Roma e i Romani nei secoli
 
 


 
«Sì, sono arrivato finalmente in questa capitale del mondo!... Attraverso le Alpi tirolesi son passato quasi di volo... L'ansia di arrivare a Roma era così grande ed aumentava talmente ad ogni istante, che non potevo più star fermo, e a Firenze non mi son trattenuto che tre ore. Eccomi ora a Roma, tranquillo, e, a quanto sembra, acquietato per tutta la vita... Tutti i sogni della mia giovinezza ora li vedo vivi; le prime incisioni di cui mi ricordo (mio padre aveva collocato in un'anticamera le vedute di Roma), ora le vedo nella realtà e tutto ciò che da tempo conoscevo, di quadri e disegni, di rami o di incisioni in legno, di gessi o di sugheri, tutto ora mi sta raccolto innanzi agli occhi, e dovunque io vada, trovo un'antica conoscenza in un mondo forestiero. Tutto è come lo immaginavo e tutto è nuovo. Non c'è che una Roma al mondo ed io mi trovo qui come un pesce nell'acqua e vi nuoto e galleggio come la bollicina galleggia sopra il mercurio, mentre affonderebbe in qualsiasi altro fluido. Non ci deve abbattere il pensiero che la grandezza è passeggera; ma piuttosto, riflettendo che il passato è stato grande, dobbiamo acquistar coraggio per produrre anche noi qualcosa di notevole, che a sua volta, anche quando sarà caduto in rovina, ecciti i posteri a una nobile attività, come non hanno mai mancato di fare i nostri predecessori»
Goethe  

"Il Romano mi sembra superiore, sotto tutti gli aspetti, 
alle altre popolazioni d'Italia.
Ha più forza di carattere, più semplicità e, incomparabilmente, più spirito.
Dategli un Napoleone per venti anni e i Romani saranno sicuramente il primo popolo d'Europa"

Stendhal,  dal "Voyages en Italie", 1826.


Perché si chiama "Roma"
La lupa capitolina
S.P.Q.R.
Storia di Roma antica
Il Colosseo
Gli ultras dell'antica Roma
I bulli del 1800
La nostra città

SANGUE D'ENEA

BREVE STORIA DI ROMA
Narra la leggenda: Rea Silvia, figlia di Numitore, ebbe da Marte, dio della guerra, due gemelli che dovevano essere gettati nel Tevere.
Ma colui che doveva sacrificarli non ebbe cuore di abbandonarli alla corrente, e li depose presso il Ficus Ruminalis, ai piedi del Germalus.

L'acqua del Tevere, ritirandosi poco a poco, lasciò tranquilli i due bambini; essi vennero raccolti dal pastore Faustolo, che li portò alla moglie Acca Larentia.
Prima del rinvenimento di Faustolo, i gemelli ebbero il latte da una lupa, accorsa ai loro vagiti.
Acca Larenzia li allevò e pose loro i nomi di ROMOLO e REMO.

Fatti adulti, essi tracciarono col vomere sacro, cui aggiogarono secondo il rito etrusco un bue e una giovenca, il solco quadrato che doveva designare il circuito delle mura.
Ma vennero a lite, poichè ognuno avrebbe voluto dare il nome alla Città e reggerne le sorti; e nella contesa Romolo uccise il fratello.
La nuova città, fatta di povere e improvvisate capanne, fu fondata il 21 aprile dell'anno 753 a.C. e si chiamò ROMA.
    Fin qui la leggenda, ma è assai probabile che la città sia stata invece costruita da popolazioni del Lazio, come fortezza di confine contro gli Etruschi, e come porto commerciale essendo, tramite il Tevere, collegata col Mediterraneo.
Diversi re succedono a Romolo.
La città, che sul Palatino fu detta Roma Quadrata, andò sempre più allargandosi nella cinta dei Sette Colli: Capitolino, Palatino, Viminale, Esquilino, Celio, Aventino e Quirinale.

Roma, sorta in situazione privilegiata sul fiume e vicina alla costa, domina la via commerciale dall'Etruria alla Campania.
    Nella età repubblicana, Roma è teatro di continue guerre interne ed esterne; le prime tra i nobili e il popolo, le altre con gli Etruschi e, quindi con gli Equi, i Volsci e gli Ernici.
Dopo l'invasione dei Galli, nel 390 a.C., Roma lotta ancora coi Latini e coi Sanniti, più tardi coi Cartaginesi, fino a quando, con la vittoria di Scipione su Cartagine, Roma diviene padrona della parte occidentale del Mediterraneo.

    Con l'accrescersi della sua potenza, Roma si va trasformando da repubblicana in imperiale e Giulio Cesare, con il suo prestigio, ne favorisce il trapasso.
    Ma sarà il nipote Ottaviano che, dopo l'uccisione di Cesare nel 44 a.C., riuscirà a realizzare l'impero.
Salito al trono imperiale col nome di Augusto nel 23 a.C. l'imperatore dà grande incremento all'edilizia e all'arte e contribuisce alla formazione di quelle meravigliose opere marmoree, delle quali gli autori del tempo scrissero con tanto entusiasmo e ammirazione.
    Fu sotto il regno di Augusto che, nell'anno 753 dalla fondazione di Roma, nacque Gesù nella provincia romana della Palestina.
Roma si abbelliva intanto di archi trionfali, di teatri, di monumenti e palazzi.

Nel sec. Il d.C. la città aveva raggiunto l'apice del suo splendore, ma ben presto i barbari giunsero ad assalire da ogni parte l'impero.
    Frattanto il Cristianesimo si divulgava irresistibilmente contro ii paganesimo, e nel 330 Costantino lo costituiva religione di Stato, trasferendo la capitale dell'Impero a Bisanzio, che prese il nome di Costantinopoli.
Un colpo finale ebbe Roma dai Visigoti e dai Vandali, che incendiarono la città saccheggiandola, e lasciandola misera e deserta.
Nello stesso sec. V si affermò una nuova grande potenza, il Papato, che impedi la scomparsa di Roma e costitui la base della grandezza a venire.

    I pontefici Leone il Grande (440-461) e S. Gregorio ne furono i grandi iniziatori; essi fecero edificare chiese, conventi e palazzi, richiamando in vita la città agonizzante.
Con questo riconoscimento dell'autorità pontificia inizia il Medioevo, e si sviluppa la Roma medioevale.
Dovunque sorgono fortezze, bastioni e grandi opere di fortificazione, e le torri di difesa e di offesa, delle quali restano ancora evidenti vestigia. Per le costruzioni vengono adoperati i materiali degli antichi monumenti abbandonati.
    In breve Roma diviene meta di pellegrini provenienti da ogni parte del mondo, fin dal primo giubileo, promosso nell'anno 1300 da Bonifacio VIII; e mentre la Corte Pontificia restituisce alla Città l'antico splendore, i Papi divengono così potenti, da incoronare imperatori, re e feudatari.
    Quando nel 1305 Clemente V, di origine francese, trasferisce ad Avignone la sede del Papato, Roma è ancora una volta colpita, fino a che non appare il suo salvatore nella persona di Gregorio XI, il quale, riportando a Roma la sede del Papato si impadronisce della Città, che torna ad essere il centro di tutto il mondo culturale dell'epoca.
Sotto i grandi pontefici Nicolò V (1447-1455), Giulio II (1503-1513) e Leone X (1513-1521) fiorisce il Rinascimento.
Ma nel 1527 l'esercito di Carlo V, con l'aiuto del contestabile di Borbone, distrugge ed incendia la città.
Passata la nuova bufera, la Chiesa, trionfale nella lotta contro la Riforma, riesce a fare di Roma una città di incomparabile bellezza.

   Il Rinascimento e il susseguente periodo del Barocco imprimono a Roma la fastosa impronta che rende mirabile e suggestivo il volto della Città.
   Dopo l'evento grandioso della rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche, la nuova Repubblica Romana anima il sacrificio dei Garibaldini e dei patrioti, che si coronerà il 20 settembre 1870, con l'unione di Roma all'Italia.
   La crisi tra il nuovo regno e il Papato si risolve poi nel 1929 con il Concordato voluto da Benito Mussolini tra Stato e Chiesa, che conferisce al Pontefice la sovranità sul simbolico Stato della Città del Vaticano.
   Da 260.000 abitanti nel 1870, Roma ne conta oggi circa quattro milioni, e la sua popolazione è in continuo aumento, mentre è sempre costante da ogni parte del mondo l'afflusso di stranieri.


Un passo di San Bernardo di Clairvaux, che scriveva a papa Eugenio III (1145-1153)  suo antico discepolo (De consideratione, IV.2) sulla turbolenza dei Romani. Ecco lo scenario: mentre papa Lucio II, al comando delle milizie a lui fedeli si apprestava ad attaccare il Campidoglio e la fazione senatoriale per ristabilire il controllo sulla città, fu ucciso da una sassata al capo, in seguito alla reazione popolare. San Bernardo ammonisce dunque Eugenio III circa il pericolo costituito dagli abitanti dell'Urbe: «Quid de populo loquar? Populus Romanus est [...] . Quid tam notum saeculis, quam protervia et cervicositas Romanorum? Gens insueta paci, tumultu assueta, gens immiti et intractabilis». Una traduzione potrebbe essere: «Di che popolo parlo? Del popolo romano, famoso per la sfrontata insolenza e caparbietà. Gente non avvezza alla pace, abituata alla ribellione, gente aspra e rude»
(citazione da C. WICKHAM,
Roma medievale. Crisi e stabilità di una città 900-1150, Roma, Viella, 2013 (La Storia. Saggi, 4), p. 38 nt. 31).

Dalle Elegie Romane di Goethe tradotte da Luigi Pirandello.

L'elegia terza si conclude con una sintesi che racchiude, in quattro versi, senza rime ma con tono elegante la storia/il mito della nascita di Roma.
Rea Silvia, il Tevere (Tebro), la LUPA... e la Roma caput mundi.
La frase "una lupa i gemelli nutre, e si chiama Roma la sovrana del mondo" non può non piacere a chi vive Roma e la Roma in una certa maniera.

"Rea Silvia al Tebro s'avvia, la vergin regale,
Per attinger de l'acqua, e la sorprende il Nume.

Così Marte s'avea figliuoli!
Una lupa i gemelli nutre, e si chiama Roma la sovrana del mondo"


"Rhea Silvia wandelt, die fürstliche Jungfrau, der Tiber
    Wasser zu schöpfen, hinab, und sie ergreifet der Gott.
 So erzeugte sich Mars zwei Söhne! – die Zwillinge tränket
  Eine Wölfin, und Rom nennt sich die Fürstin der Welt".



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