e delle sottigliezze sul dispositivo della sentenza emessa stamane dal giudice Giuseppe Casalbore, è la sostanza dell'ultimo atto del processo di primo grado all'amministratore delegato bianconero Antonio Giraudo (assolto) e al capo dello staff medico Riccardo Agricola (condannato). Pienamente confermato il cuore dell'accusa, sostenuta con pazienza e determinazione in questi anni dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello e dai suoi sostituti Sara Panelli e Gianfranco Colace. L'accusa principale intorno a cui sono ruotati questi sei anni di indagini, udienza preliminare e dibattimento era
la frode sportiva mediante "somministrazione sistematica di eritropoietina" (la famigerata e vietatissima Epo) e mediante l'abuso di farmaci su atleti sani. 
Quest'accusa, dislocata alle lettere g), h) e i) del capo d'imputazione, è stata ritenuta fondata dal giudice a carico del dottor Agricola. Sia sul versante della frode sportiva, in base alla legge 401 del 1989 (che punisce chi compie atti fraudolenti per alterare i risultati delle competizioni sportive), sia su quello della somministrazione di farmaci e creatina in maniera pericolosa per la salute degli atleti (articolo 445 del Codice penale). Traduzione: secondo il Tribunale di Torino, la Juventus ha "dopato" i suoi giocatori con l'Epo e altri farmaci, in parte vietati, in parte leciti ma solo per curare patologie (in questo caso inesistenti), nelle stagioni comprese fra il 1994 al 1998. Le prime quattro stagioni dell'era Lippi, sotto la regia della nuova dirigenza Giraudo-Moggi-Bettega, contrassegnate da una messe di successi (una Champions League e tre scudetti). Ora su quei titoli sportivi si pronunceranno i giudici della Federcalcio e dell'Uefa, sempreché la condanna di Agricola "regga" dinanzi alla Corte d'appello, alla quale i difensori hanno già annunciato ricorso. Il giudice Casalbore, smentendo le insinuazioni di alcuni difensori che lo dipingevano come "appiattito" sulle posizioni dei pubblici ministeri, ha emesso un verdetto complesso, che per essere compreso appieno richiederà un'attenta lettura delle motivazioni (arriveranno fra tre mesi). Ma che già emerge con sufficiente chiarezza. Sul doping e sulla conseguente accusa di
mettere a repentaglio la salute dei giocatori, Giraudo viene assolto con la formula del comma 2 dell'articolo 530 del Codice di procedura penale: quella che assorbe la vecchia insufficienza di prove ("quando la prova è contraddittoria o insufficiente"). Nel processo, secondo il Tribunale, non sono emersi elementi bastanti a dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che l'amministratore delegato sapesse quel che faceva Agricola. Fino all'ultimo i pm avevano valutato la possibilità di chiedere l'assoluzione di Giraudo, ma poi avevano optato per una
richiesta di condanna, sia pure più blanda rispetto ad Agricola, sulla base di una "prova logica", indiziaria: visti i costi abnormi dell'Epo, era impensabile che il medico li sostenesse senza avvertire il suo diretto superiore, che stanziava i fondi per i medicinali e firmava i bilanci. 
Per il giudice, tutto questo non basta. Mancano le impronte digitali, cioè documenti o testimonianze che assicurino che Giraudo era d'accordo (nell'arringa, i suoi difensori avevano osservato che, semmai, il medico rispondeva al direttore sportivo Luciano Moggi, non all'amministratore delegato). 
In ogni caso è di Agricola e delle sue pratiche che si è parlato soprattutto in questi tre anni di dibattimento. Non di Giraudo. Insieme alla frode sportiva e alla somministrazione dannosa di farmaci, i due imputati erano accusati anche di falso materiale, per la strana triangolazione di ricette con cui la Juventus - complice il farmacista Rossano - si procurava medicinali a esclusivo uso ospedaliero. Anche questa accusa è stata confermata, ma solo per Rossano (che ha patteggiato 5 mesi), mentre Giraudo è stato assolto con formula piena e
Agricola con formula "dubitativa" (il solito art. 530 comma 2). Un'altra, la creazione di una farmacia abusiva contro la legge 538/92, è caduta in prescrizione. Per le tre imputazioni minori (presunta violazione della legge 626/94 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e presunti test irregolari sull'Aids e sul testosterone sui calciatori), invece, è scattata l'assoluzione piena. 
Tutto questo, per l'avvocato Luigi Chiappero (difensore di Agricola insieme a Emiliana Olivieri), è un "pareggio in trasferta". Metafora infelice, visto che il capo g) per cui Agricola è stato condannato a 1 anno e 10 mesi di reclusione recita testualmente: "...a ver sottoposto i giocatori a metodi doping proibitie  in particolare la somministrazione dispecialità medicinali atte a stimolare l'eritropoiesi quali l'eritropoietina umana ricombinata a pratiche di tipo
trasfusionali, ricorrendone il divieto", il tutto "dal luglio 1994 all'ottobre 1998". Per una sentenza così infamante, forse, è più appropriato il commento di un altro avvocato, Paolo Trofino, che difende Giraudo insieme ad Anna Chiusano: "Abbiamo segnato un bel gol con Giraudo, ma con Agricola abbiamo perso la partita". (26 novembre 2004)
The Times, Inghilterra
LA RECENSIONE AL LIBRO "LA VERITA' SULL'HEYSEL"
Stadio Heysel di Bruxelles, 29 maggio 1985. E’ la finale di Coppa dei Campioni, a contendersela ci sono Juventus e Liverpool. Prima del fischio d’inizio si compie una delle più gravi stragi che il calcio e lo sport abbiano mai conosciuto. La furia ubriaca di un gruppo di hooligans inglese si avventa sui tifosi juventini posizionati nel settore Z dello stadio. 39 i morti, di questi 32 sono italiani. C’è anche un medico aretino di 31 anni, sposato e con due piccoli figli. Il suo nome è Roberto 
Lorentini. Ha affrontato la lunga trasferta in Belgio con il padre Otello. Ma Roberto muore, mentre stava tentando di soccorrere un ferito. Per questo motivo gli verrà conferita la medaglia d’argento al Valor Civile alla memoria dalla residenza della Repubblica Italiana.
Il signor Otello si fa in seguito promotore della creazione dell’«Associazione delle vittime dell’Heysel». Tutto il materiale conservato negli anni con cura certosina dal padre di Roberto è stato trasformato in un libro, grazie alle capaci e sensibili mani di Francesco Caremani, giornalista aretino amico dello stesso Roberto Lorentini, che conduce il lettore alla ricerca delle verità su quella strage.
Leggendo il libro di Caremani non si sa più se piangere o se prendere a pugni il 
libro... tanta è la rabbia! 
Già, perché immergendosi nella lettura si scoprono tutti i retroscena di quella 
strage. Ma, come se non bastasse, si scopre tutto il male che è stato commesso verso quelle 39 vittime negli anni a seguire, attraverso una vergognosa e infamante serie di processi e di scontri, che hanno portato solo ad un responso: dimenticare, dimenticare tutto.

Tutti hanno voluto dimenticare la tragedia e i suoi morti: l’Uefa, il Belgio, la 
Juventus, e la città di Bruxelles, la polizia. Come se nulla fosse successo, 
impedendo spesso la possibilità di commemorazioni. Hanno addirittura cancellato lo stadio, ricostruendolo e cambiandogli nome, nella speranza di eliminare anche il ricordo di quella tragica sera.

La realtà è che nessuno ha mai voglia di parlarne. Come fosse un ricordo 
ingombrante. Ma Francesco Caremani non ha avuto peli sulla lingua. Ha messo 
nero su bianco tutta la verità, nuda e cruda, a volte anche un po’ forte, ma 
certamente una verità onesta.
Il libro è scritto con il cuore. Ed è questa la cosa più importante. O, come ha 
scritto Roberto Beccantini, l’autore della prefazione, è stato scritto «senza astio, senza paura, senza secondi o terzi fini. Pane al pane».

Il libro si apre con le testimonianze di chi c’era, quel giorno e in quel luogo 
d’inferno. Sono testimonianze taglienti, vere, assolutamente e incredibilmente 
autentiche. Incredibilmente, sì, perché tutto sembra così assurdo e impossibile. 
Testimonianze che portano profonde riflessioni a chi legge, che cercano di entrare nel racconto, di incrociare i vari ricordi e provare a immaginarsi quelle scene:  l’insulso odio degli hooligan, i corpi accatastati, l’avanzare degli inglesi che lanciano per aria gli effetti personali dei tifosi esanimi. Uno sfregio alla persona e alla sua dignità. 

E poi la partita, giocata ugualmente nonostante tutti sapessero e tutti 
conoscessero esattamente cosa era successo. Un rigore inesistente, l’agonia 
della premiazione, mentre il sangue è ancora fresco al suolo del settore Z, e poi 
solo la voglia di sparire. Ma le immagini del giro d’onore con la coppa in mano 
sono una scena da brivido, una scena da cancellare dalla storia dello sport, se 
ancora di sport si può definire. E in questo caso proprio non si può. La coppa, 
come ha giustamente scritto qualcuno, doveva essere lanciata verso la tribuna,
verso i dirigenti dell’Uefa che hanno voluto quello stadio e quella vergognosa 
organizzazione. Le famiglie delle vittime ancora oggi chiedono una simbolica 
rinuncia a quella coppa, in modo che risulti, per sempre, «non assegnata». 

Dopo il danno, la beffa. Che inizia a strage non ancora conclusa.
Perché i corpi vennero sezionati come maiali per l’autopsia e non ricuciti? Perché in Italia qualcuno pianse sulla bara di un altro tifoso? Perché gli oggetti personali furono portati via dai cadaveri? Una storia purtroppo di soli 18 anni fa. Non siamo mica nel medioevo. E neanche nella Spagna della Controriforma. Siamo nel XX secolo, nella democratica e civilissima nazione belga, cuore politico della costituenda Unione Europea. Non nella struttura sperduta di un paese del terzo mondo.
L’Associazione fondata da Otello Lorentini ha anche condotto una battaglia legale, si è aperta un’inchiesta, c’è stato un processo, delle inutili sanzioni, degli umilianti risarcimenti. Ma soprattutto c’è stata l’indifferenza e la totale mancanza di rispetto nei confronti di 39 vittime. Che ancora oggi chiedono giustizia. Impossibile chiedere perdono, sicuramente non con queste premesse e non con questo sfondo. 
Tutte queste sensazioni, tutte queste testimonianze sono il sale stesso del libro di Caremani. Un libro – verità che sarà sicuramente scomodo per qualcuno, ma 
necessariamente vero e necessariamente dovuto. Già, proprio dovuto, perché 
questo libro era, ed è, un doveroso omaggio verso quelle 39 vittime. Che se non 
hanno avuto giustizia in un aula di tribunale, hanno comunque il diritto di far sapere a tutti la loro storia. Per avere una giustizia morale, perché la gente sappia e perché le verità non rimangano nascoste, così come molti hanno fatto e  continuano a fare.
Qualcuno, un giorno, ha giustamente scritto che «nessuna persona è morta finché vive nel cuore di chi resta». E se chi resta ha il cuore di Otello Lorentini e la capacità di Francesco Caremani di tradurre questi sentimenti in inchiostro, 
possiamo stare tranquilli. 
Sono certo che Roberto, così come gli altri 38 tifosi del settore Z, rimarranno vivi 
nel cuore di chi leggerà le pagine del libro di Francesco. 
E allora mi piace immaginarli sugli spalti dell’Olimpico il 22 maggio 1996, come se nulla fosse successo, a festeggiare la prima e unica Coppa dei Campioni della storia bianconera. 
Così come dovrebbe essere per una partita di calcio. Perché, come giustamente ci trasmette Andrea Lorentini nella sua bella e intensa presentazione, il calcio è vita.
Non dimentichiamolo, mai.
(In chiostro sportivo - La Stampa web - www.lastampa.it) oltre che l'autore (Andrea Parodi)


L’intervista a Francesco Caremani 

Francesco Caremani si occupa di giornalismo sportivo, di calcio in particolare, sin dal 1994 quando ha iniziato a lavorare per il Corriere di Arezzo, sua città natale. 
Dopo cinque anni di Calcio2000, il mensile di Marino Bartoletti, è uscito dal guscio ed è diventato freelance. Collabora con numerose testate, tra le quali Avvenire, il Riformista, l’Unità, Diario, Guerin sportivo, Controcampo, CalcioGold e Basket&Basket. Grande appassionato di storia, relazioni internazionali, politica e poesia, la sua silloge «Giorni» è stata pubblicata nella raccolta Orizzonti, edita da  Libroitaliano. Sposato con Lucia e padre di Alice, è tornato a vivere ad Arezzo, dopo 5 anni vissuti a San Lazzaro di Savena, Bologna. Ha già pubblicato libri sportivi con la Sagep, Bradipolibri Editore e Libri di Sport Edizioni. 
D:Francesco Caremani, nella premessa al suo libro dice che questo è il libro che non avrebbe mai voluto scrivere, ma contemporaneamente aggiunge che è il libro al quale tiene di più. Può spiegarci questo contrasto?
R: Da un punto di vista umano è un libro che non avrei mai voluto scrivere perché naturalmente non avrei mai voluto assistere a una strage come quella ell’Heysel. 
Ovviamente ci sono precise ragioni umane. Io dovevo essere lì, proprio nel ettore 
Z, con i Lorentini. Ma è un libro al quale tengo moltissimo, proprio per questi motivi umani, che mi legano a Roberto e al suo ricordo.
D: Il libro è nato grazie al fondamentale materiale raccolto negli anni da Otello 
Lorentini. Come è avvenuto questo passaggio?
R: Sì, esattamente. E non finirò mai di ringraziarlo. Un giorno che ne stavamo 
parlando lui scese in tavernetta, aprì un armadio, e tirò fuori degli scatoloni pieni di carta. Sinceramente devo ammettere che rimasi sorpreso. Non avevo idea che potesse conservare tutto quel materiale. Me lo consegnò dicendomi: «Ecco, 
questa è tutta la mia vita». L’ho tenuto per più di due anni. Quest’estate ho scritto il libro isolandomi per diverse settimane da mia moglie e da mia figlia.
D: Lei ha scritto un libro con il cuore, e questo si evince chiaramente leggendolo.  Questo è sicuramente imputato al fatto che conosceva Roberto. Lei crede che uno scrittore estraneo all’evento lo avrebbe scritto diversamente?
R: Si, sicuramente. Ma mi rifaccio a quello che ha scritto Roberto Beccantini, 
autore della prefazione: «è un libro di parte, ma della parte giusta».
D: Quale è stata la reazione di Otello Lorentini al suo libro?
R: Otello ha letto tutto prima di mandarlo in stampa. Glielo dovevo. Non ha avuto 
niente da dire. 
D: Lei nel libro parla dei caroselli di Torino, di Arezzo, come di altre città italiane, che si sono formati subito dopo la partita per festeggiare la conquista della Coppa dei Campioni. Può rilasciare un commento a proposito?
R: (un attimo di pausa) Inaccettabile, ingiustificabile. Non esiste coppa, non esiste calcio quando ci sono 39 morti. Non credo ci sia bisogno di fare ulteriori 
commenti.

L’intervista ad Andrea Lorentini
Andrea Lorentini oggi ha 21 anni, studia Scienze della Comunicazione a Perugia e ha un grande sogno: diventare giornalista sportivo. Nel maggio 1985 aveva 3 anni e mezzo e non ha alcun ricordo del padre Roberto. Ma omaggia il babbo tutte le settimane andandolo a trovare al cimitero di Arezzo. Andrea è stato cresciuto unitamente dal nonno Otello, dalla nonna e dalla mamma, dottoressa ematologa presso l’ospedale di Arezzo. Il nonno Otello gli ha trasmesso l’amore per il calcio, che Andrea ha praticato dall’età di 6 anni e fino ai 19, quando l’Università non gli ha più permesso di proseguire l’eventuale carriera da calciatore. Pane e calcio. 
Queste le materie sulle quali si è formato Andrea, e sulle quali si è formato il 
fratello Stefano, di un anno più giovane, studente di Fisica. Andrea è un ragazzo 
decisamente più intelligente e al di sopra della media dei suoi coetanei. Ci ha 
rilasciato un’intervista per ricordare il padre, per fare un suo commento sul suo 
personale dolore e sulla vita.

D: Andrea, che ricordi hai di tuo padre Roberto?
R: Purtroppo nessuno. Avevo tre anni e mezzo all’epoca. Conosco tutta la sua 
storia. Me l’hanno sempre raccontata. E crescendo mi hanno anche spiegato di 
quel giorno allo stadio Heysel e di cosa è successo dopo.

D: Tu non hai avuto un padre, ma ti ha cresciuto un nonno fantastico…
R: Sì, esattamente. E’ mio nonno, ma è come se fosse il mio babbo. E’, e sarà 
sempre, la mia figura maschile di riferimento. Ma la presenza di mio padre c’è 
sempre, ed è sempre con me.

D: E’ stato difficile per te vivere questa situazione in questi anni?
R: E’ stata una disgrazia immane, ma l’ho superata e l’ho vinta proprio grazie ai 
miei familiari. Non è, e non è mai stata, per me, una spada di Damocle.

D: Andrea, per quale squadra di calcio tifi?
R: Sono tifoso dell’Arezzo. Quest’anno forse riusciamo a passare in serie B. Ma, fra le grandi squadre, sono simpatizzante dell’Inter.

D: Essere simpatizzante dell’Inter è anche, forse, un modo per prendere le 
distanze della Juve?
R: Sì, forse sì. Non lo nascondo.

D: Hai rancore verso la Juventus per quella tragedia?
R: Ho rancore per quei giocatori, alcuni Campioni del Mondo in carica, altri grandi professionisti, che hanno gioito per la vittoria della Coppa dei Campioni (una vittoria che io personalmente, come tanti altri, non riconosco) che hanno compiuto il giro d’onore a strage appena ultimata. Questo sì. E poi ho rancore verso la dichiarazione rilasciata nel dicembre dell’85, quando la Juve vinse la Coppa Intercontinentale e affermò che: «Questa coppa serve per dimenticare la tragedia dell’Heysel». Quella tragedia non si può cancellare con un’altra Coppa.

D: Nemmeno con la Coppa dei Campioni del 1996?
R: No. Quella del 1996 è, per me, la prima Coppa dei Campioni vinta dalla società bianconera. Nient’altro.

D: Tu scrivi una frase molto bella nella tua introduzione al libro: «Il calcio è vita». 
Puoi commentarla?
R: E’ una conclusione che ho fatto praticando calcio. Il calcio riassume i valori 
della vita: lo stare insieme, il socializzare, il rispetto dell’avversario, il divertimento. Ma la cosa più importante è sicuramente il rispetto per l’avversario. Per questo il calcio è vita.
www.lastampa.it



Tratto dal sito
http://www.curvasud.com/images/dopingopoli.jpg 


24 febbraio 2005
SENTENZA JUVE, ECCO LE MOTIVAZIONI:
Il medico somministrava anche l'EPO
TORINO - Trecento pagine che pesano come un macigno. Trecento pagine che dicono senza mezzi termini come e quando nella Juventus si somministravano farmaci - fra cui la famigerata eritropoietina - al solo scopo di migliorare la prestazione sportiva, in barba ad ogni indicazione terapeutica. Trecento pagine per motivare una condanna assolutamente ineludibile e per spiegare come e perché al medico Riccardo Agricola, è stato inflitto lo scorso novembre un anno e 10 mesi di reclusione per frode sportiva e somministrazione di farmaci in modo pericoloso per la salute. Trecento pagine che allargano anche l’ombra delle responsabilità ad altri personaggi della dirigenza bianconera. Che se la sono cavata solo perché nel loro caso non si sono avute prove certe e inequivocabili. 
Le accuse, come noto, erano quelle contestate dal Pm Raffaele Guariniello: somministrazione di sostanze non consentite ai calciatori nel periodo 1994-1998, tra le quali anche l'Epo.
"L'imputato, invero - si legge nelle motivazioni del giudice Giuseppe Casalbore a proposito di Agricola - ha somministrato medicinali non per finalità terapeutiche, bensì al fine di modificare la prestazione agonistica dei calciatori, mettendoli nelle condizioni di poter ottenere risultati agonistici che i calciatori non avrebbero potuto raggiungere con il solo allenamento, con la sola pratica sportiva, e per conseguire tale scopo ha utilizzato farmaci ed altre sostanze, somministrandoli sulla base di indicazioni diverse da quelle autorizzate dal Ministero della Sanità".
Casalbore, riguardo all'attegiamento complessivo di Agricola parla di "curiosità e disponibilità verso tutti i possibili espedienti per ottenere miglioramenti nelle prestazioni dei giocatori". Sull'abuso di creatina, Casalbore parla di "somministrazione ai giocatori in dosi massicce ed esagerate che si è concretizzata da parte dell'imputato nella scelta, avventata e inadeguata, effettuata nel febbraio 1995 di utilizzare quantità incontrollate di creatina acquistata dalla Svezia da somministrare ai giocatori, per giunta sulla base delle incomplete ed incerte conoscenze dell'epoca; nella decisione, adottata l'anno successivo, di concludere un accordo commerciale con lo sponsor Also-Enervit, sostituendo la creatina svedese con quella fornita direttamente dalla Also e contemporaneamente di allacciare a tal riguardo un rapporto di collaborazione con il dottor Enrico Arcelli, consulente della Also e noto come esperto nutrizionista e studioso di creatina".
Sull'esistenza di una vera e propria farmacia nello spogliatorio della Juventus, Casalbore sottolinea che le testimonianza rese "dimostrano in modo chiaro e pacifico che presso i locali in uso alla Juventus era stato predisposto un deposito di farmaci contenuti in un armadio, come se si trattasse di un magazzino o come una sorta di farmacia". Il consulente del pubblico ministero ha rilevato, in verità, che 281 specialità medicinali di vario tipo e natura, quali quelle rinvenute presso la Juventus, costituiscono la normale dotazione di un ospedale di piccole dimensioni. Il magazzino era stato organizzato in modo che il numero di confezioni di ciascun farmaco presente nell'armadio non scendesse mai al di sotto di una determinata quantità, sulla base di preventive indicazioni del dott. Agricola, di modo che quando si verificava che la quantità di una specialità medicinale calasse al di sotto della giacenza minima, per essa stabilita dal responsabile del settore medico della società, il magazziniere Martini provvedeva ad effettuare l'acquisto delle confezioni di tale specialità medicinale necessarie a reintegrare la giacenza di magazzino". Conclude Casalbore che "il dottor Agricola non avrebbe potuto acquistare e detenere presso i locali in uso alla Juventus i medicinali di cui invece disponeva e, di conseguenza, egli non avrebbe potuto provvedere alla somministrazione diretta ai calciatori di tali medicinali. In ogni caso, l'eventuale somministrazione diretta effettuata non avrebbe potuto prescindere dagli obblighi di documentazione per essa previsti". 
"A questo proposito - continua il giudice - si perverrebbe alla paradossale e inammissibile conclusione che, proprio perché presso la Juventus si era riusciti a costituire del tutto illegittimamente un deposito di medicinali, oltretutto in locali privi di qualsiasi autorizzazione sanitaria, si sarebbe potuto procedere alla libera somministrazione di essi ai calciatori da parte dell'imputato senza alcun dovere di documentazione, come rivendicato dal difensore, mentre in capo a tutti i medici che legittimamente dispongono di medicinali perchè operano all'interno di ambienti protetti e strutture appositamente controllate ed autorizzate, incombono specifici obblighi di documentazione, quasi sempre accompagnata pure da altrettanti obblighi di documentazione che ricadono in capo agli infermieri". 
"Nessuna ragione pratica - sentenzia il giudice su alcuni medicinali utilizzati alla Juventus - potrebbe giustificare l'acquisto preventivo di alcuni farmaci tra i quali, ad esempio, il Neoton, il Liposom forte, il Bentelan compresse, ma anche l'Orudis ed il Mepral iniettabili per via endovenosa e altri. Pur a voler valutare gli acquisti nell'ottica della migliore comodità di gestione dei farmaci in vista di un'utilizzazione in via di urgenza per il medico sportivo, ugualmente non può trovare alcuna giustificazione la detenzione di tali medicinali acquistati e detenuti in via preventiva. Si è precisato, ad esempio, che il Liposom forte è stato ritenuto necessario solo per alcuni casi, oltretutto eccezionali, e allora perché non lo si è acquistato di volta in volta, a seconda delle accertate esigenze? Perché detenerlo nell'armadio come se si sapesse già che sarebbe servito, a dispetto della dichiarata eccezionalità dei casi in cui lo si sarebbe utilizzato? Si è sostenuto pure che un prodotto come il Bentelan è da considerare come un farmaco salvavita, ma tale caratteristica certamente non riguarda la specialità del Bentelan compresse che, in quanto tali, non possono salvare la vita a nessuno".
Uno dei punti molto dibattuti nei due anni e mezzo di processo è stata l'assenza di documentazione medica e commerciale. "Si è visto - scrive Casalbore - come in atti rispetto all'acquisto dei farmaci esista solo la documentazione commerciale e contabile e per quanto riguarda la conseguente somministrazione non esista evidentemente neppure quella. La circostanza, già solo dal punto di vista logico e pratico, è parsa immediatamente sospetta e poco convincente, non tanto per sfiducia nelle pur vantate capacità di memoria del dottor Agricola, quanto perché non risponde ai principi di comune logica quello di non documentare in alcun modo, neppure informalmente, le eventuali patologie di tanti giocatori succedutisi nei cinque anni di cui si tratta, i periodi esatti in cui tali patologie si sono manifestate, le rispettive cure praticate, i medicinali somministrati e così via. Se il dottor Agricola avesse avuto un qualsiasi tipo di defaillance, ovvero avesse lasciato la società per altri incarichi, per non ipotizzare impedimenti più gravi, come si sarebbe potuta ricostruire la storia clinica dei calciatori nel periodo di loro permanenza alla Juventus?". Secondo il giudice, però, si evince dalle dichiarazioni di alcuni testi che "esisteva una sia pur informale documentazione dei trattamenti sanitari effettuati ai calciatori (...). Come mai nessuno, in ordine ad un periodo così lungo quale è quello al quale si riferisce la contestazione, ha esibito o prodotto, né nella fase delle indagini preliminari, né nel corso del processo, siffatta documentazione? Come mai si è preferito far credere, contro ogni logica, che tutto fosse affidato alle infallibili doti di memoria del dottor Agricola, e non si è ritenuto invece di poter esibire qualsiasi tipo di documentazione sanitaria esistente, ancorchè composta di soli appunti informali, annotati su varie agende dai medici della squadra? (...). Il fatto che non si sia ritenuto di dover produrre o esibire alcuna documentazione a tal riguardo, convalida il sospetto che da essa sarebbero stati tratti solo elementi a carico dell'imputato e non a suo favore". 
"Non essendovi alcuna ragione per ritenere che i giocatori in esame fossero affetti da particolari patologie da invocare a giustificazione delle avvenute variazioni di emoglobina, i riscontrati aumenti devono essere ricondotti e spiegati solo con la somministrazione di eritropoietina", dice ancora Casalbore nelle motivazioni, facendo riferimento al medico sociale Riccardo Agricola,: "Anche a proposito dell'eritropoietina, al pari degli altri farmaci e sostanze, vi è la prova in atti che l'imputato li ha utilizzati in modo fraudolento al fine di modificare la prestazione agonistica dei giocatori con conseguente alterazione del risultato della competizione sportiva".
Nelle numerose pagine dedicate all'Epo il giudice ripercorre tutta la vicenda processuale della consulenza affidata al perito da lui nominato, Giuseppe d'Onofrio ricordando che "aveva segnalato i casi Conte e Tacchinardi in quanto ritenuti i più rilevanti e significativi, perché dalle risalite rapide e ingiustificate dei valori di emoglobina, emerge un uso che il perito ha definito acuto di eritropoietina". Al di là di questi due casi specifici il giudice osserva anche che "l'indagine del prof. D'Onofrio ha portato a riscontrare anche un uso per così dire cronico di eritropoietina".
Casalbore ricorda poi le accese polemiche che hanno accompagnato la perizia D'Onofrio. "L'approccio della difesa nei riguardi del perito - scrive Casalbore- non è risultato né corretto, né soprattutto in alcun modo fondato e giustificato e tale posizione è sembrata coincidere perfettamente con quella dell'imputato Agricola che si è sempre comportato come se la sua condanna fosse già stata decisa prima del processo". Riguardo poi alla somministrazione di Epo e di altri farmaci, il giudice osserva che anche se materialmente veniva praticata non direttamente da Agricola ma da suoi collaboratori, "ciò non vuol dire che il dott. Agricola non fosse consapevole o non fosse responsabile di quanto avveniva".
6 gennaio 2006 (TGCOM)
http://www.tgcom.mediaset.it/sport/articoli/articolo290723.shtml
"Quale sarà il segreto della Juve dei record? La curiosità di scoprirlo è costata cara a un gruppo di tifosi bianconeri, che giovedì mattina hanno provato a sbirciare dalle fessure i campioni bianconeri, impegnati in un allenamento rigorosamente a porte chiuse. Gli addetti alla sicurezza, dopo aver intimato ai supporter di allontanarsi, hanno perso la pazienza e hanno lanciato gavettoni d'acqua fredda alla cieca. Avrebbero fatto meglio a restare a poltrire nel letto caldo, in attesa di tornare alla routine quotidiana. E invece la passione per la Juve è costata loro una doccia fredda e, probabilmente, un bel raffreddore. I tifosi bianconeri in visita al centro Sisport hanno pagato cara la loro curiosità. Verso le 12.30 di giovedì mattina un piccolo gruppo di loro, tra cui bambini, mamme e papà, hanno sfidato il freddo per vedere Del Piero e compagni allenarsi. Ma la seduta prevista da Capello era a porte chiuse e, così, in attesa di raccogliere un autografo o una foto all'uscita del proprio campione preferito, c'era chi sbirciava dalle fessure e chi si faceva issare sulle spalle dei genitori per dare una rapida occhiata al di là del muro.  Inascoltate le proteste provenienti dall'interno del muro di conta da parte degli addetti alla sicurezza, che, persa la pazienza, sono ricorsi alle maniere forti, senza il minimo preavviso, lanciando gavettoni d'acqua fredda alla cieca. Molti tifosi, colti di sorpresa, nulla hanno potuto per sottrarsi all'imprevista doccia fredda e hanno dovuto abbandonare la Sisport infreddoliti e bagnati per far ritorno a casa".
2006: LE INTERCETTAZIONI
DI MOGGI & CO.
È ufficiale: la Juve di Vialli, Del Piero
e Ravanelli era dopata! 
di Paolo Ziliani
03/06/2007     09:11
Peruzzi; Ferrara, Vierchowod, Torricelli, Pessotto; Conte (Jugovic dal 43'), Paulo Sousa (Di Livio dal 57'), Deschamps; Del Piero, Vialli, Ravanelli (Padovano dal 67'). Allenatore: Lippi. Ricordate questa formazione? È la Juventus che il 22 maggio 1996 vinse la prima e unica Champions League della sua storia (su quella dell'Heysel, meglio stendere un velo pietoso) battendo in finale a Roma, ai calci di rigore, l'Ajax di Van Gaal, Van der Sar, Davids e Litmanen. Giocatore più, giocatore meno, è lo stesso squadrone che dal '94 al '98 - nell'era del "Lippi-1" - sbaragliò il campo in Italia vincendo 3 scudetti su 4: nel 94-95 (il 23°), nel 96-97 (il 24°) e nel 97-98 (il 25°). Ebbene: per chi si fosse perso l'ultima puntata del romanzaccio brutto del Processo-Doping alla Juve retta, già allora, dai signori Moggi, Giraudo e Bettega, con il rampante Lippi in panchina, telenovela che in questi giorni ha visto scrivere, finalmente, la parola FINE, la notizia è: QUELLA JUVE ERA DOPATA. Al di là di ogni ragionevole dubbio, la Corte di Cassazione ha stabilito, nero su bianco, in data 29 maggio 2007, che la Juventus di Lippi e del dottor Agricola, la Juventus del fantastico tridente Del Piero-Vialli-Ravanelli (forse la più bella Juve degli ultimi 20 anni), attuò, dal '94 al '98, "un disegno criminoso per alterare le gare attraverso la somministrazione illecita di farmaci", in pratica dopando i giocatori sia con sostanze proibite, sia somministrando farmaci leciti su atleti sani in modo immotivato. Unico fatto non provato: la somministrazione di eritropoietina (Epo). In pratica, la Corte di Cassazione ha stabilito in via definitiva che la Juventus, nelle persone di Antonio Giraudo, amministratore delegato, e Riccardo Agricola, responsabile dello staff medico, commise in modo continuato, per 4 stagioni, il reato di frode sportiva violando la legge 401 dell' 89. Sentenza definitiva che aggrava quella del Tribunale che come ricorderete aveva condannato solo il medico Agricola assolvendo con formula dubitativa Giraudo. Per la cronaca: grazie all'avvenuta prescrizione del reato - sopraggiunta lo scorso 1 aprile 2007 - la Juve, pur colpevole, non può più essere punita. 
Ma c'è di più. Secondo i giudici della Corte di Cassazione, anche i giocatori (citiamo testualmente) "non possono essere considerati semplici vittime" dell'operato della società. In pratica, è difficile credere - così almeno pensano i giudici - che le pratiche-doping del dottor Agricola, così lunghe, sistematiche e pesanti, siano state portate avanti senza che i giocatori si rendessero conto di quanto stava loro accadendo. E insomma, delle due l'una: o quella Juventus era una squadra di giocatori tonti, al limite dell'insufficienza mentale, che non si accorgevano di essere vittime di spericolati e scriteriati trattamenti medici, da Peruzzi a Vialli, da Ferrara e Paulo Sousa, da Deschamps a Del Piero; oppure l'allegra combriccola dei giocatori juventini, quelli che sfilarono tremebondi in tribunale balbettando tanti "non ricordo", era complice, e consenziente, delle sconsiderate pratiche di Agricola & Company. 
Proprio questa, a nostro avviso, è la novità vera che i giudici della Corte di Cassazione hanno introdotto nelle loro motivazioni. A questo punto, gli sportivi italiani (e perché no?, anche i tifosi juventini) si attendono una netta, precisa e chiara presa di posizione da parte dei campioni bianconeri di allora: Vialli e Del Piero, Ravanelli e Di Livio, Ferrara e Paulo Sousa devono spiegare, appunto, se ai tempi in cui la Juventus li dopava - com'è ormai accertato e stabilito - loro sapevano ed erano consenzienti, oppure no: nel qual caso, sono stati vittime di spericolati trattamenti, cavie di immorali esperimenti, che non avevano alcuna giustificazione medica e che hanno messo a grave repentaglio la loro salute e la loro vita (a proposito: siamo proprio sicuri che tra la gratuita e sistematica somministrazione di anti-depressivi praticata alla Juve e le disavventure capitate, l'estate scorsa, a un ex giocatore, ora dirigente, non ci sia alcun nesso?). Insomma: fossimo in loro, saremmo quantomeno arrabbiati (eufemismo) con i signori Giraudo e Agricola. 
Il sipario che la Corte di Cassazione ha fatto calare sul vergognoso feuilletton ristabilisce, se non altro, alcune verità. La prima è che i 3 scudetti vinti dalla Juventus di Lippi tra il '94 e il '98 sono scudetti fasulli, diremmo anzi disonorevoli, di cui la Juve si dovrebbe vergognare e che dovrebbe restituire; scudetti che restano negli Albi d'Oro solo per prescrizione del reato, ma dai quali qualunque sportivo dotato di un minimo senso morale dovrebbe prendere le distanze (lo stesso dicasi, naturalmente, per la Champions League e la Coppa Intercontinentale vinte dalla Juventus nel 1996: trofei che andrebbero restituiti, con tante scuse, all'Ajax e al River Plate, e cioè ai loro legittimi vincitori morali). La seconda verità è che la Juventus che Umberto Agnelli decise di affidare chiavi in mano, nell'estate del '94, alla leggendaria Triade composta dai gentiluomini Moggi, Giraudo e Bettega, è stata per 12 anni - 12 anni lunghi e bui - la Casa degli Orrori del calcio italiano, il luogo dove venivano perpetrati, messi a punto e realizzati i più orrendi "delitti sportivi" che mente umana abbia mai concepito. Dai giocatori dopati agli arbitri telecomandati, una vergogna senza fine, una vergogna senza limiti, una vergogna che nessuna sentenza di condanna potrà mai cancellare. 
Coraggio! Per 12 anni ci hanno rifilato un polpettone avvelenato. Oggi che i giudici ce lo hanno messo nero su bianco, almeno non facciamo finta di niente...



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