Data di nascita:   24.07.1983
Luogo:  Roma
Peso:  78 kg
Altezza:  184.00 cm
Ruolo:  Centrocampista
Numero di maglia:  16


PRESENZE



2004/05 il 3-3 siglato da Daniele in Roma/Inter




L'esordio in Roma/Anderlecht 2001/02

Il programma di Roma/Parma 26/05/2019





2005/06
Siena/Roma 0-2

Il gol e la corsa di De Rossi sotto la Sud
(4337 kb)

http://it.wikipedia.org/wiki/Daniele_De_Rossi
Roma/Brescia 2004/05
2004/05
                  Roma/Brescia


Roma/Inter finale Coppa Italia 2007-08
2010/11 Roma/Lazio
                  2-1 Coppa Italia, 4° derby consecutivo vinto
Bologna/Roma
                  2010/11 (sospesa)

Lazie/Roma 2014/15

La Roma, giugno 2003

La Roma, giugno 2003

"Io te rompo er culo, testa di cazzo"
Daniele De Rossi insulta Stankovic (mpg)




Messaggio da Riccardo Calafiori


2001-02 Roma 0
0
2002-03 Roma 4 2
2003-04 Roma 17
0
2004-05 Roma 30 2
2005-06 Roma 34 6
2006-07 Roma 36 2
2007-08 Roma 34 5
2008-09 Roma 33 3
2009-10 Roma 33 7
2010-11 Roma 28
2
2011-12 Roma 32 4
2012-13 Roma 25
0
2013-14 Roma 32 1
2014-15 Roma 26
2
2015-16 Roma 24
1
2016-17 Roma 31
4
2017-18 Roma 22 1
2018-19 Roma 18 1


459 43

Il Romanista 14/11/2011


De Rossi nella
                  Primavera
Daniele De Rossi
                  bambino

STAGIONE 2019/20 AL BOCA JUNIORS




INTERVISTA 30 APRILE 2007 DOPO ROMA/LAZIO
Parliamo della tua intervista a Sky. Non mi sembra tu abbia parlato in modo tale da far risultare una spaccatura tra te e i tifosi.
"Io penso che non ci siano i presupposti per creare una spaccatura tra me e i tifosi, anche perché veramente mi danno tantissimo. Qualcosa penso di dargliela anche io a loro, ma loro mi hanno sempre amato tanto, anche nei momenti in cui le cose non mi andavano bene a livello personale, mi sono sempre stati vicino, non mi hanno mai fatto mancare l'appoggio. E mi è dispiaciuta questa cosa. Se l'hanno creata ad arte o c'è stato un fraintendimento e non mi sono espresso bene, questo non lo so".

Hai detto che umanamente parlando, ci sei rimasto male (per i fischi della Sud dopo il derby, ndr)
"Io non ho mai pensato di delegittimare i tifosi di questo diritto che
hanno. Con tutto quello che ci danno, ci mancherebbe che ci straniamo subito appena ci fischiano. Secondo me in quel momento non era giusto, anche perché stavamo rientrando sotto la Curva, dopo esserci resi conto di non aver  salutato nessuno, dal sottopassaggio dei distinti. Volevamo salutare quelli che poi stanno sempre lì, che sono i ragazzi della curva. Io, come i miei compagni, stavamo tutti per rientrare. Magari qualcuno ha sentito qualche fischio è non è rientrato per niente, è andato direttamente negli spogliatoi. Lo sfogo che ho avuto io non è stato neanche uno sfogo, alla fine. Quando è finita la partita, i fischi li abbiamo sentiti subito e quelli sono rivolti alla squadra. E noi come squadra li accettiamo. Quando
sono rientrato per salutare i tifosi, e non è stata solo una questione di fischi, è stata anche una questione direttamente a me che ero rientrato, c'è stato qualche fischio e qualche parola, tipo 'buffone', 'venduto' e quello mi ha fatto più male. Perché non era una cosa generale, un gesto di nervosismo che avevano i tifosi, o una cosa quasi isterica che fischiavano
per il nervoso di non aver vinto il derby. Erano proprio questi pochi tifosi che mi guardavano e mi dicevano 'buffone', 'venduto', 'vattene'. Sotto la curva, sentire 'vattene', insomma. Ognuno fa quello che vuole, quello che crede sia giusto fare. Se mi vogliono fischiare anche la prossima partita, è una loro libera scelta, per carità. Questi interventi che ho fatto oggi
assolutamente non sono per far rivedere niente a nessuno, perché non sarebbe giusto. Anche perché quando penso una cosa io non voglio che mi si gonfi la testa di parole per farmi rivedere la mia posizione. Il coraggio di rientrare in campo? I fischi non hanno mai ammazzato nessuno".

La curva non aveva digerito il risultato finale.
"Non lo aveva digerito la curva, non lo avevamo digerito bene noi. Diciamo che è quello che abbiamo sempre fatto, un attestato ai nostri tifosi, se andiamo a vedere è una cavolata andare sotto la curva e battere le mani, però noi ci teniamo. Perché loro ci vogliono bene e noi, non solo io ma tutta la squadra, vogliamo bene a loro. E l'applauso che andiamo a porgere a loro, dopo quello che hanno fatto loro a noi, è un gesto che abbiamo fatto altre mille volte e che era giusto fare anche questa volta. Forse non è stato apprezzato al 100%, c'è stata una piccola parte che non ha accettato questo saluto. Era un saluto tra amici che si salutano, anche se non si era d'accordo sull'operato fatto nel pomeriggio, che noi volevamo porgere ai nostri tifosi".

Si dice che la Roma ha un bel calcio, però alla fine se si sbaglia la Coppa Italia, questa stagione rischia di essere ricordata per le cose "non vinte".
"Il rischio lo corriamo e lo sappiamo anche noi. Quest'anno sarebbe importantissimo anche per questo vincere la Coppa Italia. Non nascondo che è un po' frustrante questa cosa, perché in due anni abbiamo fatto un lavoro. 
Veramente, stavamo, come si dice, con le toppe. Rischiavamo di andare a vedere degli scenari molto più bui del fatto di perdere un derby. Però ne siamo usciti con il lavoro, continueremo a fare quello che stiamo facendo, cioè bene. Perché sono stra-convinto che questa squadra sta facendo bene. E sono altrettanto convinto che questa finale di Coppa Italia abbia un valore superiore a quello che si dà di solito ad una vittoria di Coppa Italia. Per esempio, se avessimo vinto la Coppa Italia l'anno di Del neri, come disse Tommasi, che per me è una persona straordinaria, 'sarebbe stata una follia
di aver fatto una stagione così disastrosa, così brutta sotto tutti i punti di vista, e alla fine ti trovi con una Coppa Italia in bacheca'. Magari non saremmo stati capaci di renderci conto che avevamo fatto qualcosa di brutto in quella stagione. E invece, il fatto di non aver vinto niente ci ha lasciato questo coltello in mezzo ai denti, che noi lo vogliamo da due anni. 
Perché questa squadra sta lottando con tutte le proprie forze. Poi abbiamo fatto una figuraccia a Manchester, abbiamo perso male il derby d'andata,  quello non ce lo toglie nessuno. Perché non siamo ancora una squadra perfetta, una squadra vincente che tutti noi vogliamo diventare. Però, cominciare con una Coppa Italia, che potrebbe essere quella di quest'anno, soprattutto se vai a battere l'Inter che è l'armata che quest'anno ha ammazzato il campionato, sarebbe importantissimo".

Chiariamo anche le parole che hai detto ieri sulla tua permanenza nella capitale.
"Era un discorso molto più ampio, più generale, molto trasparente. Io prima ho sentito dire che magari i giornalisti non hanno capito. Io li conosco, viaggiano con noi in aereo. Non sono stupidi, loro. Se vogliono capire, capiscono. Le frasi erano molto semplici, quindi il fatto che sia stato travisato... Purtroppo devo generalizzare, non sto facendo nomi, ed io non ho problemi a farli, perché stamattina non ho comprato giornali. Sono rimasto a casa, a letto. E mi hanno avvisato di quello che era successo. Ho cercato di sapere in linea di massima. Ma non ho letto i giornali e prima voglio vedere con i miei occhi e sapere bene. Sparare nel mucchio non è elegante e non è produttivo. Io penso che chi ha frainteso, ha frainteso completamente. Mi dispiace non poter dire chi ha frainteso, perché chi lo ha fatto lo sa. Quindi facciamo finta che io stia facendo i nomi, come se avessi già letto il giornale. Ho detto soltanto che il mio desiderio è di rimanere a Roma tutta la vita. Il desiderio della società è lo stesso. Il desiderio dei miei tifosi è lo stesso. Penso che questa cosa si avvererà. 
Poi, se tu mi dici, 'mettici la mano sul fuoco', io ti dico di no. Perché non faccio brutte figure come è successo in precedenza, che qualcuno ha detto che sarebbe restato a Roma tutta la vita, e poi dopo sei mesi si è trovato a salutare tutti. Perché quando uno va a rinnovare il contratto, ci sono mille fattori che non incideranno però sul mio desiderio e su quello della società di rinnovare il mio contratto che, tra parentesi, scade nel 2009. Quindi non è che scade tra due mesi, allora devi sbrigarti. E' una cosa molto serena, molto tranquilla. L'ipotesi che io lasci la Roma è molto molto remota, di più. Però è un discorso di onestà intellettuale: al 100% non è sicuro nessuno di rimanere con la squadra, secondo me. Ancora non c'è stato né il tempo, né il motivo di metterci su questo tavolo. Sicuramente, quello che sento, è una voglia di questa società di tenermi e di farmi diventare una colonna di questa squadra. Ed è lo stesso desiderio che ho io. Poi però, voi mi insegnate, che ci sono tante altre cose che girano intorno. E bisognerà vedere. Piano, piano. Quando ci incontreremo lo vedremo. Ma se io non ho mai parlato con la dirigenza per rinnovare un contratto o per un progetto, come posso dire che al 100% rinnovo con la Roma. Non sarebbe giusto. Io dico che al 99% succederà. Che al 100% è la mia volontà e la volontà che hanno i dirigenti. Questo lo sento e me lo fanno sentire sempre".

Quando il capitano, Francesco Totti, appenderà gli scarpini al chiodo, sarai
ancor di più un giocatore importante. Quindi questo è un contratto
importante per la società.
"Sì, questa è la sintesi. Ma non era quello che ero andato a dire io ieri
sera. Se devo fare una dichiarazione, prendo il telefono e chiamo, lo dico
in sede. Non è nel mio stile e nel mio carattere di andare a fare piagnistei
sui giornali, per mettere fretta per mettere pressione a delle persone che
comunque stanno facendo un ottimo lavoro. Possono essere Rosella Sensi, 
Pradè, Bruno Conti, eccetera. Li conoscete meglio di me".

I leader in una squadra se sono due è un vantaggio per tutti. Come far capire alla gente che non potrà mai esserci una gelosia tra te e Totti? Un antidoto all'anti-stronz.
"Un antidoto all'anti-stronz. purtroppo non c'è. Io l'ho detto, ne sento di tutti i colori, me le vengono a riportare. Io abito qui e i miei amici sono sempre quelli, che sentono le radio e mi vengono a dire che a Bergamo sono rimasto a parlare con Oriali dell'Inter e non sono tornato con la squadra. 
Veramente, sono fantasie. Io penso che la nostra squadra sia tutta all'altezza: sia mia che di Francesco (Totti, ndr). Siamo tutti un grande gruppo. Chiaramente Francesco si porta dietro quella storia che noi ancora non abbiamo. Lui ha fatto la storia della Roma ed è giusto che sia visto come il leader, come la bandiera di questa squadra perché l'ha dimostrato con i 
fatti, anche fuori dal campo. Se dovessero venire altri giocatori anche più forti di noi, anche più rappresentativi di noi, noi siamo ben contenti, perché ci farebbe sicuramente vincere qualcosa di importante e il nostro desiderio è solo quello. Per quanto riguarda il fatto che si possano inventare che ci sono problemi tra me e Francesco (Totti, ndr), stiamo sempre insieme, siamo insieme in campo, fuori dal campo".

Anche a cena insieme, come ieri sera. Amici ristoratori me lo hanno detto.
"Amici ristoratori non possono avertelo detto, perché stavamo a casa mia!".

Quanto ti arrabbi per le trattenute che ti fanno in area e non ti fischiano mai rigore?
"Se immagini una cosa frustrante, ecco è di più. Perché ti prendono, ti strattonano la maglietta, ti bloccano. Tu, per liberarti, magari gli dai una spinta e ti fischiano il fallo contro. Allora divento matto. Io, poi, sono 'rosicone' in tutto, da quando sono bambino. E' una cosa che mi manda al manicomio, perché l'arbitro mi guarda e mi dice 'non vi tenete', io gli dico 'guarda che mi tiene lui'. Lui ti guarda e ti fischia il fallo contro. E allora che parliamo a fare. Non sto parlando di Rizzoli, che secondo me ha arbitrato anche bene, dico in generale".

Ieri sera, presentazioni tra il piccolo Christian (Totti, ndr) e Gaia (De Rossi, ndr)?
"Sì, ma loro sono amichetti. Vanno a scuola insieme. Sicuramente ci sarà un'amicizia grande, come c'è tra i genitori, ci sarà anche tra i bambini".

Capitolo Mondiale: raccontaci il momento in cui hai calciato il rigore.
"Un momento bello, lo ricordo così perché poi è andato bene il rigore, l'esito della partita. Però è un momento forte, che non desidererei rivivere, perché l'adrenalina, la forza interiore che ti dai da solo. Alla fine, nonostante ci siamo mille parenti in tribuna, in quel secondo te la devi dare da solo  la forza. Purtroppo, quei cinque-dieci minuti che sono passati dalla fine 
della partita a quando dici che batti il rigore, a quando arrivi sul dischetto, sono interminabili. In più Trezeguet aveva sbagliato due secondi prima di me, quindi un po' di presa in più c'era. Però me lo ricordo in maniera positiva, soprattutto perché quel rigore mi ha reinserito in quel Mondiale che mi era sfuggito via in maniera un po' stupida, per colpa mia. 
Mi ha ridato un pezzetto di Coppa del Mondo".

I guanti, Bartelt, non ce li ha tirati, però, dopo.
"Lì non ci arrivano. Io neanche mi ricordo di aver detto questa frase. Poi ho letto il labiale e mi sembra di sì. Di sicuro abbiamo provato mille rigori in quel ritiro lì e, ogni volta che segnavamo ai portieri, Buffon, Peruzzi, Amelia, la frase 'buttaci i guanti' è il massimo. Le prese in giro durante l'allenamento sono all'ordine del giorno, anzi, all'ordine del
minuto".

Alla Roma per il futuro servirebbero più centimetri e più muscoli in campo. Tu che pensi?
"Non lo so. Ultimamente è una cosa che va di moda questa dei centimetri, perché le squadre che hanno vinto lo scudetto negli ultimi due anni, sono squadre molto forti, molto importanti sotto questo punto di visto. Non mi piace però entrare dentro questi dettagli, anche perché se dicessi di sì,  andrei a toccare quelli che di centimetri ce ne hanno di meno. Se dicessi di no, è come se volessi dare un consiglio alla società. Sicuramente questa è un'ottima squadra che, con qualche innesto, potrebbe diventare una grande squadra. Ricordiamo che abbiamo fatto tantissimi punti: con altri 5-6 punti
la Roma c'ha vinto lo scudetto nel 00-01. Va considerata anche l'Inter, che ha 'rischiato' di fare cento punti.".

Perché rimani sempre così sereno e pacato quando segni tu o un tuo compagno? (sarcastico)
"Quella è una cosa istintiva. Di sicuro non è una cosa studiata, ci tengo a dirlo. Non vorrei mai che si pensasse che esulto in maniera così forte o che vado di corsa ad abbracciare i miei compagni perché voglio far vedere che sono tifoso o uno attaccato alla maglia. Questa è l'ultima cosa che penso. E' uno scatto che mi viene da fare, è interiore. Perché sento la partita, per l'importanza che do al mio lavoro.
Esulto alla stessa maniera quando segno in Nazionale, non proprio allo stesso modo, magari.
Però ci tengo sempre quando gioco".

Giannini, Caprioli, Desideri; Totti, De Rossi, Aquilani: ti senti orgoglioso quando entri in campo e si evince la romanità?
"Fa piacere il fatto che ci sia un'identità, un'anima romana dentro la squadra. Non ti nascondo che da sempre stimo e ammiro l'Atletic Bilbao che ha questa squadra tutta composta da baschi. Uno, penso che nel calcio moderno non sia applicabile una cosa del genere, soprattutto qui in Italia. 
Due, penso che questa città abbia fatto diventare tutti i miei colleghi, i miei compagni di squadra molto più romani di tante altre persone che stanno qui da una vita e che ci sono nati. Io vedo giocatori attaccati alla causa, i vari Mexes, Chivu, Panucci, adesso non voglio fare troppi nomi, sennò mi dimentico qualcuno, e sono tutti giocatori molto romanizzati".

Chi è stato più importante per la tua crescita: Capello o Spalletti?
"Capello è stato determinante per me, è stato molto importante. Lui è arrivato che io giocavo con gli Allievi nazionali e quando è andato via ero in Nazionale maggiore. Quindi, è impossibile chiudere gli occhi e far finta che non sia stato determinante per me. Anche perché in quegli anni mi ha valorizzato, mi ha centellinato, anche. Mi ha fatto capire tante cose, che prima non capivo e che adesso mi rendo conto di quanto siano importanti. 
Guardo i ragazzi che hanno 18 anni ora e penso che in qualche maniera Capello è importante per un giovane. Il discorso di Spalletti è diverso. Quando è arrivato lui ero già visto come un giocatore grande, considerato come un titolare. Il rapporto che si è creato è stato ancora più forte. Con Capello non poteva essere così, perché mi ha preso che avevo 16 anni e non 
poteva crearsi un rapporto quasi di complicità con lui, come c'è ora con Spalletti, con il quale lavoro da due anni e con il quale mi trovo benissimo. Forse con Spalletti lavorerò ancora di più, perché penso che rimarrà alla Roma per molto tempo ed è una grande fortuna sia per me che per la Roma".

Quanto sei stato vicino alla Juventus, quando Capello voleva Davids?
"Quello che posso assicurare è che quando hai 18 anni non è che ti mettono più di tanto al corrente di una situazione piuttosto che un'altra. Queste cose le so, perché la società me le ha dette anche dopo. Quello che so per certo è che era quasi fatta, perché per prendere Legrottaglie io dovevo andare al Chievo, che mi aveva messo come contro-partita unica. A 18 anni non è facile dire 'no, non voglio andare a giocare lì'. A quell'età ti prendono per 'montato' entro trenta secondi. La forza me l'ha data Capello che ha detto che io dovevo restare con la Roma e lì è stata la chiave di svolta della mia carriera".

Tra 5-6 anni quando Totti smetterà, ti senti già i galloni di capitano addosso?
"Penso che tra 5-6 anni avrò accumulato le esperienze giuste, per poi mettermi quella fascia addosso. Anche quello è un percorso che va fatto in tutte le sue tappe. Prima sei un ragazzo che si affaccia, fai il capitano nelle amichevoli, poi diventi vice-capitano, poi diventerò capitano. Penso, per il panorama che si prospetta, lo potrò fare io. Poi non lo so. Penso che
tra sei anni avrò acquisito un'esperienza tale da permettermi di fare anche il capitano. Per me sarebbe un onore, ma penso che ancora ne devo mangiare di 'pagnotte', come si dice a Roma".

17 Maggio 2007. Partita di ritorno della Finale di Coppa Italia.
"C'è da mettere qualcosa nella bacheca della Roma, più che altro. C'è da 
vincere qualcosa, da arrotare il filo tangibile di questo lavoro che stiamo facendo, di questa grande squadra che abbiamo costruito. Purtroppo non sarà facile, perché loro hanno già vinto lo scudetto da una settimana,  arriveranno belli freschi per questa finale. Sicuramente vincere uno scudetto è importante, ma vincere scudetto e Coppa Italia è ancora più gustoso. Quindi se la giocheranno alla morte anche loro. Noi abbiamo già vinto da loro, a Milano, quindi se potessimo fare a cambio e dargli tre punti in campionato e prenderci in Coppa un 3-1 fuori casa, volentieri. Ma sarà un'altra partita. Ciò non toglie che possiamo ripeterci".

Un aggettivo per la Curva Sud?
"Unica. Non so neanche se è un aggettivo. In analisi grammaticale non andavo molto bene.
(scherzando). Unica, lo è per me che sono romano. Magari per un altro che è di Napoli è unica la sua curva.
Però, per me, che sono sempre stato romano, ai miei occhi è unica.
Era unica quando la andavo a vedere al Flaminio perché c'erano i lavori all'Olimpico, unica adesso che sento i canti nei miei confronti. Per quanto riguarda l'altro discorso, non voglio
chiarimenti con nessuno perché non ce n'è bisogno. Non voglio sapere neanche chi è stato. Può succedere. Tante volte le ho fatte io le cavolate. Io ho risposto male a mia madre e a mio padre, figuriamoci se loro non possono dire una parola fuori posto a me. Può succedere, chiuso qua. Non ci sono
problemi". 
(intervista del 30 aprile 2007)


23 marzo 2012
Domani c’è Milan-Roma. Come sta il tallone?

È più un fastidio che altro. È un dolore, non è un infortunio“.

Dipendenza da campo?
Giocherei tutte le partite e per 90 minuti. Quando sto fuori per infortunio sono un tormento. In vacanza conto i giorni. Ho sentito tanti giocatori dire: smetto presto e mi godo i soldi. All’inizio la pensavo anch’io così. Poi vedo che cambiano idea e, pian piano, lo sto facendo pure io. Ne conosco uno solo che l’ha detto e l’ha fatto: Hide Nakata. Altra categoria. Altra testa”.

Cambierebbe il mondiale con uno scudetto?
Vincere un Mondiale è indimenticabile, ma io non nasco tifoso dell’Italia. Nasco tifoso della Roma. Da bambino sognavo lo scudetto. Ci stavo dentro a quel sogno, era a mia misura, mi sembrava possibile. Poi è finita che ho vinto il Mondiale e che lo scudetto sto ancora ad aspettarlo”.

Luis Enrique è l’allenatore giusto per vincerlo?

“A me la sua idea di calcio piace. Me ne parlava Guardiola, quando era alla Roma, e ora posso provare a giocarlo anche se il paragone con il Barcellona ti ammazza, perché loro sono troppo forti. Però, se non ci provi, non ci riuscirai mai”.
 
Ascolta le radio romane? Negli ultimi giorni sono usciti dossier per screditare Baldini, truffe contro la Roma, si è mossa la magistratura…

“Sono garantista, non giudico nel merito. Sono finito in prima pagina perché uno che non sentivo da dieci anni ha fatto il mio nome a caso nello scandalo scommesse. Capisco i tifosi delle squadre, lo sono anch’io, sono un tifoso che va in campo e non in curva, ma non capisco i tifosi delle radio o delle presidenze. Succede solo a Roma”.
 
La Roma è partnership con la Disney: che personaggio le faranno fare?

“Paperon de’ Paperoni. Con quel contratto che mi hanno fatto…”.


INTERVISTA DEL DICEMBRE 2009
Come se avessero stappato la porta del campo prima del giudizio universale - inferno o paradiso si sarebbe capito solo dopo - Daniele De Rossi è schizzato dal tunnel degli spogliatoi correndo in mniera disarticolata. Mancava mezz'ora all'inizio del derby e l'uomo cannone è stato sparato sulla pista d'atletica con un pallone in mano: quando se n'è accorto l'ha calciato verso il cielo (dal boccaporto della Sud è arrivato praticamente sui cartelloni pubblicitari della Tevere), poi è saltato in terzo tempo, atterrando sulle ginocchia a colpire con un pugno l'erbetta umida, in quel gesto solitamente lieve di toccare il terreno prima di segnarsi e raccomandarsi al proprio dio, ma che a lui è vento così, violento e scomposto. Poi, nell'impeto psicotico, finalmente Dniele ha guardato casa sua, la curva Sud, quasi stupendosi di trovarla lì, ruggente e compatta:e solo allora è scattato il saluto, anch'esso sovradimensionato, braccia mulinate e nuscoli del viso sbrasati, a scatenare l'ovazione nell'ovazione. Il derby di Daniele De Rossi è cominciato così, alle 20.10, e non poteva che finire allo stesso modo, poco prima delle 23, braccia mulinate e muscoli del viso sbrasati, stessa incontenibile euforia, stavolta solo più motivata, stavolta di scarico, stavolta consapevole.

Sembravi un matto, Danie'.
"Ero un pò trascinato dal momento, in effetti. Il derby è forse l'unica partita in cui chiedo l'urlo della gente, anche se non ce ne sarebbe neanche bisogno, ma per il resto il mio atteggiamento in campo è sempre molto sereno, non mi arrabbio mai con gli aversari, cerco di essere collaborativo con gli arbitri, e non faccio come certi colleghi che dopo un fallo laterale incitano la curva e chiedono il boato. A me st'effetto lo fa il derby".

Dove la prendi questa carica?
"L'ho trovata dentro ventisei anni da romanista. Qualunque tifoso che andasse a giocare un derby si sentirebbe come me, magari impalato come capitava a me nei primi anni per poi tramutare l'emozione in grinta, per vincere quella che resta sempre - purtroppo - la partita più importante dela stagione".

Ma riusciresti a descrivere "fisicamente" che cosa blocca la Roma in queste partite?
"Tutto quello che ti porti dietro ti blocca... Temevamo tutti che la Lazio si ritrovasse all'improvviso proprio contro di noi. Sono cose difficili da spiegare, si sentono o non si sentono. Le gambe vanno, pure all'ultimo derby. Però, poi, ahò, consideriamo anche altre cose...".

Tipo?
"Per qualcuno la Lazio ha fatto una gran partita... Ma quale gran partita? Si sono difesi in undicie hanno fatto un tiro in porta su un passaggio sbagliato nostro. Hanno fatto poco poco, per carità, e pure noi. Forse sarebbe stato più giusto un pareggio, e invece...(bip, ndr)".

Qual è la Roma che t'ha fatto innamorare quando ne eri smplice tifoso?
"Quella del Flaminio, sono quelle le prime partite che ho visto con papà: Manfredonia, Gerolin, Bruno Conti, Tempestilli, Nela, Giannini, Voeller, io ero innamorato di Voeller, poi dopo il '90 ho cominciato a vivere l'Olimpico, anche se mi sembrava strano che la curva fosse così lontana dalla Tevere, quasi innaturale. Perché io poi sono affascinato dalle curve. Losai, non lo dico per ruffianeria, per me è sempre stato così, ancora adesso quando vado a giocare in trasferta la prima cosa che faccio è guardare la curva loro, pure con la Sampdoria mi ha fatto effetto, hanno un coro bellissimo con l'inno della Scozia che me fa morì".

A proprosito di curva, quest'anno un paio di episodi sembravano aver raffreddato un pò i rapporti. Come hai vissuto quelle tensioni con Totti e Okaka?
"Non le vivo bene. Per me quello con la curva è il rapporto più sano e puro che ci può essere, lì trovi tifosi che non hanno interessi, non hanno doppi fini hanno un amore viscerale, è il rapporto migliore tra tutti quelli che pu avere un calciatore, con i dirigenti, con i colleghi, con i procuratori, con i giornalisti. A volte loro non possono capire noi perché ci vorrebbero sempre brillanti e vincenti, a volte noi non capiamo loro. Però questo feeling è meraviglioso, e quando si incrina a me piange il cuore, ma fa male a tutta la squadra. Poi con Francesco si sono spiegati. Il loro amore per il più importante giocatore della Roma resterà immutato".

Col derby ci avete messo una pietra sopra?
"Eravamo felicissimi, è indubbio, ma non dev'essere solo il derby a ridare questa serenità. Una squadra che si impegna merita rispetto, almeno io da tifoso ho sempre ragionato così, e a noi l'impegnonon è mai mancato".

A proposito di rapporti, ma qualche rimpianto su quello che è accaduto con Spalletti ce l'hai?
"Ne ho tanti, il più grande è quello che purtroppo non abbiamo vinto. Ma sai come la penso, per me quell'anno non è dipeso da noi. Solo che se Spalletti avesse aggiunto quella ciliegiona sula trta probabilmente le cose sarebbero andate diversamente anche in futuro. Gli auguro ogni bene a San Pietroburgo, anche se così sarà più difficile per noi andare a cena. Noi poi abbiamo trovato un allenatore dierso - come età, mentalità, carattere - che ha un grandissimo pregio: la lealtà. E io preferisco centomila volte un allenatore leale agli scienziati che girano per l'Italia e per l'estero".

Quello scudetto ce l'hanno tolto, hai sempre detto. Ma gli arbitri successivamente come si sono comportati con te? Sono una categoria molto permalosa, dicono.
"Loro sono un pò permalosi e io sono un bel rompiscatole. Le due ose si conciliano male, ma devo dire che loro mi rispettano. Forse un pò sono prevnuti perché sanno che sono rompiscatole. E quando sul campo comincio un pò a rompere le scatole loro si scatenano, con l'ammonizione per protesta che magari non merito. Ma devo dire che le cose vanno sempre meglio in questo senso".

Hai voglia di chiarire quelle voci che dipingevano te e Francesco su posizioni distanti?
"Ripeto quello che ha già detto Francesco. Pure falsità. Mai successo niente tra me e lui. Non riesco proprio a capire chi possa inventare certe cose e capisco ancor meno chi a certe voci poi dà credito".

Con lui ti unisce anche uno strano destino in Nazionale: entrambi avete macchiato le vostre esperienze con due episodi spiacevoli, la tua gomitata a Mc Bridee il suo sputo a Poulsen. Conoscendovi, restano due episodi inspiegabili. Trance agonistica? O errori di gioventù?
"Trance agonistica che ti prende quando sei un pò ingenuo. L'esperienza ti aiuta a migliorare. Poi magari può succedere sempre, specialmente se c'è già ruggine con l'avversario con cui ti scontri. Ma io quello non l'avevo neanche mai visto. Poulsen inece l'aveva pesantemente provocato. La mia era solo foga. Quando sei giovane pensi che in campo servano cose che nella realtà poi non servono a niente, tipo metterci forza, irruenza, un pò di prepotenza nei contrasti".

Tu qualche errore di gioventù l'hai commesso. La scenetta di Bruges, per esempio, è divertente a ricordarla oggi: tu espulso nel primo tempo e Spalletti che ti insegue per rimproverarti mentre lasci il campo.
"Quell'espulsione fu ridicola. Quello mi diede un pizzico dietro la schiena a palla lontanissima, io gli allontanai d'istinto la mano e quello crollò folgorato. Il guardialinee a quattro metri segnalò la mia espulsione pur avendo visto tutto. Se Spalletti s'è arrabiato è stato un problema suo".

La coppa del mondo vinta a Berlino, vista la finale giocata e quel rigore tirato, è stata molto tua. In Sudafrica con quale animo andrai?
"Se non avessi alzato quella coppa, giocando la finale e segnando il rigore, non avrei avuto un bel ricordo di quell'esperienza. Il prossimo sarà un mondiale più maturo. Purtroppo se faremo il massimo avremo solo fatto uguale...".

Lo ricorda anche Cagnucci nel libro su di te, tornando sull'aereo da Berlino inaugurasti questo drastico taglio di capelli...
"E' vero me li tagliò Cannavaro, ero mezzo ubriaco su quell'aereo, ma io avevo avuto sempre voglia di farmi la boccia. Da lì m'è piaciuto, mi piace come ci sto, mi piace la comodità, io non sò uno da cremine e treccine, non c'ho fantasia, sò pigro, la boccia è la cosa più comoda del mondo".

Bello il libro che Cagnucci ha scritto su di te.
"Bello sì. E pure imbarazzante. Mi sono arrivati complimenti anche a me, era difficile spiegare che non l'avevo scritto io".

Passiamo al campo: dove può arrivare questa Roma?
"L'obiettivo ce l'abbiamo davanti. Se battiamo il Parma siamo quarti, chiudiamo l'anno da quarti, mangiamo il panettone da quarti. Domenica mi piacerebbe vedere lo stadio vecchia maniera, stracolmo. Vorrei vedere 50-60.000 tifosi per Roma-Parma, anche se è solo Roma-Parma. Abbiamo bisogno di loro".

E una volta arrivati quarti?
"Arriviamoci. E quando ci arriveremo guarderemo i quinti che rimangono lontani e magari butteremo l'occhio pure ai terzi, per avvicinarli. Ma non dovremo fare come l'anno scorso, quando battemmo il Genoa e ci sentimmo in paradiso, pronti ad arrivare secondi. Pensimo solo all'obbiettivo più vicino. Mi preoccupa chi pensa adesso al secondo posto".

Quando hai esordito nella Roma, Capello tenne un certo Guardiola in panchina. Ora gidando il Barcellona ha vinto tutto. Un esempio per tutto il mondo del calcio, per quello che è stato, per quello che è oggi.
"Pep è un mito vero. Lui era quello di oggi anche in campo. Io da sempre mi sono ispirato a lui. A lui e un pò a Davids".

Ne sei diventato una splendida sintesi.
" Ti ringrazio... A Pep in effetti mancava solo quello che serve soprattutto qui in Italia. E noi non lo capivamo, ma già all'epoca ci voleva spiegare quello che sarebbe stato poi il suo Barcellona. Per me è incredibile vedere giocare la sua squadra, vedo in campo undici piccoli Guardiola. Per me poi giocare nello stesso anno con lui, con Tomic e con Tommasi è stato fondamentale. Tre persone eccezionali, a prescindere dal fatto che poi fossero anche centrocampisti. Ho avuto una gran fortuna a incontrarli".

Alla vigilia di Barcellona-Inter, al cronista che gli chiedeva se per caso non avesse pensato di giocare in maniera cauta, Guardiola ha risposto splendidamente: " Noi andiamo ad attacre, se va male e andiamo a casa, andiamo a casa così all'attacco. Non c'è altra maniera di giocare in questa casa". Non sarebbe bello impostare questa mentalità anche nella nostra casa?
" E' tutto troppo diverso qua. Loro a sette anni cominciano a giocare cos,è una cultura calcistica troppo diversa, in Italia non ce l'abiamo. Noi a Roma siamo stai bellissimi per tanti anni, forse stiamo tornando su quei livelli, almeno me lo auguro. Ma non era quel tipo di bello. Quello  solo loro. Noi abbiamo qualche particolarità che ci fa speciali, siamo romani, ma le nostre sono troppo diverse dalle loro. E loro hanno speso un sacco di soldi per prendere Messi bambino".

Tanti ne spenderebbero anche per prendere De Rossi adesso. E non solo loro. Quanto pensi a questa cosa? Ai 50-60 milioni che si dice siano pronti molti club a sborsare per averti.
"Ogni tanto ci penso, come no. Quelli che vi raccontano che non pensano a queste cose sono falsi. Ma di base c'è da dire chela società ha sempre rifiutato queste offerte, e quindi anche la mia volontà on è mai dovuta diventare decisiva"

Quindi se loro ti ritenessero cedibile tu ci penseresti?
"No, non me ne andrei lo stesso. Me ne andrei solo se mi dicessero che la mia cessione è indispensabile per sopravvivere"

Bello sentirtelo ripetere.
"Ti racconto un episodio: al derby a bordo campo c'era anche un mio amico, inutile che ti dica il nome, è molto romanista, ma forse più mio amico che romanista. Lui mi dice sempre che dovrei andar via da Roma e vivere certe emozioni tipo Real-Barcellona o Manchester-Liverpool. A fine partita l'ho incrociato, non sapevo neanche che stesse li, ci siamo abbracciati e gliel'ho detto:"Lo vedi, lo vedi perchè resto qui, lo vedi?" Adesso finalmente ha capito"

E questo era ancora più bello...Un vero supereroe, come nella nostra copertina mentre abbracciavi il fisioterapista Silvano Cotti, con quella mascherina che  secondo alcuni addirittura ti dona...
"Mi ci devo abituare, dovrei tenerla quaranta giorni, vedrò dopo Roma-Parma. Tanto ormai non mi da alcun fastidio, c'era solo l'elastico che mi segava, poi ci ho messo un salvapelle e adesso va meglio"

Confidenza per confidena, puoi raccontare finalmente che cosa vi siete detti du tanto segreto tu e Julio Baptista alla fine della sfida Italia-Brasile alla scorsa Confederations Cup?
Quante favole si sono raccontate u quell'episodio. E io non volevo raccontare la verità perchè pareva brutto...perchè parlavamo di quanti giorni avevamo di vacanza! Io avevo appena parlato con Spalletti che ci aveva concesso dei giorni supplementari. E invece giravano delle interpretazioni labiali, io che avrei detto se la società era stata comprata, e quando, e da chi...'ste cose mi fanno impazzì"

Non ti fa strano vedere Alberto Aquilani con la maglia del Liverpool?
"Un pò si, anche perchè ancora non ha ripreso a giocare con continuità. Ma sta bene, lo sento sereno"

Una volta invece hai deto che non vedevi Spalletti allenare il Chelsea. E lui se la prese.
"In realtà si stranì quando feci quell'altra battuta in diretta e dissi, "chi è che parla l'allenatore del Chelsea?". Ma io sò così, scherzo sempre, glielo spiegai. Era solo una battuta, magari potevo risparmiarmela".

Ma è vero che i rapporti tra la squadra e Spallettisi sono incrinati quando andò a parlare con Abramovich?
"Altre invenzioni. Come la lite Cicinho-Ranieri di qualche giorno fa. O sulle mie presunte derive politiche. C'è chi si diverte ad inventare storie, questo è un problema di Roma. A queste cose non mi rassegnerò mai"

Anche se ci dovrà convivere molto a lungo. Perchè da qua Daniele non se ne andrà. E ora il perchè l'ha capito anche quel suo amico molto (ma non troppo) romanista.



ROLLING STONES (maggio 2011) – “Io non sono il classico calciatore come lo intendete voi”. Voi chi? Siamo un pugno di figure professionali antiche, moderne e modernissime, accampate in una saletta di Trigoria, il campo di allenamento della Roma. Che Daniele De Rossi calciatore lo sia eccome te ne accorgi quando nasconde tra congiuntivi e cautele il suo bell’accento romano. “Ultimamente – spiega – già stare a casa con la nutella, le patatine, le briciole che cascano sul divano a vedere un film per me è divertimento”.  Quale film? “Vedo di tutto, mi piace anche il film particolare, di nicchia. Due giorni fa ho visto Of gods and men”. Sinossi breve: film francese di monaci trappisti chiusi in un convento in Algeria, assediati dai fondamentalisti islamici, alle prese col problema di andarsene di lì o restare. “Io sarei scappato”, sorride.

“Di Saviano ho letto il libro e ho visto il film che hanno fatto. – non so perché poi siamo finiti a parlare di Saviano – Lui ha aperto un mondo, e lo ha fatto a suo rischio e pericolo. Mi fa pensare quanto si è spinto oltre e non può godersi niente della sua popolarità, persino dei suoi soldi, qualcosa avrà pure guadagnato… Vivere nella paura… io non ne sarei mai stato capace… non penso di essere così coraggioso da riuscire a mettere in discussione tutta la mia vita”. Una cosa poco da calciatore magari è questa. Daniele ha imparato bene la differenza che passa tra la retorica da stadio e la vita. A sue spese. Ma è sempre così.

Tifoso della Roma, romano di Ostia – la cosa conta, vedremo – comunque romano e romanista secondo il motto del Piccolo Gladiatore, coraggio ne ha vendere in campo. Scagliare il pallone dritto verso la porta da 25 metri – il suo colpo segreto – col rischio di mandarlo alle stelle di fronte a 20 telecamere e 20.000 persone, non è cosa da poco. Saltare col gomito alto e colpire un avversario, espulso, inquadrato in primo piano con la rabbia che esce come fuoco dal naso mentre chiunque a casa è capace di pontificare sul buon esempio e la lealtà bla bla, cos’è? “Il buon esempio? Tutto vero, rispettabilissimo – si fa serio – Ma la domanda è: a chi devo dare il buon esempio? Devo vincere la partita o devo dare il buon esempio? La gomitata a Srna non ci ha fatto vincere, è venuta così, non c’ho pensato, c’ho pensato mentre la stavo dando. C’era uno che mi rompeva le scatole ed è stata una cosa istintiva. La verità è che nel calcio italiano di buon esempi se ne vedono pochi. Guarda solo dove giochiamo, gli stadi sono fatiscenti, i terreni scassati”.

Sposato, separato da due anni, una figlia che adora – e per lei si è tatuato un Teletubbies sul braccio con le parole di Favola dei Modà. “Gliela cantavo per addormentarla”, aggiunge, quasi per scusarsi. Non ce n’è bisogno. Una vicenda dolorosa che, dice, lo ha cambiato, lo ha reso più chiuso e sospettoso. Il coraggio serve su un campo di calcio, nella vita c’è bisogno di tante altre qualità. “Da qualche mese abito da solo a Campo de’ Fiori, proprio sulla piazza. – dice – Volevo provare l’esperienza di vivere in centro ed è indimenticabile. Il profumo del mercato, i ragazzi dei banchi, il fornaio. Nessuno rompe le scatole, nessuno si impiccia, ma poi è normale: mi guardano come avrei guardato io da ragazzino un calciatore che veniva ad abitare vicino casa”. Ascolta gli Oasis, Mumford and sons. Da qualche tempo, aggiunge, è “andato in fissa” con Bob Dylan e con “la musica di mio padre e mia madre”. Gli brillano gli occhi quando indaghiamo sulle sue ultime playlist. Se passate da Campo de’Fiori a bere una birra, magari lo incontrate. Salutatemelo.

Il ritorno a casa la sera della partita andata male contro la Juventus lo racconta così: “Quando si vince capita di andare coi compagni nei ristoranti più movimentati, quando si perde così nessuno ha voglia. Mi hanno aspettato gli amici che erano venuti allo stadio con me, abbiamo bussato al ristorante vicino. Era tardissimo, mezzanotte passata, i tavoli uno sopra l’altro, il cuoco che bestemmiava nella sua lingua. Ho fatto l’occhietto triste dello sconfitto e c’hanno fatto mangiare”. Dopo il derby vinto con la Lazio, invece, gran colazione al bar: “Siccome lì sono tutti laziali mi ero messo la maglietta di Totti sotto il maglione. Dicevano che se giocava Totti vincevano loro… Vabbè, non si sono fatti trovare”.


Intervista alla rivista francese So Foot (febbraio 2014)

Sei con Francesco Totti il simbolo dell’AS Roma. Solo che lui viene dal centro della città e tu da Ostia. C’è differenza?

Ostia è il mare di Roma. È li che la gente di Roma viene a fare il bagno l’estate. Circa 30 minuti dal centro della città. D’altronde la maggior parte delle cose che ho, le ho a Roma: i miei amici, i miei conoscenti, la famiglia della mia compagna, il mio avvocato, il mio notaio … ma se posso restare lontano dal centro di Roma non posso restare lontano da Ostia a lungo. Il mare mi manca troppo. Noi Lidensi viviamo lì, il mare è fondamentale, come ti giri lo vedi, lo senti, lo respiri… l’inverno il mare è mosso, c’è la schiuma, le spiagge sono deserte. In questo momento dell’anno il mare ci appartiene veramente.

Com’era la tua adolescenza lì.

Le persone del mio liceo erano dei ragazzi per lo più di sinistra. Io ero con loro ma non ero come loro. Scrutavo, osservavo, ascoltavo, cercavo anch’io di comprendere qual era la mia identità ma ero meno interessato alla politica. Nella mia scuola c’erano sempre delle autogestioni, dei blocchi, delle occupazioni e devo dire che non ero di quelli che si piantavano con le bandiere ma piuttosto di quelli che ne approfittano per restare a casa a dormire. Non avevo neanche lo stesso tempo libero. La maggior parte dei miei amici erano dei surfisti che ascoltavano i Red Hot Chili Peppers e i Range Against the Machine. Ostia non sarà come le Hawaii ma è piena di surfisti. Con il surf ci ho provato ma ero davvero imbranato e non sono neanche il tipo da grondare sotto il sole anche perché ho una carnagione chiara e non mi abbronzo. Di solito finisco a giocare a carte con gli anziani. C’è una cabina a Ostia che appartiene alla mia famiglia, allo Sporting Beach. Ci sono cresciuto. Ancora oggi ci passo del tempo a giocare a carte con persone di 60-80 anni. Questi signori si ricordano tutte le carte che passano, anche se ci sono 20 mani e ogni nuova carta che esce porta una battuta, la stessa battuta da 30 anni. L’asso di bastoni è quella battuta, l’asso di denari è quell’altra battuta. Non c’è maniera per loro di non fare battute.

In quale momento l’AS Roma è entrata nella tua vita?

Da quando mi ricordo sono sempre stato tifoso della Roma. La prima volta allo stadio è stato con mio padre. La Roma giocava allo stadio Flaminio perché all’Olimpico c’erano dei lavori per la coppa del mondo del ‘90. Sarà stato nell’88-89. Eravamo in tribuna tevere, la curva era accanto. Non mi ricordo per niente la partita in questione e in fondo credo che quello che succedeva nel campo non mi interessava proprio. Passai la partita, racconta papà (che lavora a Trigoria come allenatore della Primavera) a guardare la curva. Vedevo queste persone che giravano la schiena al terreno di gioco e mi dicevo “ma perché non guardano la partita?! Sono venuti a vedere la partita, i loro idoli sono proprio davanti a loro e loro non li guardano !!” non capivo cosa succedeva ma è stata una grande emozione, comparabile alla prima volta quando più tardi ho fatto il raccattapalle. Un’esperienza che non scorderò mai, forte quanto la mia prima partita in Campionato o in Champions.

 Come era?

Un Roma-Inter. Se la Roma avesse vinto, avrebbe giocato la Coppa Uefa, cosa rara all’epoca. Vittoria 1-0 con gol di Di Biagio su rigore. Carlo Mazzone, l’allenatore di allora, si è precipitato a festeggiare la vittoria sotto la curva. Ho corso dietro a lui. Ho corso molto quando ero raccattapalle …l’anno scorso è uscito un video con tutti i gol di Totti. Ebbene in questo video mi sono visto più volte corrergli dietro vestito con la tuta da raccattapalle, che fargli un passaggio decisivo o festeggiare un gol con lui in veste di compagno di squadra. (ride). Ho 14 anni in questo video, non mi si riconosce ma io mi sono riconosciuto. So ogni volta dov’ero, mi ricordo perfettamente i gol e mi ricordo perfettamente cosa ho fatto dopo i gol. Ma devo essere onesto: se un giocatore famoso della squadra avversaria passava davanti a me, ero ugualmente affascinato come se fosse stato un giocatore della Roma. Mi ricordo per esempio che un giorno, Buffon mi ha dato i suoi guanti. A me e al raccattapalle che mi era accanto e che ancora oggi è il mio migliore amico. Eravamo innamorati di questi grandi giocatori perché rappresentavano quello che volevamo diventare.

Totti era un modello più degli altri?

Quando Francesco ha cominciato c’erano tanti romani nella squadra: Scarchilli, Di Biagio, Peruzzi… tra loro, Francesco era il più talentuoso, ma all’inizio, almeno per me, passava quasi inosservato in questo gruppo. Poi ho visto gli altri perdersi, cambiare squadra, fare altre scelte di carriera. Ma lui è rimasto. E’ diventato un simbolo. Avevo 16-17 anni, il che vuol dire molto presto, quando mi sono ritrovato seduto accanto a lui. Era per me metà idolo metà compagno di squadra. Rientrare nello spogliatoio e sentirlo dire “De Rossi passami la bottiglia” è stato uno choc. E c’erano anche gli altri “De Rossi mi passi una mela?”. Ti giravi e vedevi Batistuta. Era lui a farmi più effetto d’altronde. Quando arrivava Batistuta, aveva una luce intorno… una luce meravigliosa.
 

Lo chiamavano il Re Leone?

Sì mi affascinava, trasudava carisma, eleganza, fascino …. Necessariamente a un certo punto ho cominciato a parlargli, a ridere con lui. Ma non ho mai considerato questo come una cosa normale. Ho saputo misurare ciò che mi succedeva.
 

In quale momento diventi uno di loro, allora?

E’ grazie a Capello (allenatore della Roma dal ‘99 al 2004). Ci sono degli allenatori che prendono un giovane e lo fanno allenare con la prima squadra perché gli manca un giocatore per l’allenamento. Così, senza preavviso:“ oggi vieni, ti alleni con noi”. Capello non faceva cosi. Ti dava veramente un posto nell’effettivo. Ti dava una maglia, un calzoncino, un numero. Una volta che hai questo, vuol dire che, anche se sei il più piccolo, hai il tuo posto. Perché Capello non fa questo con chiunque.

 La tua prima partita in campionato nel 2003, l’hai giocata grazie a Pep Guardiola, allora alla Roma ..

Si. Aveva trovato un accordo per andare via dal club allora il mister disse “domani Guardiola va via, allora faccio giocare il ragazzo” se non fosse partito quel giorno avrebbe giocato lui. Guardiola era un uomo particolare. Vedevo che Roma non era nel suo mondo, sembrava spaesato. Veniva da un calcio con una mentalità differente e si ritrovò qui, dove si pensava soprattutto al risultato, e molto poco al bel gioco. Perché gli italiani anche se dicono che l’importante è giocare bene… (ride). Qui anche tra mille anni, l’importante sarà sempre vincere, non giocare bene. E malgrado tutto, Guardiola provava con noi giovani – io, Aquilani etc.- a trasmetterci la sua idea di calcio, i suoi principi, che erano già quelli che ha messo in seguito in pratica a Barcellona.

Il 26 maggio scorso, la Roma ha perso la finale di Coppa Italia contro la Lazio. Come hai vissuto tu che sei giocatore/tifoso quel momento?

Per fortuna i nostri avversari non hanno festeggiato in maniera troppo indecente. Nel tragitto di ritorno dallo stadio a casa, ho visto appena qualche scooter con un tifoso sopra che teneva una sciarpa, una bandiera avversaria, ma non cose sproporzionate che mi avrebbero fatto ancora più male. Il resto della serata … ti dirò mi fa male ricordare. Ero con la mia compagna e le ho fatto vivere una serata …… e una settimana …..poverina , stato brutto, veramente brutto. Mi sono chiuso a casa. Non è che ero triste, ero distrutto. Pensavo non poter rimarginare mai questa ferita.

 
Durante l’estate ci sono state parecchie voci a proposito della tua partenza dalla Roma

Ci sono state parecchie voci perché per la prima volta si era capito che ero disposto ad andarmene. Il mio legame con la Roma è molto forte e profondo. So che se dovessi partire un giorno molti tifosi sarebbero tristi. Allora partire, non partire, ti poni le domande mille volte, esiti. E questo finisce sempre alla stessa maniera “De Rossi non vuole andare via” ma questa estate è stato differente. Mi ero quasi convinto –non totalmente, ma quasi- che era la migliore cosa da fare per me e per la Roma. Un po’ a causa del 26 maggio, ma anche a causa di come le cose erano andate con Zeman, l’allenatore della scorsa stagione. Se una buona squadra fosse arrivata con una buona offerta, prima di una certa data, sarei andato via. Avevo fatto un patto con il nuovo allenatore, dopo una certa data non potevo più partire (vedi l’intervista Rui Garcia a So Foot nr. 111). La squadra buona  (Manchester United, ndr) è arrivata in ritardo rispetto a questo patto. Se questa offerta fosse arrivata prima forse non saremmo qui a parlare. O saremmo a parlarne altrove.

 Qual era il problema con Zeman?

Non lo so. Francamente non lo so. Non ho mai litigato con lui. A Roma si scrivono molte fantasie. È quello che fa vivere un sacco di personaggi da due lire, degli pseudo giornalisti. Queste persone hanno raccontato mille cose. Che ero stato maleducato, che ero stato violento. Ma non ho mai litigato con Zeman. Quanti anni ha Zeman ? 65? Io mostrarmi violento con il mio allenatore di 65 anni? Siamo seri. Non ho mai litigato con un allenatore, non ho mai detto “mi devi far giocare così” o “fammi giocare senno faccio un casino”. E’ qualcosa che va contro i miei principi. Rispetto i miei allenatori, che mi facciano giocare o no, che propongano degli allenamenti che mi piacciano o no. Zeman, credo semplicemente che in fin dei conti, non mi ritenesse il suo tipo di giocatore, e sono certo che ci saranno altri allenatori che la pensano come lui.

 
Come hai reagito all’arrivo di Rudi Garcia?

Non lo conoscevo. Sapevo che il Lille aveva vinto il campionato e la Coppa di Francia qualche anno fà, ma se tu mi avessi domandato qual era all’epoca l’allenatore? non avrei saputo dirti il nome. Di colpo, quando ho appreso che sarebbe stato lui ammetto che ho avuto qualche dubbio. Si aveva l’impressione che lo avevano preso perché non erano riusciti a far venire Mazzarri o Allegri ….si poteva pensare che fosse la quarta scelta. Mi ricordo che sono andato su internet e ho scritto “rudigarcia” e lì la prima cosa che ho visto è un video di lui e la sua chitarra mentre canta “porompompero”.

 E lì cosa ti sei detto?

Mi sono detto “guarda chi cazzo abbiamo preso?! “ ero in nazionale quel giorno. Mi rivedo ancora col computer sulle ginocchia e questo tizio con la chitarra. Ero in camera con Pirlo, gli mostrai la cosa e dissi: “guarda chi cazzo abbiamo preso?!” neanche Pirlo lo conosceva. Non dico che pensavo che le cose sarebbero andate male eh. E’ che non lo conoscevo e che la prima immagine che ho avuto di lui è stata di un tizio con la sua chitarra. Ma oggi sinceramente ringrazio Dio che abbiamo preso “pompompero”. Quante volte si è preso un allenatore affermato per poi andare male? Fortunatamente Garcia è qui. Quello che fa qui può essere un punto di svolta nella storia della Roma. Lo ridico in quanto non esagero: può essere una svolta nella storia della Roma. Ci può far vincere.

 
Quando uno straniero arriva alla Roma, che consigli gli dai?

(riflette) l’ultimo arrivato è Bastos. Finora ho parlato 6-7 volte con lui, di banalità. Nello stesso tempo ha passato 90 minuti in tribuna, in mezzo ai tifosi per vedere Roma-Juventus. Un quarto di finale di Coppa Italia, non di Champions League eh?!, di Coppa Italia. 65.000 spettatori, che hanno fatto un chiasso assordante per 90 minuti, che hanno festeggiato la vittoria (1-0 ndr) come se avessimo vinto non so che. Bene. Credo che Bastos abbia capito dove ha messo piede. E sono certo che ha già capito che se perdiamo le prossime partite 5-0, questo amore, questo fuoco, ci possono ritornare contro. Questo fuoco può bruciarti. Ambienti così caldi come Roma in Europa ce ne sono quanti? Ambienti capaci di darti e di prendere altrettanto? Pochi, molto pochi. Questo non si spiega, bisogna vederlo con i propri occhi.

 
Si dice che per cogliere l’anima di Roma, bisogna essere straniero alla città, come lo erano Fellini e Pasolini, uno di Rimini, l’altro del Friuli ..

Se avessi vissuto all’epoca di Pasolini, la sua Roma, senza dubbio l’avrei vista io pure, l’avrei osservata anche io. La differenza è che non sarei stato capace di descriverla, di farne un poema, un romanzo, uno scenario, un film. Lo stesso per Fellini. E’ una questione di talento. Io vi dirò: i romani posso guardarsi indietro per guardare loro stessi. Citerò il nome di Trilussa, un grande poeta romano di fine ‘800. E’ meno conosciuto all’estero di Fellini e Pasolini ma è uno che Roma l’ha saputa descrivere. Ogni suo poema è corto, a volte troppo corto. Tutto scritto in dialetto romanesco. Prendi un libro, aprilo: respiri l’odore di Roma. Le parole traspirano romanità. Scrivere in dialetto non gli ha permesso di essere conosciuto e celebrato all’estero. Ma Trilussa è un grande artista. E non era del nord Italia.

 
Ad un certo punto della tua carriera sei andato ad abitare nel pieno centro di Roma

Uscivo da una separazione all’epoca e avevo comprato ad Ostia una casa davanti alla quale passavo quando ero bambino e mi dicevo sempre “quando sarò grande la comprerò”. Ma non è stata pronta subito, bisognava fare dei lavori. Al tempo stesso avevo questo appartamento nel centro storico di Roma a Campo de’ Fiori che affittavo o prestavo ad amici. E poi un giorno mi sono detto “allora perché non io? proviamoci” mi dicevo che sarebbe stato un inferno, che avrei avuto una pressione colossale. Le prime settimane è stato effettivamente così. La gente era sbalordita quando mi vedeva. Soprattutto alla vigilia di una partita. Si dicevano “ma che fa questo, si fa un giro tranquillo in pieno centro quando ha una partita domani?” e invece no, rientravo a casa per riposare (risata). Passato questo momento di sorpresa ho cominciato a fare conoscenza con le persone che lavoravano in piazza. I ristoratori, i pub, i bar, quelli che lavorano al mercato quando c’è il mercato. E sono diventato uno di loro. Un tizio del loro quartiere niente di più. Non dico che passavo inosservato ma quasi. La mattina a Campo De Fiori quando c’è il mercato, si vede la vera Roma uscire fuori. Famiglie che lavorano ai loro banchi da secoli, che sono di Roma da secoli, che abitano il quartiere da secoli. E questa gente, questo quartiere si è presa cura di me. Soprattutto la sera delle sconfitte. Siccome la piazza è pedonale, dovevo attraversarla a piedi per tornare a casa. 100 metri da camminare in mezzo a una piazza gremita, perché a Campo de Fiori la notte la gente fa festa mentre io non avevo che una voglia, quella ritrovarmi solo su una montagna. Non era l’ideale, ma nessuno mi ha mai importunato.

 Dall’inizio dell’intervista quando parli della lazio, tu dici “i nostri avversari” ma mai la parola “lazio”. E’ una parola che non pronunci mai?

Sì sì lo dico (risata) dire la parola Lazio non è un problema per me. La gente che viene da Roma sa che è un odio calcistico, una rivalità che ti si impone appena scegli una delle due squadre. Non è proprio una “scelta” diciamo, ti è trasmesso in eredità da uno dei tuoi genitori. Un odio calcistico ed eterno dunque. Ma c’è del rispetto. Durante il derby, allo stadio, mi insultano ma io trovo ciò del tutto normale. E finisce lì. Non ho mai avuto problemi con dei tifosi della Lazio passeggiando per Roma. In nessun quartiere. E questo lo rispetto. Alcuni miei amici sono della Lazio, gente che amo profondamente è della Lazio. Mi scoccia quando vincono e quando perdono li prendo in giro, non si va oltre. Questo è il mio rapporto con la Lazio. Non migliorerà mai, non peggiorerà mai.

 
Giocare in una città dove ci sono 2 club, rende la vita più intensa?

Si. È una cosa affascinante. A volte fai una brutta stagione, finisci ottavo in campionato, ma se la Lazio termina decima, va bene, puoi respirare. E’ una cosa che non puoi capire se vieni da Parigi. Allo stesso tempo mi fa dire anche che se Roma avesse avuto una sola squadra come Napoli o Parigi allora la città avrebbe la più grande tifoseria del mondo. Senza alcun dubbio. Parlo del numero di persone interessate al calcio. Parlo di malattia per il calcio. Immagini? Se tutta la città tifasse la stessa squadra, se tutta la città tifasse la Roma? E’ evidente che la squadra si sarebbe chiamata Roma e non Lazio eh …

 
Se non fossi stato calciatore, saresti diventato quale tipo di tifoso della Roma?

Ho degli amici che fischiano, insultano, diventano pazzi. Io anche da ragazzino non sono mai stato così. Non mi sono mai arrabbiato con un giocatore perché giocava male o perché se ne andava. Forse perché ho sempre saputo che faceva parte del mestiere (suo padre era un giocatore di serie C ndr).

 
Parliamo ora della nazionale. Sei uno dei pilastri.

Quando ero ragazzino, tifavo poco o niente per la Nazionale. La seguivo quando c’erano i mondiali, gli europei. Ma un Italia-Azerbaijan di qualificazione non lo guardavo mica e non m’importava di sapere come era finito. Io ero Roma, Roma, Roma. Quando sei di qua credi che Roma sia la più grande e la sola squadra del mondo. Sei in una bolla. Poi cresci e diventi calciatore, vai in nazionale, hai 17 anni, entri a Coverciano e vedi quella sala con le foto di tutti i campioni che sono passati da lì e che hanno indossato quella maglia. La maglia azzurra. E a poco a poco cominci a comprendere dove sei. Comincia ad essere qualcosa a cui tieni. Poi gli anni passano, e quella maglia non hai più voglia di lasciarla. Non vuoi che qualcuno la indossi al posto tuo. Ecco cosa mi è successo. Oggi starei male, molto male, se non dovessi partecipare al Mondiale. Abbandonerò la maglia della Nazionale solo quando un selezionatore mi dirà “non sei più all’altezza, selezionerò un giovane al posto tuo”. Spero sarà il più tardi possibile. La mia idea è di fare l’Europeo in Francia.

 
In nazionale hai presto avuto dei problemi: quella gomitata all’americano McBride nel mondiale 2006 per esempio che ti è costata una espulsione.

Non so come spiegarlo. È stata una gomitata ecco. Era una bella bestia che saltava alto, robusto, ed io ci sono andato carico per farmi rispettare e ho esagerato. Era giusto criticarmi ma certi giornali ne hanno approfittato per buttare un po’ di merda sui romani e su Roma, sulla brutta gioventù di Roma e considerazioni politiche che non avevano niente a che vedere col gesto. Fortunatamente, Pirlo, con cui dividevo già la camera, e che posso dire oggi che è un mio amico, è stato grande. Ha continuato a trattarmi come un compagno di squadra normale, a scherzare, a portarmi a cena con il fratello. Questo mi ha permesso di non pensare troppo a quelle 4 giornate di squalifica che in un Mondiale sono un’enormità. C’era anche Nesta con noi, perché si era infortunato presto in. Eravamo spesso tutti e tre insieme. E’ stata dura ma così ci ho pensato di meno.

 
E Lippi, il selezionatore?

Prima di conoscerlo, in quanto tifoso della Roma, Lippi non mi era simpatico. Non tifavo per la sua squadra. Ero andato a Roma a vedere la finale di CL 95-96 Juventus-Ajax e vi posso dire una cosa: non tifavo Juventus. Poi mi ha selezionato per la nazionale ad appena 21 anni e ho imparato a scoprire l’uomo. Succede spesso. Sono sicuro che anch’io a tante persone che seguono il calcio non sto simpatico, ma so che se mi conoscessero penserebbero il contrario. Lippi con me è stato meraviglioso. Dopo quattro partite di squalifica al Mondiale, mi ha fatto giocare la finale. A mio avviso, nessun altro selezionatore al mondo l’avrebbe fatto. Francamente, rimettere in campo quello che ha dato una gomitata …. Non avrei sentito mio il Mondiale se non avessi più giocato.

 
Non solamente entri in corso di gioco, ma riesci a segnare. E questo dopo che Trezeguet prende la traversa . se sbagli anche tu …

Mi ricordo che appena mi sono candidato volontario Vincenzo Iaquinta mi ha detto “ma tu tiri?” “Sì” “ma sei matto? Se sbagli ti massacrano”. Non proprio un incoraggiamento. (ride) gli ho risposto “senti, se sbaglio, sbaglio ma se segno mi risollevo”. Per me sarebbe stato più grave vederli dalla panchina con animo tranquillo senza essermi assunto la responsabilità. So cosa sono i rigori, so tirarli. Un giorno in Coppa Italia giocavamo contro la Triestina, stadio mezzo vuoto, rigori. Ero molto giovane. Avevo detto a Capello “lo tiro” se mi chiedi di tirare un calcio di punizione da mezzo campo con una benda sugli occhi, non lo faccio perché non è nelle mie corde. Ma un rigore, posso segnarlo. E l’ho segnato. Lippi anche lì è stato perfetto. Quando ho detto che volevo andarci ha detto solamente “tu tiri? Ok” poi si è girato verso gli altri “ok De Rossi, poi ?” ad ogni modo in quel momento della partita, ci si guarda dritto negli occhi, eravamo sicuri di vincere. A tal punto che anche Buffon era disponibile a tirarlo anche lui.


E se non avessi segnato?

Avrei subito critiche feroci. Ma non mi sarei mai vergognato di me. Mi sarei vergognato se non avessi tirato e mi fossi cacato sotto.

 
Altre polemiche in nazionale. Settembre 2008 durante un Italia-Georgia tu dedichi un gol al tuo ex suocero che è stato appena assassinato. Ti hanno criticato dicendo che non era il genere di persona da prendere come esempio …

(silenzio) penso che tra tutte le cose che i genitori dovrebbero trasmettere ai figli ci dovrebbe essere: onorare la le persone della tua famiglia, non difenderle sempre a tutti i costi, ma onorarle, rispettarle e ricordarle sempre. È una cosa che io, come padre, insegnerò alle mie figlie. Allargo il discorso, ma ecco dove voglio arrivare: il ricordare una persona che amiamo e rendergli omaggio non vuol dire ai bambini e al mondo che è giusto fare quello che ha fatto. Non si tratta di copiare dei comportamenti sbagliati né di incoraggiarli. Quel gesto era semplicemente un omaggio a qualcuno a cui ho voluto bene. Non mi sono pentito di quella dedica. Ecco.

 

Come ti senti nel mondo del calcio oggi?

Faccio il confronto tra lo spogliatoio, i miei amici, le persone che frequento, in breve, il mio mondo calcistico e il resto. Intorno al mondo del calcio e forse a Roma più che altrove, gravita tanta “mondezza”. Dei giornalisti, dei dirigenti, dei calciatori. Ci sono molte cose che non mi piacciono ma sono certo che quando non sarò più nel mondo del calcio questo mi mancherà, mi mancherà talmente che vorrò tornarci. Come allenatore, dirigente, non lo so ancora.

 
Ora hai 30 anni. Se dovessi fare un bilancio della tua carriera?


Fondamentalmente mi sento un giocatore importante per l’Italia per quello che ho fatto con la Nazionale e con la Roma. Quando ero ragazzo, Buffon mi ha dato i suoi guanti, correvo dietro a Francesco, ora li conosco alla perfezione, sono degli uomini con cui sono in confidenza, degli amici. Ma quando sento un complimento di un giocatore che conosco unicamente come avversario, mi colpisce sempre, come ai miei esordi. Un giorno un giornalista ha fatto una domanda a Iniesta sul calcio italiano e lui ha risposto citando due giocatori: me e Pirlo. Mi ha colpito essere riconosciuto come un suo pari. È troppo forte. A volte leggo interviste di giovani calciatori di 18 anni che esordiscono in serie A ai quali il giornalista domanda: “qual è il tuo giocatore preferito? Qual è il tuo idolo?” e succede che il ragazzo risponda “ De Rossi” e lì non ho neanche bisogno che sia Iniesta che lo dica, in effetti.

 
Ci sono delle cose che rimpiangi?

Se non avessi tanto amato la Roma, avrei adorato giocare all’estero. Viaggiare mi ha sempre affascinato. Scoprire altre città, imparare altre lingue è qualcosa che mi manca un po’. Avrei voluto avere la carriera che hanno avuto certi miei colleghi: due anni qua, due anni là, conoscere la Germania, l’Inghilterra, la Spagna …. Questo deve arricchirti enormemente. Ma nello stesso tempo, questi colleghi avrebbero senza dubbio voluto ottenere quello che ho ottenuto senza muovermi da casa mia, con i miei genitori, i miei compagni, a casa. Alla  fine so che ho qualcosa che molti dei miei colleghi avrebbero voluto avere
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LA LETTERA AI TIFOSI PRIMA DELL'ULTIMA PARTITA

Che te ridi regazzi’?
So’ felice!
Perché sei felice?
C’ho la maglietta della Roma
Ma non è che è falsa?
Ma no, il numero l’ha cucito mia zia…
E se te dico che la indosserai più di seicento volte?
A me ne basterebbe una di partita.

Riguardando questa foto, che ormai conoscete tutti, mi rendo conto di quanto io sia stato fortunato, una fortuna mai data per scontata e per la quale non sarò mai abbastanza grato.
È stato un viaggio lungo, intenso, sempre accompagnato dall’amore per questa squadra.

Questa gratitudine non voglio lasciarla sospesa per aria, perché, mentre scrivo la parola grazie, non mi passano per la testa dei concetti astratti, ma dei ricordi e delle sensazioni, delle facce e delle voci.

Permettetemi di ringraziare tutta la Roma che ho conosciuto:

la famiglia Sensi, il presidente Pallotta.

Tutte le donne e gli uomini che hanno lavorato e lavorano a Trigoria.

Gli allenatori che mi hanno guidato, ognuno mi ha insegnato qualcosa di importante, nessuno escluso.

Gli staff medici che si sono presi cura di me; Damiano, senza il quale le mie presenze con questa maglia sarebbero state sicuramente meno.

I miei compagni, la parte più intima del mio lavoro: sono la mia famiglia. La quotidianità dello spogliatoio di Trigoria sarà quella che mi mancherà di più.

Bruno, che ha visto in me qualcosa di speciale e mi ha portato in questo fantastico settore giovanile. È lì che, una mattina di agosto, ho incontrato Simone e Mancio, che mi sono rimasti accanto finora e resteranno per tutta la vita.

Grazie a Davide, anche lui accanto a me per tutta la vita.

Grazie a Francesco. La fascia che ho indossato l’ho ricevuta dalle mani di un fratello, di un grande capitano e del calciatore più straordinario al quale io abbia mai visto indossare questa maglia. Non capita a tutti di giocare 16 anni accanto al proprio idolo. Riconsegno questa fascia, con rispetto, ad Alessandro. Un altro fratello che sono sicuro ne sia altrettanto degno.

Grazie a papà e mamma per avermi cresciuto trasmettendomi due valori che sono ogni giorno con me: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso e dai una mano a chi è in difficoltà.

Grazie a Ostia, alla sua gente e al suo mare, che mi hanno svezzato da bambino, accompagnato da adolescente e riaccolto da adulto.

Grazie anche a chi mi ha sopportato e supportato tra le mura di casa: senza Gaia, Olivia e Noah e soprattutto Sarah sarei la metà dell’uomo che sono oggi.

Grazie ai tifosi della Roma, i miei tifosi. Mi permetto oggi di dire miei, perché l’amore che mi avete dato mi ha permesso di continuare ad essere in campo parte di voi.
Siete stati la ragione per cui tante volte ho scelto di nuovo questa città.
Domani sarà la seicentosedicesima volta in cui io considererò questa scelta, la scelta giusta.

Il 26 maggio di qualche anno fa abbiamo vissuto una giornata dopo la quale pensavamo di non poter tornare a sorridere. Lo pensai anche io, finché non vidi il tatuaggio di un tifoso con scritto “27 maggio 2013, eppure il vento soffia ancora”. Non so a chi appartenesse questo tatuaggio, ma so che il vento ricomincerà a soffiare anche da questo 27 maggio.

Mai come in questi giorni ho sentito il vostro affetto: mi ha travolto e mi ha riempito il cuore. Mai come in questi giorni vi ho visto così uniti per qualcosa. Ora, il regalo più grande che mi potete fare è mettere da parte la rabbia e tutti uniti ricominciare a soffiare per spingere l’unica cosa che ci sta a cuore, la cosa che viene prima di tutto e tutti, la Roma.

Nessun mai vi amerà più di me.

Arrivederci.
 

Daniele De Rossi


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