ECCO CHI CI FA LA MORALE....
LA SENTENZA DI CONDANNA
DI ROBERTO MARONI
Corte di Cassazione
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 09-02-2004) 09-03-2004, n. 10773
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FULGENZI Renato - Presidente -
Dott. DE ROBERTO Giovanni - Consigliere -
Dott. MARTELLA Ilario - Consigliere -
Dott. COLLA Giorgio - rel. est. Consigliere -
Dott. CONTI Giovanni - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Maroni Roberto, n. a Varese il 15 marzo 1955;
Bossi Umberto n. a Cassano Magnago il 19 settembre 1941;
Borghezio Mario, n. a Torino il 3 novembre 1947;
Capanni Davide Carlo, n. a Brescia il 3 marzo 1967;
Martinelli Piergiorgio, n. a Tavernola Bergamasca il 24 luglio 1945;
Calderoli Roberto, n. a Bergamo il 18 maggio 1956;
nei confronti di:

sentenza della Corte d'appello di Milano in data 10 novembre 2001;
udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giorgio Colla;
udito il Procuratore Generale nella persona del Sostituto Dott. Elisabetta Cesqui che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza;
uditi i difensori avvocati Bianchi per le parti civili; Anetrini, Ghedini, Brigandi', Forchino, Longo e Carena per gli imputati.
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Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. - Con la sentenza in epigrafe, la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma di quella del Pretore della citta' in data 22 luglio 1998, assolveva gli onorevoli Roberto Maroni, Umberto Bossi, Mario Borghezio, Davide Carlo Capanni, Piergiorgio Martinelli e Roberto Calderoli dal reato di oltraggio, perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato a seguito della intervenuta abrogazione dell'art. 341 c.p., e condannava, ritenuta la prevalenza delle gia' concesse attenuanti generiche sulle aggravanti, Bossi alla pena di e quattro mesi di reclusione e gli altri a quella di quattro mesi e venti giorni di reclusione per il reato di resistenza a pubblico ufficiale di cui agli artt. 337 e 339 c.p.p., perche', in concorso materiale e morale tra di loro e con altre persone non identificate, ciascuno di essi rafforzando il proposito criminoso degli altri, e creando le condizioni materiali per la perpetrazione del reato, usavano violenza e minaccia nei confronti degli ufficiali della Polizia di Stato (Digos di Verona e di Milano, Ufficio prevenzione generale di Milano), che stavano procedendo a una perquisizione locale presso la sede del partito politico Lega Nord di Milano, Via Bellerio 41, ordinata dal Procuratore della Repubblica di Verona con decreti 81 - 100 - 101 RG del 17 e 18 settembre 1996.

1.2. - In particolare, la violenza e la minaccia erano consistite, fra l'altro, nello spingere, dare strattoni, calci e pugni agli operanti, da cui derivavano lesioni al commissario Dott. Gianluca Pallauro, all'ispettore Giordano Fanelli, all'ispettore Alfredo Degianpietro, all'ispettore Osvaldo Paolucci, all'ispettore Giovanni Amadu e agli agenti Claudio Casale, Maria Grazia Nuvoloni, Angelo Italiano, Mauro Grassetti, Antonio D'Ippolito, Carlo Bancarella e Pompeo Franciosa. Segnatamente, Umberto Bossi dava violenti strattoni all'ispettore Amadu, strappandogli il giubbino e la giacca d'ordinanza; Carlo Davide Capanni ingaggiava pianerottolo una colluttazione per impedire agli operanti di scendere le scale. Con l'aggravante di avere agito in piu' di cinque persone (fatti commessi in Milano il 18 settembre 1996, e verificatisi allorche' la perquisizione disposta a carico di Corinto Marchini - demandata dal Procuratore della Repubblica di Verona alla locale sezione Digos - veniva estesa a un locale ritenuto (perche' cosi' dichiarato dallo stesso interessato) nella disponibilita' del Marchini presso la sede di Milano del Partito Lega Nord.

1.3. - La Corte confermava anche le statuizioni civili del Pretore che aveva condannato gli imputati a risarcire il danno alle parti civili costituite da liquidarsi in separata sede, con provvisionale nella misura di lire 5 milioni ciascuno.

2. - I fatti erano ricostruiti dalla Corte d'appello come segue, tenuto anche conto delle necessarie integrazioni contenute nella sentenza di primo grado.

2.1. La perquisizione avveniva in modo frazionato nel senso che gli operanti, giunti presso la sede di Via Bellerio 41 la mattina, incontrata la opposizione dei presenti, decidevano di rivolgersi per istruzioni al Procuratore della Repubblica di Verona. Tornavano, quindi, posto nel pomeriggio con il provvedimento integrativo di perquisizione e l'ordine di procedere, trasmesso via telefax, dalla competente Procura di Verona. In loco, si trovavano gli imputati e altri simpatizzanti del partito, oltre che numerosi organi di stampa e della televisione. Dopo una prima contestazione sulla autenticita' del decreto di perquisizione trasmesso da Verona, gli operanti, entrati nell'androne dell'edificio, per eseguire il provvedimento dovettero affrontare e superare un cordone umano formato dagli gli imputati stessi, a eccezione di Bossi e Capanni, e da altri simpatizzanti, postisi innanzi alla scala per impedire la salita degli uomini della Polizia. Superato tale ostacolo, le forze dell'ordine salirono le scale inseguiti e ostacolati dagli astanti. Il percorso per accedere alla stanza del Marchini proseguiva per un corridoio per poi accedere a un'altra rampa, discesa la quale si giungeva a un pianerottolo che conduceva a un corridoio ove era ubicato il locale. Durante tutto questo tragitto la Polizia dovette affrontare l'assembramento di persone che si era formato, accompagnata da un coro di insulti che vedeva promotore il Borghezio. Quindi, durante tutto il tragitto - che, pur non rappresentando il piu' diretto accesso alla stanza del Marchini fu presumibilmente indicato proprio dallo stesso - si verificavano numerosi atti di aggressione fisica e verbale nei confronti dei pubblici ufficiali riconducibili alle persone di Maroni, Bossi e Calderoli, episodi tutti documentati dai filmati televisivi (che erano stati visionati dal Pretore nel corso della istruttoria dibattimentale).

2.2. Il primo vero e proprio episodio di violenza fu quello posto in essere dall'on.le Maroni che, come documentato dai filmati, tento' di impedire la salita della rampa di scale che dava accesso al corridoio di cui si e' detto, bloccando per le gambe gli ispettori Mastrostefano e Amadu (pagg. 13 e 14 della sentenza di primo grado).

2.3. pianerottolo si verificarono (sempre secondo la documentazione filmata RAI) i residui episodi specifici contestati agli imputati: 1) Calderoli spingeva alle spalle un poliziotto e Capanni lo affrontava di fronte; 2) Caparmi con una mano appoggiata alla ringhiera e con l'altra muro si rivolgeva all'ispettore Amadu dicendogli: "Tu non vai da nessuna parte"; 3) Il Dott. Pallauro veniva preso alle spalle e per il collo da Maroni; 4) Martinelli prendeva l'ispettore Amadu per il collo e alle spalle e lo tirava.

2.4. Pervenuti di fronte alla porta del locale da perquisire, gli operanti rinvenivano un cartello cartaceo la cui indicazione dattiloscritta specificava "Segreteria politica - Ufficio on.le Maroni". Il Dott. Pallauro, dopo un ulteriore contatto telefonico con il Procuratore della Repubblica di Verona che dava ordine di portare a termine l'operazione, provvedeva allo sfondamento della porta, operazione che tuttavia era ostacolata violentemente da tutti gli odierni imputati che aggredivano principalmente il Dott. Pallauro e l'ispettore Amadu, il quale veniva stretto fra gli imputati Maroni, Martinelli e Bossi, che lo afferrava dal davanti, mentre il Martinelli lo prendeva alla spalle. Nello scontro Bossi danneggiava sia il giubbotto che la giacca di ordinanza dell'Amadu che veniva preso per i polsi e graffiato. In questa stessa fase le maggiori difficolta' di procedere erano affrontate dal Dottor Pallauro che veniva stretto da Borghezio e Martinelli, il primo dei quali, da dietro, lo prendeva alla spalla con la mano destra, mentre con la sinistra gli prendeva la cravatta tirandola fortemente quasi a soffocarlo. Come affermato nella sentenza, la vicenda vedeva da ultimo l'on.le Maroni subire un malore e venire disteso a terra dall'agente Nuvolone, per poi essere avviato al pronto soccorso ove gli venivano riscontrate lesioni per le quali sporgeva querela.

3. - La Corte d'appello, dopo aver sintetizzato i passaggi fondamentali della sentenza di primo grado e dopo aver richiamato l'esito di un conflitto di attribuzione ex art. 68, comma primo, cost., risolto dalla Corte costituzionale nel senso dell'annullamento delle deliberazioni di insindacabilita' della Camera dei deputati per i fatti di cui e' processo, rilevando che gli insulti e gli atti di resistenza e violenza non sono in alcun modo atti insindacabili per i quali possa valere la prerogativa parlamentare, e dopo aver richiamato altresi' le proprie ordinanze pronunciate in udienza con le quali venivano rigettate le istanze di rinnovazione parziale del dibattimento, di differimento della udienza per legittimo impedimento di Maroni e di Bossi e di invio degli atti alla Camera dei deputati, ai sensi dell'art. 68 Cost., comma secondo, rilevava quanto segue su punti nodali del processo.

3.1. - Le testimonianze degli agenti operanti dovevano ritenersi pienamente attendibili in quanto trovavano un preciso riscontro nella riprese filmate effettuate da vari operatori, mentre correttamente il Pretore aveva ritenuto inattendibili le deposizioni di appartenenti ad organi di stampa diversi, quali i testi Brambilla e Usumai, le cui affermazioni erano evidentemente imprecise o perche' avevano mal percepito i fatti o perche' avevano erroneamente ricordato gli stessi. Da dette riprese audiovisive poteva cosi' confermarsi la non veridicita' dell'assunto del Maroni, secondo cui costui fu aggredito e non aggredi' gli esponenti della Polizia. Era infatti documentato che nella ascesa della rampa delle scale trovandosi a terra, e non per le percosse ricevute, tratteneva con la forza gli operanti afferrando la caviglia dell'ispettore Mastrostefano e poi le gambe dell'ispettore Amadu. Ugualmente doveva dirsi per gli episodi di resistenza attiva da parte del Borghezio, proclamatosi estraneo a detti episodi, perche' era provata documentalmente la perdita di equilibrio di quest'ultimo causata dall'intervento di un operante al quale l'imputato impediva ostinatamente con la sua persona l'accesso nella stanza da perquisire, dopo avere, in precedenza, immobilizzato il Dott. Pallauro, afferrandolo alla spalla con una mano e con l'altra tirandogli violentemente la cravatta, cosi' concorrendo pienamente nel reato, non solo col suo fattivo comportamento, ma anche rafforzando l'altrui proposito criminoso. Tali episodi escludevano, quindi, l'ipotesi della resistenza passiva caldeggiata dagli odierni ricorrenti, come provato anche dalle lesioni riportate da molti degli operanti.

3.2. Quanto al controverso episodio delle lesioni riportate dall'on.le Maroni, costui era caduto in terra - come rilevato in sentenza - per un improvviso malore nella fase finale dell'accesso degli operanti nella stanza da perquisire, circostanza attendibilmente confermala dalla teste Nuvoloni della Polizia che lo aveva soccorso, e forse colpito anche involontariamente in tale posizione nella ressa creatasi luogo o gia' raggiunto, presumibilmente, da spinte nel corso della vicenda che vedeva un accalcarsi incontrollato di persone, compresi giornalisti e simpatizzanti della Lega Nord.

3.3. I pubblici ufficiali erano comunque tenuti a portare a compimento l'ordine loro impartito. Non era discutibile la legittimita' della perquisizione a carico del Marchini nella sua stanza sita nell'immobile anche sede del partito politico, dove lo stesso Marchini accompagnava gli operanti, perquisizione non limitata alla sua abitazione, ma a tutti gli altri luoghi nella sua disponibilita'. Cio' sia con riferimento all'originario decreto di ricerca della prova sia, a maggior ragione, con riguardo al provvedimento integrativo trasmesso via telefax dal Procuratore della Repubblica di Verona. Comprovatamente gli imputati, anziche' rispettare l'operato delle forze dell'ordine, posero, dunque, in essere un'azione interdittiva di coazione fisica oltre che psichica, con innegabili manifestazioni di violenza. Si spiegavano in tal modo possibili azioni di forza degli agenti, i quali, per la tensione del momento, potevano anche avere adoperato espressioni non proprie. Ne' si sarebbero potuti ravvisare gli estremi degli atti arbitrari dei pubblici ufficiali capaci di scriminare la illegittima reazione degli imputati. Gli operanti non si comportarono affatto inurbanamente. Il Dott. Pallauro opero' con particolare prudenza, rinviando l'accesso al pomeriggio dopo l'iniziale opposizione, e ricevuta assicurazione dal Procuratore della Repubblica di Verona dal quale aveva notizia dell'emesso provvedimento integrativo dopo essersi con lui consultato telefonicamente, superata l'originaria, ingiustificata contestazione di falsita' del documento che autorizzava l'estensione della perquisizione, frazionava la stessa affrontando nell'atrio dell'immobile le accese proteste degli astanti, consentiva all'on.le Maroni di effettuare un'improvvisata conferenza stampa, e consultava, di nuovo, telefonicamente il Procuratore della Repubblica dopo la scoperta dell'inaspettato cartello apposto sulla porta della stanza che doveva essere perquisita.

3.4. - A tale ultimo proposito la sentenza affrontava anche la questione della eccepita illegittimita' della perquisizione sotto il profilo della arbitrarieta' degli atti dei pubblici ufficiali per il fatto che la stanza da perquisire godeva della immunita' parlamentare, ex art. 68, comma secondo, cost. e non poteva essere perquisita senza preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza dell'on.le Maroni. Rilevava la Corte d'appello che la perquisizione era legittima perche' il provvedimento era stato emesso nei confronti del Marchini che non era parlamentare. In ogni caso i pubblici ufficiali non potevano desistere dalla perquisizione disobbedendo all'ordine ricevuto. Solo nel corso della istruttoria dibattimentale si seppe che quella stanza era stata assegnata da alcuni giorni, e in via provvisoria, all'on.le Maroni, in ragione degli impegni riguardanti la formazione del "Governo della Padania", ma la circostanza fu acquisita solo a posteriori. L'ambiente oltretutto era nel seminterrato e in ala dell'edificio del tutto distinta da quella in cui si trovavano gli uffici della Lega Nord e neppure era ricompreso nel contratto di locazione fra la societa' proprietaria dell'immobile e la Lega Nord. Inoltre il cartello (foglio di carta dattiloscritto) poteva apparire inadeguato a contrassegnare un ufficio di segreteria politica, appartenente a un parlamentare: l'on.le Maroni, la mattina della perquisizione, aveva polemicamente negato, contestando che il Marchini avesse una stanza nell'edificio, che egli stesso disponesse di una stanza. Tutti tali elementi inducevano a ritenere che - al momento della perquisizione - dovesse escludersi la consapevolezza della illegittimita' e dell'arbitrarieta' dell'attivita' dei pubblici ufficiali per le perplessita' sulla effettivita' della rappresentata destinazione della stanza. Oltretutto poteva dubitarsi che l'attivita' di segreteria di un parlamentare potesse correlarsi alle funzioni proprie del membro del Parlamento in ragione dei suoi compiti istituzionali. In ogni caso, e infine, rilevava la Corte, riferendosi tale contestazione di arbitrarieta' al momento ultimativo della perquisizione, il reato di resistenza si era gia' consumato. Ne' si sarebbe potuta invocare l'esimente putativa, che per consolidato orientamento giurisprudenziale non trova applicazione con riferimento alla scriminante di cui all'art. 4 del D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288, senza che potessero ravvisarsi in concreto elementi di fatto che avrebbero potuto cagionare un incolpevole errore sulla applicabilita' della scriminante.

3.5. - La Corte d'appello, infine, negava la sussistenza delle attenuanti di cui agli artt. 62 c.p. n. 2, 3, 4 e 5. La resistenza non risultava, infatti, motivata da valori etici, mentre la provocazione era esclusa dal fatto che non si era in presenza di un comportamento oggettivamente ingiusto adopera dei pubblici ufficiali. Per quel che atteneva poi all'assembramento di persone esso era stato voluto dagli stessi imputati, artefici loro stessi della suggestione che ne derivava.
 


Motivi dei ricorsi;

4. - Hanno proposto ricorso per Cassazione tutti gli imputati: Maroni - Bossi - Borghezio - Capanni - Martinetti - Calderoli.

4.1. Bossi - Capanni - Martinelli - Calderoli hanno dedotto le seguenti censure.

 4.2. - Limitatamente a Bossi. "Errata valutazione dell'art. 420-ter c.p.p. 1° comma". Alla data della udienza celebrata nel giudizio di secondo grado l'imputato era gia' Ministro dell'attuale Governo. Il giorno dell'udienza presento' certificazione - proveniente dal suo ufficio - attestante il legittimo impedimento (a seguito dell'attentato dell'11 settembre "vi era" in Roma, notoriamente, "una attivita' istituzionale (...) nella quale il Governo prendeva posizione su tale gravissimo attentato con rilievo internazionale"). Illegittimamente la Corte avrebbe disatteso la certificazione addirittura "contestando l'attestazione proveniente dal Ministero": Bossi era, infatti, al vertice della organizzazione ministeriale e non poteva essere che lui a sottoscrivere l'attestazione del proprio impedimento; l'impegno era comunque da tutti conosciuto ed era legittimo perche' - a differenza del parlamentare - il Ministro ha attivita' parlamentari ed extra parlamentari; queste ultime possono essere sia di rappresentanza nazionale o internazionale del Governo: "nel caso andava ad occupare, assieme ad altri membri del Governo una posizione inderogabile ed insostituibile di presenza e di rilevanza internazionale".
 
 

4.3. - "Violazione dell'art. 4 e 7 c.p.p.". Il reato rientrava nella competenza del tribunale e non del pretore. La contestazione e' fatta con riferimento all'art. 339 c.p. in genere e non limitatamente al primo comma. D'altra parte il reato, come si evince dalla sentenza, era stato commesso da piu' di dieci persone: era quindi applicabile l'ultimo comma dell'art. 339 c.p. (che prevede la reclusione da tre a quindici anni).
 
 

4.4. - "Errata applicazione dell'art. 68 Cost. 2° comma e correlativa dichiarazione di insindacabilita'". L'ufficio dell'On.le Maroni (sebbene da lui occupato da circa due settimane al momento dell'irruzione), ubicato nella sede del partito, godeva della tutela approntata dall'art. 68 Cost., comma secondo. L'attivita' compiuta dall'Onle Maroni (a prescindere dalla prassi di sollevazione del conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale da parte del giudice ove la Camera di appartenenza deliberi l'insindacabilita' dell'atto) doveva ritenersi insindacabile perche' lo stesso Maroni agi' nell'esercizio di autotutela, avendo il parlamentare il diritto di resistere di fronte a un abuso.
 
 

4.5. - Limitatamente a Bossi. "Violazione dell'art. 3 del regolamento del Parlamento europeo e dell'art. 9 del Protocollo sui privilegi e sulle immunita'". Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, all'On.le Bossi doveva riconoscersi l'immunita' prevista dal punto b) dell'art. 9) (secondo cui il parlamentare europeo gode territorio di ogni altro stato membro della esenzione da ogni provvedimento di detenzione e da ogni procedimento giudiziario) e non gia' quella prevista dalla lettera a) - come ritenuto dai giudici di merito (secondo cui il parlamentare europeo gode delle immunita' riconosciute ai membri del Parlamento del loro Paese) -.
 
 

4.6. - "Violazione dell'art. 125 c.p.p. in riferimento alla assoluzione ex art. 594 c.p.". La Corte avrebbe assolto gli imputati ex art. 594 c.p. "senza riferire alcuna conseguenza rispetto alle statuizioni civili e senza operare alcuna motivazione per tale mancanza".
 
 

4.7. - "Violazione dell'art. 125 c.p.p. e art. 62 c.p. n. 1". Gli imputati avevano agito al fine di tutelare un bene di alto valore morale e sociale (salvaguardia dell'ufficio inviolabile di un parlamentare da una perquisizione che appariva contra legem).
 
 

4.8. - Violazione dell'art. 125 c.p.p. e art. 62 c.p. n. 2". Gli imputati avevano agito in stato di provocazione perche' i fatti dei pubblici ufficiali erano ingiusti (a prescindere dalla applicabilita' della scriminante di cui all'art. 4 D.Lgs.Lgt. n. 288/1944).
 
 

4.9. - "Violazione dell'art. 125 c.p.p. e art. 62 c.p. n. 3". Gli imputati hanno agito sotto la spinta di una folla in tumulto e suggestionati dalla stessa.
 
 

4.10. - "Violazione dell'art. 125 e 192 c.p.". La Corte non avrebbe tenuto conto delle prove testimoniali perche' esisteva una ripresa filmata. Molti testi avrebbero riferito che le violenze erano state poste in essere dalla polizia. Le riprese non danno contezza di tutti gli episodi. Comunque gli episodi in se' non spiegano le ragioni dei comportamenti.
 
 

4.11. - "Violazione dell'art. 530 c.p. 2° comma" Le prove testimoniali sono talvolta in contraddizione con le riprese filmate, ovvero molte prove testimoniali sono tra loro in contrasto: cio' vale per esempio per la deposizione del teste appartenente alla polizia che afferma di avere riportato uno strappo alla giacca mentre la difesa ha dimostrato che la giacca era intatta.
 
 

4.12. - "Erronea applicazione dell'art. 4 del D.Lgs.Lgt. 288 del 1944". Gli atti dei pubblici ufficiali erano arbitrari. 1) Il "documento" di perquisizione era "falso". La polizia dovette richiederne uno in ufficio; i pubblici ufficiali hanno quindi autenticato un fax proveniente dal loro ufficio e non dall'ufficio del magistrato. "Il procedente" non poteva avere alcuna contezza che l'atto provenisse dal magistrato. 2) Gli inquirenti avevano violato il domicilio di un parlamentare. Erroneamente la Corte avrebbe ritenuto che la scriminante non si applica quando il pubblico ufficiale e' privo dell'elemento soggettivo. Ricorrerebbero, invece, tutti i requisiti richiesti dalla C.S. per l'applicazione: 1) L'atto ancorche' autorizzato dal giudice era illegittimo perche' solo la Camera poteva autorizzarlo. 2) La condotta esprimeva prepotenza e sopruso, malanimo e settarieta' (ingiurie gratuite; stipendio parlamentari; inutilita' dell'atto eseguito dopo dieci ore dalla notificazione del decreto). 3) il soggetto attivo del reato aveva comunque percepito l'atto come arbitrario. L'esponente della polizia che conduceva l'operazione telefono' al magistrato "per essere confortato". Il magistrato gli avrebbe dato un "parere" errato e comunque cio' non poteva escludere la contezza di compiere un atto illegittimo.
 
 

4.13. - "Errata applicazione della legge penale art. 52 c.p.". Gli imputati, e in particolare Bossi (che partecipo' solo al fatto di autotutela davanti all'ufficio dell'on.le Maroni), difendevano un diritto violato dal magistrato ordinario, evitando che fosse commesso un danno irreparabile (violazione dell'ufficio di un parlamentare).
 
 

4.14. "Violazione dell'art. 125 c.p. e art. 62 c.p. n. 5". (il testo del ricorso manca della motivazione a sostegno del motivo).
 
 

4.15. - La difesa ha presentato per tali ricorrenti anche atto denominato "motivi aggiunti". Si tratta di una memoria illustrativa di motivi gia' proposti, con cui si afferma ancora una volta: 1) che non spettava alla autorita' giudiziaria sindacare l'impedimento del Ministro On.le Bossi (si richiama in proposito la sentenza Corte cost. del 4 luglio 2001, n. 225 che affermerebbe tale principio con riguardo alla attivita' di parlamentare); 2) che doveva ritenersi applicabile la scriminante della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale (l'attivita' della polizia si manifesto' da subito arbitraria; la stanza da perquisire era adibita a segreteria politica dell'on.le Maroni; la perquisizione (emanazione dell'atto e sua esecuzione) era illegittima, anche alla luce del tenore letterale dell'art. 343 c.p.p., secondo comma, (v. art. 51 c.p.); quindi l'attivita' della polizia era arbitraria; 3) che a tutti gli imputati diversi dall'on.le Maroni era comunque applicabile la scriminante della legittima difesa; 4) che erroneamente non erano state applicate le attenuanti di cui all'art. 62 c.p., n. 1) e 2).
 
 

4.16. - Inoltre e' stata depositato per gli stessi ricorrenti altro scritto a firma del difensore con cui, si ribadisce ancora una volta la legittimita' dell'impedimento dell'On.le Bossi a presenziare all'udienza tenutasi nel giudizio di appello. Si rileva, poi, che e' attualmente sottoposta al vaglio della Corte costituzionale il conflitto di attribuzione, gia' dichiarato ammissibile, sollevato dalla Camera dei deputati nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona, sotto il profilo dell'art. 68 Cost., comma 2, avente ad oggetto la legittimita' della perquisizione: nonostante la contraria opinione espressa dalla Corte d'appello, il tema della validita' e della legittimita' dell'atto di perquisizione non puo' che essere risolto con una sentenza della Corte costituzionale. Questo giudizio dovrebbe dunque essere sospeso con effetto - nei confronti di tutti i ricorrenti - sino a che la Corte costituzionale non avra' emesso una pronuncia punto. Si conclude comunque, in via subordinata per l'applicazione della sanzione sostitutiva ex art. 4 lett. a) della recente l. 12 giugno 2003, n. 134.
 
 

5. - Maroni ha proposto i seguenti motivi.
 
 

5.1. - "Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita', di inutilizzabilita', di inammissibilita' o decadenza ex art. 606 c.p.p. lett. C in relazione alla norma di cui all'art. 420-ter c.p.p.". Il ricorrente era impegnato "in attivita' istituzionale in un convegno tenutosi in Varese". Il giudice ha respinto la richiesta di differimento per legittimo impedimento in palese violazione del codice di procedura penale.
 
 

5.2. - "Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p. lett. B), in relazione all'art. 4 D.Lgs.Lgt. n. 2688/1944". Sarebbe censurabile la motivazione con cui e' stata disattesa l'applicazione della invocata scriminante. Il decreto di perquisizione era illegittimo e invalido. La polizia avrebbe violato il domicilio di un parlamentare e si e' "data allo scontro fisico" con parlamentari che esercitavano mera resistenza passiva quando era possibile accedere ai locali oggetto della perquisizione da altro ingresso non presidiato. Gli atti erano comunque arbitrari perche' scorretti, inurbani, incivili e maleducati (richiama la sentenza della Corte cost. 23 aprile 1998, n. 140 che si e' pronunciata sulla scriminante in parola in un caso di oltraggio). La stessa sentenza, in un passo, riconoscerebbe comportamenti scorretti delle forze dell'ordine (pag. 11).
 
 

5.3. - "Mancanza o manifesta illogicita' della motivazione ex art. 606 c.p.p. lett. E". La Corte d'appello escluderebbe in maniera illogica che nel caso si sia trattato di mera resistenza passiva. Inoltre, Maroni non e' stato vittima di alcun malore come si legge nella sentenza, ma e' stato aggredito e gettato in terra dagli operanti, come dimostrato dal fatto che, visitato al pronto soccorso subito dopo i fatti gli fu riscontrata una "distorsione al rachide cervicale", tale da imporre l'applicazione di un collare. Tale conseguenza e' incompatibile con l'ipotesi del "malore". La sentenza e' inoltre contraddittoria nella pag. 11 dove si da atto della azione di forza degli operanti e delle frasi improprie pronunciate, e poi, a distanza di poche righe si esclude l'inurbanita' del comportamento.
 
 

6. - Borghezio ha formulato i seguenti mezzi.
 
 

6.1. - "Violazione dell'art. 606 c.p.p. lettera e) per mancanza o manifesta illogicita' della motivazione con riferimento anche all'art. 606 c.p.p. lettera c) per inosservanza di norme processuali, con riferimento alla rigettata eccezione di incompetenza per materia del pretore". Il capo di imputazione richiama genericamente l'art. 339 c.p. La Corte avrebbe errato nel ritenere la configurazione della aggravante semplice anziche' quella dell'aggravante speciale di cui al secondo comma dell'art. 337 c.p. Nell'art. 7 c.p.p., quando il legislatore ha voluto riferirsi anche alla aggravanti lo ha espressamente fatto. Per il reato di resistenza si e' limitato a fare riferimento all'art. 337 c.p. Ai sensi dell'art. 4 c.p.p. doveva ritenersi esclusa la competenza del pretore nei casi di resistenza aggravata da circostanze ad effetto speciale.
 
 

6.2. - "Violazione dell'art. 606 c.p.p. lett. e) mancanza o manifesta illogicita' della motivazione con riferimento anche all'art. 606 c.p.p. lett. b) per inosservanza o erronea applicazione della norma penale e della norma giuridica primaria di cui all'art. 68 Cost. 2° comma di cui si doveva tenere conto nell'applicazione della legge penale". Posto che la censura si riferisce espressamente alla seconda fase dei fatti svoltasi davanti alla porta di ingresso della stanza dell'on.le Maroni, la Corte non avrebbe potuto tornare sulla questione della effettiva destinazione della stanza a segreteria politica dell'on.le Maroni. Anche se risulta (asseritamene) dalla sentenza che la mattina dei fatti l'on.le Maroni aveva negato di avere la disponibilita' della stanza, il fatto della destinazione della stanza all'on.le Maroni doveva considerarsi irretrattabile, perche' accertato con la sentenza di primo grado e punto non era stata dedotta alcuna impugnazione, a nulla rilevando le perplessita' del Procuratore della Repubblica di Verona e degli stessi appartenenti alla Polizia che eseguirono la perquisizione. Inammissibile comunque sarebbe l'affermazione della Corte secondo cui nell'ufficio di segreteria del partito si svolgerebbe "un'attivita' non direttamente correlata alle funzioni Istituzionali rivestite da chi lo conduce nel diverso ambito della Camera di appartenenza".
 
 

6.3. - "Violazione dell'art. 606 c.p.p. lettera e) mancanza o manifesta illogicita' della motivazione con riferimento anche all'art. 606 c.p.p. lettera b) per inosservanza o erronea applicazione della norma penale e della norma giuridica primaria di cui all'art. 68 Cost. 2° comma di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale". La Corte ha ritenuto la responsabilita' dell'On.le Borghezio ai sensi dell'art. 110 c.p. affermando che l'imputato avrebbe con la sua condotta formato "ostacolo fisico e di pressione verbale esercitata (...) sugli agenti operanti". Si tratterebbe dunque di mera resistenza passiva. I Giudici milanesi non accennano a comportamenti attivi, salvo l'episodio della cravatta tirata a uno degli operanti stessi (dott. Pallauro) desunto dal filmato visionato nel giudizio di primo grado in cui l'imputato era rimasto contumace. La Corte non collocherebbe temporalmente tale circostanza che si e' verificata nell'ultima parte del fatto (quella davanti alla porta della stanza dell'on.le Maroni). Per quest'ultima fase doveva e deve ritenersi operante la scriminante degli atti arbitrari dei pubblici ufficiali, per il compimento di pregressi atti di violenza da parte loro. Mancava, quindi, la prova di una condotta di partecipazione materiale o morale per la resistenza verificatasi nella fase anteriore. Sotto tale profilo doveva pertanto ritenersi viziata anche l'ordinanza con cui in sede di appello si era disattesa la richiesta di rinnovazione della istruzione dibattimentale per poter visionare, insieme con la Corte e in contraddicono delle parti, il filmato degli avvenimenti che deve ritenersi inutilizzabile.
 
 

6.4. - "Violazione dell'art. 606 c.p.p. lettera e) mancanza o manifesta illogicita' della motivazione con riferimento all'art. 606 c.p.p. lettera b) per erronea applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p. n. 1) e cioe' per 'aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale'". La Corte avrebbe erroneamente escluso l'applicazione dell'attenuante per le modalita' dell'azione, ritenendo che la finalita' degli imputati di difendere dall'intervento della polizia la sede di un partito non potesse rendere applicante l'attenuante, nonostante l'esistenza di una deliberazione della Camera dei deputati che, di fatto, riconosceva insindacabile il comportamento degli imputati anche per il valore etico sotteso al comportamento stesso.
 
 

7. - Si deve dare atto a questo punto del fatto che nelle more della decisione di questa Corte la Camera dei Deputati ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dell'autorita' giudiziaria e in particolare della Procura della Repubblica di Verona per la statuizione che non spettava a detta autorita' disporre e far eseguire la perquisizione del domicilio del parlamentare On.le Maroni. La Consulta si e' pronunciata con sentenza del 30 gennaio 2004, n. 58, accogliendo la richiesta e provvedendo in conformita'.
 
 

Sulle questioni pregiudiziali;
 
 

8. - Sono infondati i motivi di ricorso proposti da Bossi e Maroni in ordine alla questione del legittimo impedimento a comparire all'udienza del 10 novembre 2001 (motivo 4.2. di Bossi; motivo 5.1 di Maroni).
 
 

8.1. Va precisato, anzitutto, che la questione dell'impedimento fu sollevata una prima volta alla udienza del 1° ottobre 2001. In tale occasione il difensore di Bossi presento' uno scritto, a firma del Ministro, in cui l'esponente del Governo precisava, senza alcuna motivazione, di non poter intervenire per impegni d'ufficio, mentre il difensore di Maroni sosteneva, a sua volta, che il Ministro non poteva intervenire perche' occupato in attivita' istituzionale in un convegno che si teneva a Varese, alla cui partecipazione era necessaria la sua presenza in qualita' di "Ministro del Welfare": si trattava quindi - secondo la difesa - di attivita' svolta nell'esercizio della attivita' istituzionale del titolare del Dicastero. Borghezio, infine, presento' documentazione da cui risultava il suo impegno di parlamentare europeo, dovendo essere presente a Strasburgo. In accoglimento di tali istanze di differimento per impedimenti ritenuti legittimi, l'udienza fu rinviata all'11 novembre 2001 (le questioni sollevate da Bossi e Maroni non furono quindi prospettate all'udienza dell'11 novembre 2001 in cui si celebro' il processo, ma alla udienza precedente che fu appositamente rinviata).
 
 

8.2. - Alla udienza dell'11 novembre 2001, senza la presentazione di alcuna documentazione, l'avvocato Brigandi' per Bossi e l'avv. Basilico per Maroni (che aderi' alla richiesta per il suo assistito), sollevo' una nuova questione di legittimo impedimento che conviene riportare cosi' come estratta dal verbale stenotipia) di udienza nelle parti indispensabili.
 
 

8.3. - "Si apre l'udienza del 10 novembre 2001 e il Presidente prende atto delle presenze in aula facendo l'appello. PRESIDENTE - Allora, siccome qui si tratta di una ripresa del processo dopo la sospensione, determinata dal conflitto di attribuzioni a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale che ha annullato la delibera della Camera, che riteneva l'insindacabilita' dei fatti, io ritengo superfluo fare una lunga relazione, visto che tutti abbiamo scritto gia' tutto nelle ordinanze, tutti conosciamo i fatti e conosciamo anche i motivi d'appello PRESIDENTE - Ecco, grazie, mi scusi. Quindi ritengo che., ricordero' soltanto il fatto che si tratta dei fatti avvenuti il ... Avv. BRIGANDI' - Presidente, io devo fare una richiesta preliminare. PRESIDENTE - E allora la faccia, avvocato Brigandi'. Avv. BRIGANDI' - Grazie Presidente. Il problema e' il seguente: purtroppo (pp.ii. fuori microfono) e' fatto notorio che c'e' oggi (p.i. fuori microfono) del Governo e quindi io vi chiedo formalmente che (pp.ii. fuori microfono) venga differita, per questo (pp.ii. fuori microfono) e questo impegno che c'e' oggi a Roma, ci sara' un collegamento formale anche con autorita' straniere, c'e' il sindaco di New York, quindi e' una situazione non di poco conto alla quale partecipa sia il Presidente del Consiglio, sia tutti i Ministri. Noi tra gli imputati abbiamo due ministri che ovviamente (pp.ii. fuori microfono) della RAI perche' oggi doveva venire sia il ministro Bossi, sia il ministro Maroni e in questa ottica le notizie erano (p.i. fuori microfono) alle televisioni ed ecco perche' oggi (pp.ii. fuori microfono) quindi non e' una cosa che e' apodittica perche' venuta fuori (pp.ii. fuori microfono) all'udienza, siccome gli imputati, questi due, intendono esercitare questo loro diritto/dovere (pp.ii. fuori microfono) appunto, a rendere delle dichiarazioni spontanee in riferimento al loro (p.i. fuori microfono) per i fatti contestati (pp.ii. fuori microfono) io chiedo la cortesia, capisco che (pp.ii. fuori microfono) chiedo la cortesia, visto che c'e' gia' stata la volta scorsa la cortesia di codesta Eccellentissima Corte d'Appello, anche nell'indicare (pp.ii. fuori microfono) chiedo la cortesia di voler rinviare (p.i., fuori microfono) certamente eccezionale nel quale (p.i., fuori microfono). PRESIDENTE - Gli altri difensori e anche il Procuratore della Repubblica. PRESIDENTE - Con questo USA-Day che cosa facciamo? PROC. GEN.- Chiedo scusa? PRESIDENTE - Per questo giorno particolare, USA-Day, come... PROC. GEN - Non so.. si', so di che si tra., e' notorio... PRESIDENTE - Certamente. PROC. GEN.- ...e' nota quindi anche a me questa situazione. Questo, obiettivamente, e' un procedimento che trova delle difficolta' a essere celebrato per gli impedimenti istituzionali, assolutamente legittimi, di alcuni degli imputati, oggi obiettivamente non so se possa essere definito proprio istituzionale questo impedimento, comunque mi rimetto alla valutazione della Corte in ordine alla situazione".
 
 

8.4. - Dopo tali richieste, il Collegio pronuncio' ordinanza con la quale rigetto' la domanda di un nuovo differimento motivando, in sintesi, nel senso che: 1) risultava effettivamente il "concomitante svolgimento della manifestazione pubblica di solidarieta' con gli Stati Uniti d'America, fissata a Roma a partire dalle 15 di oggi"; 2) gia' alla precedente udienza era stata fatta e accolta altra istanza di legittimo impedimento; 3) "...la predetta manifestazione non rientra(va) nel novero degli atti del Governo, ma costituiva un'iniziativa pubblica, cui ciascun soggetto (era) libero di aderire o meno - a prescindere dal ruolo istituzionale ricoperto - in virtu' dei principi costituzionali di liberta' di espressione del pensiero e di riunione"; 4) tali ultimi diritti costituzionali "(dovevano) - alla stregua delle recenti autorevoli indicazioni della Corte costituzionale - trovare contemperamento con i principi costituzionali inerenti l'obbligatorio esercizio della giurisdizione, peraltro in tempi ragionevoli (art. 101 e segg. cost.)"; 5) "la valutazione comparata dei principi costituzionali non consent(iva) ulteriori differimenti della celebrazione del processo che riguarda fatti risalenti al settembre 1996".
 
 

8.5. - Osserva la Corte che, a quel che consta, mancano precedenti della Corte costituzionale sulla soluzione della questione dell'impedimento legittimo del Ministro con riferimento alla sua presenza nel processo quale imputato e quindi con riferimento alla attivita' giurisdizionale, ma ritiene la Corte che sia legittimo ispirarsi - nelle linee generali e astratte - alle soluzioni gia' offerte dalla Consulta per gli esponenti del Parlamento. Ci si vuole riferire, in particolare, alla sentenza della Corte costituzionale del 4 luglio 2001, n. 225, citata anche dalla difesa di Bossi. Al di la' di quanto si legge nel dispositivo, che sintetizza i concetti cardine espressi nella motivazione in un caso in cui l'autorita' giudiziaria aveva affermato la assoluta prevalenza dell'interesse relativo alla attivita' giudiziaria rispetto all'interesse della Camera dei deputati allo svolgimento delle attivita' parlamentari (fattispecie in cui la Consulta ha statuito che non spetta all'autorita' giudiziaria un simile giudizio), sono decisamente illuminanti e rispondenti anche al caso di cui si discute le soluzioni offerte dalla Corte costituzionale nella motivazione in ipotesi di conflitti del genere di quelli prospettati, soluzioni che scaturiscono da un quadro ispirato al principio di collaborazione che deve informare i rapporti tra le Istituzioni, in una sintesi di reciproco rispetto del lavoro di ciascuno degli organi e poteri costituzionali. E proprio in un quadro di collaborazione tra poteri dello Stato, la Corte costituzionale, nella citata vicenda che riguardo' il processo che interessava un parlamentare, giunse a indicare la via della fissazione di udienze, eventualmente concordate, in giorni in cui non cadessero impegni istituzionali del parlamentare (partecipazione alle votazioni).
 
 

8.6. - Alla stregua di tali principi - ad avviso di questa Corte - si deve affrontare e risolvere il problema, sempre che ci si trovi di fronte alla necessita' di contemperare le esigenze dell'autorita' giudiziaria relative allo svolgimento del processo e quelle derivanti da attivita' istituzionali del Ministro.
 
 

8.7. - E' tuttavia evidente che accanto alle attivita' istituzionali di un Ministro, che gli derivano da attribuzioni costituzionali, coesistono attivita' politiche multiformi, indeterminate (non e' forse azzardato affermare che qualsiasi attivita' pubblica, non rientrante nella categoria delle attivita' istituzionali, rientri nell'attivita' politica di un esponente del Governo) e non classificabili in astratto, ma sicuramente individuabili e soprattutto facilmente differenziabili da quelle istituzionali (tra queste ultime possono annoverarsi, a esempio, la partecipazione al Consiglio dei Ministri, l'attivita' parlamentare del Ministro, come nei casi di presentazione del Governo alle Camere per la fiducia ovvero per la risposta alle interrogazioni et similia, la prestazione del giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica: si tratta delle attivita' riconducibili, in linea generale ed astratta, alla sfera di attribuzioni previste dagli artt. 92, 93, 94, 95, 96 Cost.).
 
 

8.8. - Il punto centrale della questione dell'impedimento sollevata da Bossi e Maroni e' proprio quello di stabilire se il giudice, nell'esercizio delle attribuzioni che gli sono proprie ai fini della conduzione del processo, abbia correttamente valutato la natura dell'impegno addotto dagli imputati come estranea alle specifiche funzioni istituzionali proprie dei ministri e ne abbia escluso il carattere di inderogabilita', adeguatamente bilanciando la esigenza di indefettibilita' della giurisdizione e quella dell'esercizio delle iniziative politiche connesse alla funzione ministeriale.
 
 

8.9. - Ora, ritiene la Corte che al quesito debba rispondersi positivamente. La natura dell'impegno prospettato da Bossi e Maroni (del quale, giova sottolineare, non v'e' documentazione alcuna) rimane classificabile, con valutazione di fatto, debitamente motivata, sottratta al sindacato di legittimita', come un impegno non istituzionale e quindi non coessenziale alla funzione tipica del Governo. Venendo nella specie in considerazione una incombenza rientrante nella sfera delle attivita' di carattere politico in senso lato del Ministro correttamente la Corte territoriale ha affermato la necessita' che essa dovesse cedere di fronte alla esigenza di celebrazione del processo, dal momento che, contrariamente opinando, qualsiasi attivita' non strettamente privata di un Ministro, essendo suscettibile in ipotesi di rivestire una valenza politica, permetterebbe di rimandare sine die l'attivita' giurisdizionale. Pertanto il motivo di ricorso va conclusivamente rigettato.
 
 

9. - Non sono fondati neppure il motivo di ricorso 4.3. di Bossi e il motivo di ricorso 6.1. di Borghezio riguardanti la questione di incompetenza per materia del Pretore. Il difensore di Bossi ha citato la sentenza Cass., sez., 1°, c.c. 3 dicembre 1993 - dep. il 4 dicembre 1994, n. 5310, Accardi, che ha deciso conformemente all'assunto dei ricorrenti, secondo cui, in caso di reato aggravato ai sensi del secondo comma dell'art. 339 c.p., cioe' nella ipotesi di reato commesso da piu' di dieci persone, sarebbe competente a giudicare il Tribunale e non gia' il Pretore (oggi la competenza spetta al Tribunale in composizione monocratica a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51), in quanto si tratterebbe di aggravante a effetto speciale in base al disposto dell'art. 4 c.p.p., ancorche' il reato di resistenza fosse nominativamente indicato nell'abrogato art. 7, comma 2, lett. b) c.p.p. Pero' - a prescindere dal fatto che l'imputazione non fa riferimento al comma 2 dell'art. 339 c.p. e che i giudici di merito hanno ritenuto che nella specie si trattasse di reato commesso da non piu' di dieci persone riunite e senza armi, e che quindi la fattispecie rientrasse nel comma 1 dell'art. 339 c.p. - si deve osservare che la citata sentenza e' contrastata da molte altre pronunce successive che hanno deciso in senso esattamente contrario a quello sopra descritto, chiarendo che la rilevanza delle circostanze a effetto speciale prevista dall'art. 4 opera solo in relazione al criterio attributivo della competenza di cui all'abrogato art. 7 c.p.p., comma 1, perche' solo tale criterio si basava sulla pena edittale. E' invece da escludere che l'art. 4 c.p.p. operasse in relazione alle ipotesi previste dal gia' vigente art. 7 c.p.p., comma 2, giacche' la competenza, in relazione ai reati previsti da quest'ultima disposizione, si basava nomen juris dei reati stessi, che erano attribuiti alla competenza per materia del Pretore indipendentemente dalla aggravanti a effetto speciale (si vedano in tal senso Cass., sez. 1°, c.c. 28 aprile 1999 - dep. 6 luglio 1999, n. 3283, Marcucci; Cass., sez. 1°, c.c. 9 dicembre 1998 - dep. 3 febbraio 1999, n. 6179 Maier; Cass., sez. 1°, c.c. 15 giugno 1998 - dep. 4 luglio 1998, n. 3522, Brunella; Cass., c.c. 2 marzo 1995 - dep. 19 aprile 1995, n. 1328, Ferrara; Cass., sez. 1°, c.c. 8 gennaio 1996 - dep. 12 febbraio 1996, n. 26, Voltolina). La condivisibile ratio decidendi di tali pronunce e' confermata dal fatto che, nell'ambito dei reati previsti dall'abrogato art. 7 c.p.p., quando il legislatore volle attribuire rilevanza alle circostanze a effetto speciale, lo ha espressamente detto: cosi', per esempio, nei casi dei reati di cui alle lettere f) e g) riguardanti i reati di maltrattamenti in famiglia e quello di rissa. Non e' cosi' per il reato di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), che nell'art. 7 c.p.p., comma 2, era attribuito - tout court - alla competenza del Pretore.
 
 

10. - Per una conferma di tale interpretazione puo' essere utile rilevare che oggi l'elencazione dei reati di cui al gia' citato art. 7 c.p.p., comma 2, e' stata ripresa, in larga parte, dall'art. 550 c.p.p., comma secondo, che determina i casi in cui il procedimento davanti al Tribunale in composizione monocratica si instaura con citazione diretta: la formulazione e' la medesima per quel che attiene all'art. 337 c.p. (sempre rientrante nelle attribuzioni del giudice monocratico del Tribunale, indipendentemente dalle aggravanti), come e' la stessa per il reato di rissa aggravata (che rientra nelle ipotesi di citazione diretta davanti al giudice monocratico, salvo che non ricorra l'aggravante della morte di un partecipante). La continuita' della formulazione legislativa nel passaggio dal precedente al nuovo regime offre un argomento ulteriore alla tesi anteriormente accolta dalla giurisprudenza dominante sulla competenza del Pretore in ogni caso di resistenza, cioe' anche nei casi di presenza di aggravanti a effetto speciale.
 
 

11. - Per quanto riguarda i motivi attinenti alla questione della illegittimita' della perquisizione per contrarieta' dell'art. 68 Cost., comma secondo, cosi' sollevata da Bossi (motivo 4.3.) e da Borghezio (motivo 6.2.) per essere il locale oggetto di perquisizione occupato non gia' dal Marchini, ma dall'On.le Maroni, in quanto destinato a sua segreteria politica, quale appartenente al partito politico Lega Nord, e' stata recentemente pubblicata - come gia' premesso - la decisione della Corte costituzionale che, risolvendo il conflitto di attribuzione sollevato dalla Camera dei deputati ex art. 68 Cost., comma secondo, si e' pronunciata con sentenza del 20 gennaio 2004, n. 54. Il problema sollevato con tali motivi e' in pieno investito da tale decisione della Consulta di cui si parlera' subito dopo. Tali motivi saranno quindi oggetto di esame successivo.
 
 

12. - E' infondata anche la questione sollevata da Bossi (motivo 4.5.), nella sua qualita' di parlamentare europeo all'epoca dei fatti, riguardante la pretesa esenzione da ogni procedimento giudiziario prevista dell'art. 3 del Regolamento del Parlamento europeo e dell'art. 9 del relativo Protocollo sui privilegi e sulle immunita'. La questione e' gia' stata risolta correttamente dai Giudici di merito nel senso della inesistenza di una esenzione dal presente giudizio a mente delle disposizioni ora citate. L'art. 3 del Regolamento del Parlamento europeo stabilisce, al comma primo, che "I deputati beneficiano dei privilegi e delle immunita' previsti dal Protocollo sui privilegi e sulle immunita' delle Comunita' europee, allegato al Trattato dell' 8 aprile 1965 che istituisce un Consiglio unico e una Commissione unica delle Comunita' europee". A sua volta, l'art. 10 del Protocollo n. 34 sui privilegi e sulle immunita' della Comunita' europea, nel testo vigente, stabilisce che per la durata della sessione del Parlamento i membri di essi beneficiano "a) territorio nazionale, delle immunita' riconosciute ai membri del Parlamento del loro paese; b) territorio di ogni altro Stato membro, dell'esenzione di ogni provvedimento di detenzione e da ogni procedimento giudiziario". Una immunita' - per cosi' dire - europea puo' ravvisarsi solamente in relazione alla lettera b), ma non in riferimento alla lettera a) che e' applicabile al caso di specie. Per quel che attiene alle immunita' del parlamentare europeo nel territorio del suo paese, e quindi per fatti che siano posti in essere nel Paese di appartenenza, al parlamentare spetta l'immunita' che gli e' riconosciuta nel suo Paese. La disposizione in questione, in sostanza, opera un rinvio ricettizio all'art. 68 Cost. ed e' chiaro che ogni provvedimento che nel territorio nazionale deve essere adottato spetta non al Parlamento europeo, ma al Parlamento nazionale. In tal senso puo' dirsi che nel territorio nazionale non esiste una immunita' europea che si sovrapponga o si affianchi a quella nazionale, ma esiste una sfera di garanzie attribuite al parlamentare nazionale (dettate dall'art. 68 cost.) cui la norma internazionale rinvia sia per i contenuti sostanziali dei privilegi o immunita' (in senso lato) sia per le procedure, sia per gli organi che devono adottare le relative deliberazioni. Risulta che in tale senso si sia sostanzialmente gia' pronunciata questa Corte di Cassazione (v. Cass., sez. 2°, 21 marzo 2003 - dep. 28 marzo 2003, n. 14791, Martelli).
 
 

Sulle censure relative alla responsabilita';
 
 

13. - Vanno esaminate a questo punto le censure formulate da Bossi, Capanni, Calderoli e Martinelli con i motivi 4.4., 4.10., 4.11 e 4.12; quelle del Maroni con ai motivi 5.2. e 5.3. e quelle del Borghezio con i motivi 6.2. e 6.3. che possono essere congiuntamente trattate perche' riguardanti le stesse questioni principali in punto di responsabilita' o ad esse connesse.
 
 

13.1. Preliminarmente, le difese di Bossi, Capanni, Calderoli e Martinelli (motivi 4.10 e 4.11.) e di Maroni (motivo 5.3.) hanno sollevato in argomento censure sulla parte della sentenza di merito concernente la ricostruzione dei fatti da parte dei giudici di merito. Osserva, in proposito, il Collegio che tali motivi sono inammissibili perche' non deducibili nel giudizio di legittimita', in quanto con essi si formulano doglianze attinenti alle modalita' di accertamento del fatti e alle valutazioni relative rimesse alla competenza del giudice di merito, che ha offerto, punto, una motivazione congrua e immune da censure logiche. Detta motivazione, come emerge dalla sentenza di secondo grado e da quella di primo grado (quest'ultima sovente richiamata dalla prima) passa attraverso l'esatta formulazione delle seguenti proposizioni: a) si sono ritenute degne di fede le deposizioni testimoniali (anche delle parti lese) e le dichiarazioni degli imputati che si sono sottoposti all'esame, in quanto riscontrate da filmati acquisiti al fascicolo del dibattimento sia in originale, e sottoposti a sequestro, sia nelle riproduzioni in VHS effettuate sotto il diretto controllo dei Carabinieri, mentre in caso di contrasto, si e' data preferenza alle riprese filmate; b) le parti lese, della cui attendibilita' si e' sempre cercato il riscontro, hanno fornito una versione sempre lineare, coerente e conforme alle riprese filmate, a eccezione di alcuni particolari su questioni irrilevanti (come il malore vero o simulato del Maroni, a seconda delle diverse percezioni), e si e' dato loro credito, anche perche' in alcuni casi erano riscontrate dalle stesse dichiarazioni dei prevenuti; c) non si e' tenuto conto di quelle deposizioni, evidentemente non confermate dalle riprese filmate riprese da emittenti pubbliche e private (TG RAI, TG 4, TG 5, ANTENNA 3) di piu' dubbia attendibilita', quali quelle rese da simpatizzanti di partito e da giornalisti presenti, ovvero di quelle che apparivano chiaramente viziate da cognizione imprecisa dei fatti. Si tratta di affermazioni condivisibili e quindi, come si e' detto, non censurabili. A fronte di tali affermazioni la difesa ha svolto oltretutto, con i motivi in esame, censure generiche perche' non sorrette da specifiche allegazioni di fatti; cio' che da ulteriore ragione in ordine alla declaratoria di inammissibilita'.
 
 

14. - Scendendo ora all'esame dei motivi che concernono la questione della tutela riservata agli ambienti su cui era apposta la scritta che indicava la presenza di un locale destinato a segreteria politica dell'On.le Maroni ai sensi dell'art. 68, comma secondo, cost., e di quella strettamente connessa della invocata esimente della reazione ad atti arbitrari dei pubblici ufficiali per l'illegittimo ordine di perquisizione impartito dal Procuratore della Repubblica di Verona, a seguito della telefonata del Dott. Pallauro, che porto' a conoscenza di detta autorita' giudiziaria la inaspettata presenza di un locale tutelato ai sensi dell'anzidetta norma costituzionale (motivi 4.4. e 4.12. del ricorso Bossi, Calderoli, Martinelli e Caparmi; motivo 5.2. Maroni; motivo 6.2. Borghezio), va osservato quanto segue.
 
 

14.1. - Si e' gia' detto della sentenza della Corte costituzionale del 30 gennaio 2004, n. 58 con la quale e' stato risolto il conflitto di attribuzione fra la Camera dei deputati e la Procura della Repubblica e si e' dichiarato che "(...) non spettava alla autorita' giudiziaria ed in particolare alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verona di far eseguire il 18 settembre 1996 la perquisizione del locale nella disponibilita' del parlamentare Roberto Maroni".
 
 

14.2. - La chiarezza di tale dispositivo e' suffragata dalla ultima parte della motivazione la quale precisa che, nel corso della perquisizione (destinata originariamente alla ricerca della possibile acquisizione di oggetti di pertinenza del Marchini), gli operanti si vennero a trovare di fronte a una situazione nuova costituita dalla esistenza di un cartello che indicava la presenza di ambienti destinati a segreteria politica dell'on.le Maroni nel momento in cui raggiunsero il corridoio cui si aveva accesso tramite una porta a vetri e poi nel momento in cui raggiunsero la stanza sulla quale era apposto altro analogo cartello.
 
 

14.3. - Afferma poi testualmente la Corte costituzionale che "Questa situazione nuova cosi' presentatasi agli agenti di polizia (...) segnalava agli agenti stessi, ed all'autorita' giudiziaria procedente per il loro tramite, che il locale da perquisire in quanto ufficio del Marchini era invece nella disponibilita' di un deputato, onde poteva costituirne domicilio, non sottoponibile a perquisizione senza autorizzazione della Camera", Prosegue poi ulteriormente il testo della sentenza, muovendo sostanzialmente un appunto al titolare dell'organo giudiziario che aveva impartito telefonicamente l'ordine nel senso che: "In tale contesto, l'autorita' giudiziaria avrebbe dovuto sospendere l'esecuzione della perquisizione; in alternativa - ove avesse nutrito dubbi sull'attendibilita' del contenuto dei cartelli - avrebbe potuto disporre gli accertamenti del caso, per eventualmente procedere contro chi quel cartello aveva collocato. L'unica scelta sicuramente preclusa all'autorita' giudiziaria era di confermare verbalmente alla polizia l'ordine di eseguire la perquisizione senza alcuna verifica punto e senza neppure trarre conseguenze da tale falsita'. Cosi' comportandosi essa ha leso le attribuzioni garantite alla Camera dei deputati dal secondo comma dell'art. 68 Cost.".
 
 

15. - A fronte di tali inequivocabili parole, e del forse poco meditato ordine del Procuratore della Repubblica, ritiene la Corte che, per risolvere la questione della applicabilita' al caso di specie della invocata esimente della reazione degli imputati ad atti arbitrari del pubblico ufficiale, occorre sgomberare il campo dal problema dei riflessi di un ordine illegittimo della autorita' giudiziaria sulla esecuzione dell'atto da parte della polizia giudiziaria, o, in altri termini, dare risposta al quesito se l'illegittimita' dell'ordine si estenda anche alla esecuzione di esso si da rendere arbitrario il comportamento degli operanti e quindi operante la previsione dell'art. 4 del D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288, secondo cui l'art. 337 c.p. non e' applicabile quando il pubblico ufficiale abbia dato causa ai fatti previsti in tale norma, "eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni".
 
 

15.1. - Il quesito che si e' posto evoca la radicale divergenza di opinioni che si rinvengono in dottrina e in giurisprudenza sui requisiti dell'esimente.
 
 

15.2. - Infatti, secondo un orientamento, per cosi' dire "soggettivistico", prevalente nella giurisprudenza di legittimita' (fra le molte, Cass., sez. 6°, u.p. 22 ottobre 2002 - dep. 23 novembre 2002, n. 39685, Argentin; Cass., sez. 6°, u.p. 16 marzo 1998-13 maggio 1998 - dep. 1998, n., 5572, Vitali; Cass., sez. 6°, u.p. 1° dicembre 1995 - dep. 13 marzo 1996, n. 2669, Ferraretto) e condiviso da parte della dottrina, l'atto arbitrario del pubblico ufficiale, idoneo a scriminare il comportamento dell'autore della resistenza, deve essere non solo illegittimo, cioe' eccedere dalle funzioni conferite dalla legge, ma anche posto in essere dal pubblico ufficiale con l'intenzione di agire al di fuori delle sue attribuzioni e, quindi, con la dolosa consapevolezza di commettere un vero e proprio sopruso. Tale modo di vedere e' in particolare il frutto di una interpretazione del testo normativo nel senso che la duplicita' del richiamo contenuto nella disposizione agli atti arbitrari e all'eccesso dai limiti delle proprie attribuzioni, rende inevitabile la costruzione del comportamento idoneo a scriminare la reazione come connotato da un duplice profilo: oggettivo (cui farebbe riferimento la norma quando usa il termine "eccesso dai limiti delle proprie attribuzioni") e soggettivo (cui la norma farebbe riferimento con l'espressione "con atti arbitrari").
 
 

15.3 - Un diverso orientamento, maggiormente garantista, di cui si e' in tempi piu' recenti fatta portatrice una parte minoritaria della giurisprudenza di legittimita' (v. a esempio, Cass., sez. 6°, u.p. 10 aprile 1996 - dep. 26 luglio 1996, n. 7565, Pacifici), interpreta le due espressioni sopra riportate nel senso che esse esprimano un concetto unitario ed abbiano contemporaneamente una connotazione solo oggettiva, laddove l'arbitrarieta' dell'atto attiene alle modalita' di esecuzione di esso e l'eccesso dalle attribuzioni si riferisce alla mera illegittimita' dell'atto. Di modo che potrebbero dar luogo alla applicabilita' della esimente o l'illegittimita' dell'atto ovvero il semplice comportamento scorretto, villano o incivile del pubblico ufficiale, senza che siano rilevanti i riferimenti all'elemento soggettivo del pubblico ufficiale.
 
 

15.4. - La Corte, sia pure con le doverose puntualizzazioni che poco oltre si faranno, ritiene corretta questa seconda interpretazione della norma in quanto maggiormente aderente alla mutata realta' dei tempi. Le ragioni di tale affermazione si rinvengono nella ermeneusi della norma in questione offerta dalla Corte costituzionale che - pur in una decisione avente ad oggetto il reato di oltraggio: Corte cost. 20 aprile 1998, n. 140) - ha affermato come quest'ultima sia la interpretazione piu' corretta alla luce della Costituzione.
 
 

15.5 - La stessa Corte costituzionale nella sentenza da ultimo citata afferma che l'inquadramento storico-sistematico della norma sorregge con tutta evidenza quest'ultima interpretazione, che viene a definirsi in tal modo come costituzionalmente orientata. La causa di giustificazione (cosi' espressamente qualificata nella sentenza), presente nel codice penale Zanardelli del 1889, venne abolita dal codice Rocco del 1930 "in nome di una malintesa tutela del prestigio e della "infallibilita' degli agenti della pubblica autorita'", per essere poi reintrodotta col D.Lgs.Lgt. n. 288/1944, proprio al termine della guerra di liberazione, insieme ad altre modifiche del codice penale ritenute significative del passaggio da un regime autoritario al nuovo ordinamento democratico e alla nuova impostazione dei rapporti tra autorita' e cittadino.
 
 

15.6. - Da quanto si e' sinora detto discende che, nel valutare se nel caso di specie il comportamento degli agenti operanti abbia innescato una reazione legittima, non puo' prescindersi dal fatto che essi hanno dato esecuzione a un atto oggettivamente illegittimo. Peraltro, ai fini della ricorrenza dei presupposti considerati dall'art. 4 del D.Lgs.Lgt. n. 288/1944, non e' sufficiente che l'atto sia genericamente "illegittimo". Per dare un significato normativo all'endiadi "atto arbitrario-eccedente dai limiti delle attribuzioni" occorre infatti che la antidoverosita' del comportamento del pubblico ufficiale sia caratterizzata o dalle sue modalita' intrinseche (inurbanita', arroganza, maleducazione e quant'altro) o dal suo sviamento rispetto allo scopo di pubblico interesse per il quale e' dall'ordinamento previsto l'esercizio di poteri autoritativi. E' questa, appunto, la situazione che si e' verificata nel caso in esame. Invadendosi la sfera protetta da una norma di rango costituzionale, costituente una tipica e tradizionale garanzia della funzione parlamentare rispetto alle intromissioni degli altri poteri dello Stato, si e' prodotto uno straripamento dei poteri dell'autorita' giudiziaria. A prescindere da quale fosse l'ordine dato alla polizia giudiziaria, era la materiale attivita' di perquisizione nell'ufficio del parlamentare che non poteva essere effettuata senza autorizzazione della Camera di appartenenza, a termini dell'art. 68, comma secondo, cost.; sicche' tale materiale attivita' era priva di "scopo" legale, e quindi oggettivamente arbitraria, in quanto lesiva delle attribuzioni del Parlamento. E' sicuro che se ci si pone da un punto di vista soggettivo gli operanti erano certamente convinti e consapevoli di eseguire un ordine della autorita' giudiziaria - nei confronti della quale la polizia giudiziaria e' in rapporto di subordinazione non gerarchica ma funzionale -e non potevano che essere in buona fede, onde sotto l'aspetto in questione non potrebbe esser mosso nei loro riguardi il minimo appunto, difettando assolutamente la coscienza e la consapevolezza di commettere un atto arbitrario, essendovi anzi la convinzione di compiere un atto doveroso. Come pero' si e' detto, la connotazione soggettiva del comportamento del pubblico ufficiale non esclude che sia stato posto in esecuzione un atto oggettivamente illegittimo (cosi' come peraltro lo avevano percepito gli imputati), e pertanto capace di connotarsi come atto eccedente le normali e ordinarie attribuzioni dei pubblici ufficiali, con la conseguenza che non puo' non trovare applicazione l'esimente prevista dal citato D.Lgs.Lgt. n. 288/1944.
 
 

15.7. - Ne consegue, quale ulteriore conseguenza, che il comportamento di tutti gli imputati deve essere ritenuto esente da responsabilita', salvo quanto si dira' appresso.
 
 

15.8 - L'esimente in parola, con riferimento al contesto in argomento, in cui Deputati della Repubblica e simpatizzanti del partito hanno inteso tutelare un diritto che ritenevano comune in quanto assistito da una garanzia costituzionale, ha, infatti, una portata generale e non puo' ritenersi limitato al solo interessato On. le Maroni. Deve quindi ritenersi per tutti gli imputati che sia scriminata la resistenza dal momento in cui la perquisizione, alla vista del primo cartello che indicava un luogo costituzionalmente protetto ex art. 68, avrebbe dovuto essere sospesa (Cass., sez. 6°, u.p. 10 ottobre 1980 - dep. 21 aprile 1981, n. 3648, Pirellas).
 
 

16. - Cio' premesso, tale conclusione non puo' pero' esaurire il giudizio perche' resta aperta la questione della responsabilita' per gli atti compiuti in precedenza. Infatti, se e' vero che, come messo in luce dalla dottrina, la scriminante in esame e' riconducibile al piu' generale diritto di ognuno di resistere e finanche di reagire al sopruso dell'Autorita', non puo' tuttavia assumersi giustificata una reazione violenta a comportamenti, ancorche' illegittimi o arbitrari, da chiunque posti in essere, che non sia necessitata dalla impossibilita' di impedire tali comportamenti facendo valere altrimenti le proprie ragioni.
 
 

16.1 - La ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito che si e' riportata in esordio della presente sentenza assume particolare rilevanza ai fini della decisione, perche' non tutto cio' che accadde quel giorno puo' essere valutato con lo stesso metro. Riprendendo un'espressione contenuta nelle sentenze di merito e', infatti, importante sottolineare come la perquisizione ebbe una esecuzione frazionata, per usare la stessa parola che si legge nella decisione di appello. Di cio' si e' dato ampiamente conto nella descrizione del fatto. Senza ripetere qui cose gia' dette, la questione che nei locali del partito Lega Nord esistesse una stanza adibita a segreteria politica dell'On.le Maroni venne in luce poco prima che le operazioni fossero ultimate. La mattina del 18 settembre 1996, fu lo stesso Maroni a dichiarare che nessuna stanza aveva a disposizione negli uffici della Lega come nessuna stanza aveva a disposizione il Marchini. La prima affermazione fu addirittura confermata dal Calderoli (v. sentenza di primo grado pagg. 7 e 8; sentenza di secondo grado pag. 14). Alla luce di cio' che e' accaduto dopo e' lecito ritenere - per dare una spiegazione degli eventi senza fare affermazioni avventate che non competerebbero a questa Corte - che si tratto', nel caso, di un'affermazione di Maroni che aveva, una connotazione di sfida o, comunque, di un'espressione finalizzata a far desistere gli agenti dalla perquisizione cercando di convincerli che non v'era nulla da perquisire. Cio', pero', non poteva bastare ovviamente per far desistere gli operanti dal dare corso a un atto che in quel momento non solo appariva loro dovuto ma era oggettivamente dovuto. E, infatti, nel pomeriggio venne dato corso all'atto presupposto e nella convinzione da parte della polizia della ricerca della stanza di Marchini e della inesistenza della stanza di Maroni (La questione che all'On.le Maroni era stata assegnata una stanza in via provvisoria risulto' ufficialmente solo molto tempo dopo in dibattimento e fu acquisita al processo a seguito di affermazioni di testi indotti dalla difesa, i quali hanno affermato che quella assegnazione era dipesa dal fatto che il Maroni doveva iniziare a svolgere i suoi impegni riguardanti il "Governo della Padania": v. sentenza d'appello pag. 13; v. anche sentenza della Corte costituzionale di risoluzione del secondo conflitto di attribuzione).
 
 

16.2 - Orbene, ripercorrendo sinteticamente lo sviluppo della vera e propria fase esecutiva della perquisizione, attenendosi al fatto come cristallizzato nelle sentenze di merito possono distinguersi: fatti verificatisi nell'atrio del palazzo (superamento del cordone formato da alcuni degli imputati e da altri simpatizzanti della Lega Nord); fatti verificatisi durante la salita della prima rampa di scale; fatti verificatisi nella fase piu' concitata dei tumulti pianerottolo che, tramite una porta a vetri, dava accesso a un corridoio (porta a vetri sulla quale era collocato un primo cartello indicante la stanza dell'On.le Maroni); fatti verificatisi dopo il superamento di tale porta a vetri e, successivamente, durante il percorso del corridoio e nella fase finale davanti alla porta su cui era apposto il secondo cartello indicante l'appartenenza del locale all'On.le Maroni (sulla esistenza di un primo cartello davanti alla porta a vetri di accesso al corridoio, si veda la sentenza di primo grado alla pag. 32).
 
 

16.3. - Ora, ritiene la Corte, come gia' detto, che, ai fini della attribuzione di responsabilita', si debbano distinguere e valutare diversamente i fatti posti in essere dagli imputati prima che gli operanti si avvedessero del primo cartello, dai fatti verificatisi dopo. Non risulta, infatti, stando a quanto accertato dai giudici di merito, che alcuno degli imputati abbia, prima di tale momento, fatto presente agli agenti l'argomento, a questi ignoto, che rendeva arbitrario il loro agire. E non v'e dubbio che prima del superamento della porta a vetri, davanti alla quale gli agenti si sarebbero dovuti arrestare, si verificarono episodi di violenza attiva, idonei a integrare il reato di resistenza a pubblico ufficiale da parte di alcuni degli imputati per frenare il progredire delle forze dell'ordine.
 
 

16.4. - Nessun reato si ravvisa con riferimento alla formazione del cordone umano che fu superato dagli agenti, davanti alla rampa di accesso alla scala posta nell'atrio, in quanto il fatto rappresenta una mera resistenza passiva. Diverso fu, invece, il comportamento di alcuni degli imputati nella fase di salita della rampa e poi nella fase degli scontri verificatisi pianerottolo (i fatti sono descritti analiticamente nella sentenza di primo grado nelle pagg. 13, 14 e 15). Come si e' gia' detto, nel momento della salita, Maroni afferro' per una gamba l'ispettore Mastrostefano per impedirgli di salire. Analogo comportamento tenne Maroni nei confronti dell'ispettore Amadu che era intervenuto per liberare il Mastrostefano dalla morsa. Si tratta di inspiegabili episodi di resistenza attiva (considerato cio' che il Maroni avrebbe potuto dire subito della esistenza del suo ufficio) e proprio per questo del tutto ingiustificabili. Non solo. Episodi di resistenza attiva si ebbero anche quando gli agenti pervennero pianerottolo dopo il percorso di un corridoio e la discesa di una nuova rampa di scale. Prima ancora della vista del cartello, secondo quanto risulta dalla analitica descrizione della sentenza di primo grado, si verificarono su detto pianerottolo altri episodi di resistenza attiva (3 capoverso della pag. 15). Ci si riferisce non tanto al comportamento di Capanni che cercava di impedire l'avanzata degli operanti con atteggiamenti di resistenza passiva, bensi' al comportamento del Martinelli che prendeva al collo dalle spalle l'Amadu e lo tirava indietro, al fine evidente di impedirgli il passaggio.
 
 

16.5. - Maroni e Martinelli si resero, dunque, responsabili di episodi di vera e propria resistenza attiva, integranti il reato di cui all'art. 337 c.p. ancor prima dell'arresto del Dott. Pallauro e dei suoi uomini e prima che quest'ultimo incontrasse la "emergenza" del cartello (pag. 16, primo capoverso, della sentenza di primo grado). Nessuno - e bisogna ripetere, inspiegabilmente - sino a quel momento aveva avvertito gli agenti della esistenza della stanza tutelata dalla guarentigia costituzionale.
 
 

16.6. - L'attenzione va a questo punto rivolta alla frase che si legge nella sentenza di secondo grado (pag. 14) con cui si afferma che "riferendosi la contestazione di arbitrarieta' al momento ultimativo della perquisizione (cioe' al momento in cui si paleso' la situazione che avrebbe dovuto indurre gli operanti alla desistenza, n.d.e.), il reato di resistenza era gia' stato posto in essere". Questa affermazione va censurata, perche', come si e' visto sinora gli episodi di resistenza attiva furono posti in essere da Maroni e Martinelli ed e' inammissibile coinvolgere a titolo di concorso tutti gli altri imputati senza fornire una doverosa prova del concorso. E' chiaro, infatti che, ove si consideri la particolare situazione ambientale in cui si tendeva a impedire la progressione degli operanti con attivita' che si sono per lo piu' svolte con atti di mera resistenza passiva (per lo meno sino alla fase della "emergenza") non e' dato comprendere come episodi di violenza riscontrati in capo a solo due degli imputati possano estendersi automaticamente a tutti gli altri. Episodi singoli da parte di due persone facenti parte di una folla tumultuosa di persone non possano estendersi in concorso, e in modo automatico, agli altri imputati (si veda su tale questione il motivo 6.3. di Borghezio, che appare fondato: ma la questione riguarda tutti gli altri, esclusi ovviamente Maroni e Martinelli). Su tal aspetto la sentenza impugnata risulta particolarmente confusa: alla pag. 6, infatti, si parla di episodi "riconducibili all'azione rispettivamente di Maroni, di Bossi e di 'Caldarini'". Si paria poi del comportamento di Borghezio, ma con riferimento a episodio verificatosi al momento di sfondamento della porta, fatto che riguarda la fase in cui tutti gli imputati devono ritenersi scriminati per le ragioni che si sono esposte. Ora, a parte la confusione tra Calderoli e Capanni che diventano Xaldarini" e che impedisce di capire a quale dei due imputati la Corte volesse riferirsi, particolare incertezza offre la ricostruzione di un concorso (non spiegato) da parte di Bossi. L'affermazione e' in contrasto addirittura con la sentenza di primo grado che riferisce (con riguardo agli eventi verificatisi pianerottolo) dell'arrivo di Bossi "che invitava i presenti alla calma" tanto che la situazione si tranquillizzo' sia pure momentaneamente (pag. 15 della sentenza di primo grado). Quest'ultimo imputato non e' intervenuto prima della fase ultimativa, se non per cercare di invitare alla calma e non si comprende perche' mai nella sentenza d'appello venga elencato tra le persone che commisero atti di resistenza attiva nella fase iniziale e centrale degli eventi.
 
 

16.7. - Per quel che attiene alla posizione di Maroni, oltre a quanto rilevato sin qui, va dichiarato inammissibile il motivo di ricorso 5.3., perche', come si e' gia' detto, con esso si deducono censure non consentite nel giudizio di Cassazione, riguardando la ricostruzione e la valutazione del fatto, oltre che l'apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio sui quali vi e' una motivazione congrua del giudice di merito che non si presta a censure.
 
 

Sui motivi concernenti il diniego di attenuanti;
 
 

17. - Maroni non ha dedotto motivi sulla mancata applicazione di attenuanti diverse da quelle generiche. Motivi al riguardo sono stati formulati invece da Martinelli (motivi 4.7, 4.8, 4.9 e 4.14 del ricorso dell'avv. Brigandi'), ma diniego delle attenuanti la sentenza appare motivata con argomentazioni, cui si rimanda, che non si sottopongono a censura: dette attenuanti restano pertanto definitivamente escluse.
 
 

Sulla censura contenente le statuizioni civili;
 
 

18. Nel ricorso dell'avv. Brigandi' per Martinelli e' contenuto anche un motivo sulle questioni civili. Sembra che tale motivo abbia il significato di censurare la sentenza di primo grado nella parte in cui non ha tenuto conto che e' stato eliminato il reato di oltraggio: Tuttavia il motivo e' infondato, perche' la liquidazione del danno e' stata rimessa alla sede separata, e il giudice civile terra' conto della misura del danno solo in relazione al reato residuo. Se poi la censura vuole riferirsi anche alla misura della provvisionale, e' noto che la Corte di legittimita' non ha alcun potere punto.
 
 

19. - Traendo le conclusioni da tutto quello che si e' sin qui detto, vanno formulate le seguenti proposizioni.
 
 

19.1. - I ricorsi di Maroni e di Martinelli devono essere rigettati con conseguente condanna degli stessi alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite, liquidate in complessive euro 4.000, di cui euro 3.060 per onorari.
 
 

19.2. - Nei riguardi di tali due imputati puo' procedersi alla richiesta sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, essendo gli stessi incensurati e rientrando la condanna nei nuovi limiti di pena per i quali e' consentita la sostituzione ex artt. 4 e 5, comma 3, della l. 12 giugno 2003, n. 134. Pertanto, operata la conversione a norma di legge va pronunciata la condanna al pagamento della somma di euro 5.320 ciascuno.
 
 

19.4. - Non deve farsi luogo alla condanna alte spese per l'effetto favorevole che consegue dalla impugnazione in relazione alla applicazione di sanzione sostitutiva.
 
 

19.5. - Con riferimento invece agii imputati Bossi, Borghezio, Calderoli e Caparini, la sentenza va annullata con rinvio affinche' altra sezione della Corte d'appello di Milano riesamini i loro comportamenti, rivalutando la questione del concorso con gli imputati che hanno commesso episodi non scriminati di resistenza attiva (Maroni e Martinelli) nella fase iniziale e centrale degli eventi, fermo restando che tutti i ricorrenti restano esenti da punibilita' per gli episodi successivi al momento in cui gli agenti operanti si sono avveduti delta esistenza del cartello che indicava la presenza di una stanza assistita dalla garanzia costituzionale, momento dal quale gli odierni ricorrenti vanno esenti da pena in applicazione della esimente della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale.
 
 

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Bossi Umberto, Borghezio Mario, Caparini Davide Carlo e Calderoli Roberto e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.
 
 

Rigetta i ricorsi di Maroni Roberto e di Martinelli Piergiorgio, nei cui confronti sostituisce la pena detentiva con quella di euro 5.320 di multa ciascuno, ai sensi degli artt. 4 e 5, comma 3, della l. n. 134/2003.
 
 

Condanna Maroni e Martinelli in solido alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili in questa fase, spese che liquida in complessivi euro 4.000, di cui euro 3.060 per onorari.
 
 

Cosi' deciso in Roma, il 9 febbraio 2004.
 
 

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2004

http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/GI0303.htm#_Toc248569337


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