XVIII giornata
ROMA - LAZIO 2-2
Roma, Stadio Olimpico,
domenica, 11 gennaio 2015

ore 15.00

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La coreografia illustrata a mio figlio.


Domenica 11 gennaio 2015 è stato per me un giorno da ricordare.
Ho portato mio figlio Valerio, di soli 6 anni, al suo primo derby.
Ricordo quando mi ci portò mio padre, più o meno alla stessa età, ed ho vivido il ricordo dei tifosi romanisti che facevano il giro del campo con undici polli con le magliette della Lazio. Il coro dell’epoca era “Aquile, coccodè”, cui i biancocelesti (biancocelesti, non biancazzurri, men che meno il più nobile bianco blu) rispondevano con “lupi bee bee”.
Ambiente diverso, anche se – oggi come allora – i romanisti erano molti di più dei laziali, che per lo meno all’epoca non lasciavano vuoti in quella che dall’11 marzo 1973 è divenuta la loro curva.
Tanti buffetti sulle guance da parte dei ragazzi che gli stavano intorno e si mette subito a suo agio perché “qui è bello perché si può strillare” e quindi – come intuibile - grida “cacchette” agli avversari che sono sulla sua destra: ogni età ha la sua parola.

Legenda per gli analfabeti:
F = Figlio
P = Papà

F.: “Papà, chi sono quelle immagini?”
P: “Sai caro, quelli sono figli di Roma, capitani e bandiere. I figli di Roma sono quelli che rappresentano la romanità e sono nati a Roma, i capitani sono i condottieri della nostra squadra, non importa dove siano nati e le bandiere… beh, le bandiere sono quelli che hanno rappresentato nel modo più degno la nostra Roma, a prescindere dal luogo di nascita. Non è difficile”.

F: “Ho capito papà, in effetti non ci vuole molto a capirlo. Mi puoi spiegare chi sono?”
P: “Con piacere piccolo. Sai, il primo è Mario DE MICHELI. Se qualche agreste legge Wikipedia, troverà che si trattava di un terzino di livello medio basso, dimenticando però che, sempre secondo quel portale, aveva un elevato agonismo e a noi romanisti non importa la tecnica ma la tenacia. Una volta, in un derby, picchiò Giorgio Vaccaro (nomen omen), nato a San Marzanotto d’Asti e che ringrazieremo sempre per aver lasciato che la Lazio fosse UNA squadra di Roma e non LA squadra di Roma, mantenendo i colori della Grecia e il nome regionale. “De Micheli scrucchia che ‘n piacere”, giocava con la Roma di Testaccio ed è nato a Roma: è un figlio di Roma”.
F: “Papà, la Lazio ha mai avuto un De Micheli?”
P: “No piccolo, per fortuna la Lazio aveva Vaccaro”.


F: “E poi?”
P: “E poi abbiamo Giorgio CARPI. Vedi, è nato a Verona, il cui nome latino sempre Verona era. Pur senza divenire titolare in alcun campionato, indossò la maglia giallorossa per nove stagioni, senza mai aver chiesto alcun compenso per l’onore di indossarla, nonostante lavorasse in Borsa. Sai, chi lavora in Borsa spesso vuole sempre più soldi, per Carpi i soldi erano secondari. Un esempio di purezza assoluto, di esempio a giocatori e, soprattutto, ai tifosi”.
F: “Papà, la Lazio ha mai avuto un Giorgio Carpi?”
P: “No figliolo, la Lazio non lo ha mai avuto”.

F: “Chi è quel giocatore lì?”
P: “E’ Giuliano TACCOLA. Sai, è morto a Cagliari prima di una partita, e i laziali scrivevano sui muri dell’Olimpico “Romanista attento, Taccola è solo l’inizio”. Ai suo funerali c’erano 50mila Romani e la sua morte destò grande impressione. Lo ricordiamo perché la Roma fu la sua prima grande squadra, ma fu stroncato troppo presto da un infarto. Sai, avremmo potuto ricordare anche Mario Forlivesi, Romano de’ Roma morto a diciotto anni il 29 marzo 1945 dopo aver segnato 8 gol in 7 partite, ma molti non avrebbero capito, figuriamoci i laziali. Lo abbiamo voluto degnamente ricordare”.

F: “Prosegui papà”
P: “Beh, c’è Giuseppe GIANNINI. Sai, i laziali dicono che è nato a Frattocchie, che comunque per loro dovrebbe essere Roma centro. In realtà nasce a Roma, nel quartiere Africano. E’ quindi un figlio di Roma ed anche capitano. Una di quelle figure che altri non hanno mai avuto e che, se temporaneamente comparse, se ne sono andate al Milan per trenta denari, giocando più lì che nella Capitale. Pensa, nella Roma ha giocato 318 partite e fatto 49 gol e la folla alla sua partita di addio ha invaso il campo spaccando tutto. Sai, il romanista è pur sempre un po’ teppista”.

F: “Quello mi sembra più vecchio!”
P: “Beh, sì. Si tratta di Fulvio BERNARDINI, nato a Roma. Inizialmente giocò con la Lazio solo perché trovò il cancello della Fortitudo chiuso. Poi però divenne il capitano della Roma di Testaccio in cui giocò per ben più stagioni e in tutte le interviste rilasciate non parlò più dei biancocelesti ma solo della Roma testaccina, per cui viene ricordato.
Il mazzo di fiori, quando morì, era giallorosso. E’ stato un capitano, della Roma”.

F: “Anche lui mi sembra antico…”
P: “Hai ragione. E’ Attilio FERRARIS IV, pure nato a Roma e suo capitano per diversi anni. Solo sul finire della carriera andò a svernare per un paio di stagioni in una squadra minore, ma poi tornò nuovamente alla Roma. Cedette il suo posto di capitano a Bernardini ed è ricordato per lo slogan che, mani sul pallone, recitava con i compagni di squadra giallorossi: “Dalla lotta chi desiste fa una fine molto triste, chi desiste dalla lotta è ‘n gran fijo de ‘na mignotta” .
E’ stato un capitano, della Roma”.

F: “E Amadei?”
P: “Amedeo AMADEI è pure una bandiera della Roma e lo striscione che leggi parla di “figli di Roma, capitani e bandiere”. Una bandiera può essere nata a Frascati come a Genova, a Milano come a Trapani: una bandiera non ha città né nazionalità perché con tale termine si definisce colui che ha degnamente rappresentato la propria squadra e Amadei ha più che degnamente rappresentato la Roma”.

F: “E quel piccoletto?”
P: “Giacomo LOSI, Core de’ Roma. Sai Valerio, i laziali diranno che è nato a Cremona, ma noi non lo celebriamo come Romano, se non d’adozione, ma come grandissimo capitano, quello che loro non hanno mai avuto, non hanno e mai avranno. Difensore fortissimo, non venne mai espulso e solo a fine carriera rimediò una ammonizione. Una volta con la Sampdoria, benché infortunato, non uscì dal campo e realizzò di testa il gol della vittoria, divenendo a quel punto “Core de Roma”, appellativo che non si lega al territorio ma a ciò che si fa in campo per i propri colori”.
F: “Papà, ma la Lazio ha mai avuto uno come Losi?”
P: “Fammici pensare caro… no, proprio no. Non lo hanno mai avuto”.

F: “Ma quello ha un nome straniero!”
P: “Sì! E’ “Sigghefrido”, alias Rodolfo VOLK, anche detto “Sciabbolone”. “Io non penso, io tiro”, il suo motto. Alto, aitante, biondo: quanto sarebbe piaciuto ai lazialotti d’oggi, alle prese con ben altre realtà!
Non è un figlio di Roma, non ne è stato capitano, ma lo ricorderemo per aver segnato 103 gol in 157 partite e, soprattutto, per aver rifilato agli aquilotti praticamente una rete ad ogni derby”.

F: “Papà, ma quello mi pare di averlo visto in televisione ieri!”
P: “Si, può darsi figliuolo, forse nelle immagini di qualche coppa del mondo. Si tratta di Bruno CONTI, nato sì in quel di Nettuno e quindi non Romano purosangue ma che, nella coreografia, sta a simboleggiare la bandiera che è stato. La coreografia, infatti, oltre che dei figli di Roma, parla anche di bandiere e Bruno Conti appartiene a queste ultime, a differenza dell’altro Bruno di cui al noto slogan, quest’ultimo senz’altro romano e che non smetteremo mai di ringraziare insieme all’amico Lionello ed altri gloriosi calciatori per aver causato la retrocessione in Serie B della Lazio a seguito del calcio scommesse, un vizietto che mai hanno perso e che, ciò nonostante, gli fa considerare i soggetti coinvolti vere e proprie bandiere”.
F: “Papà, ma i laziali hanno mai avuto uno come Bruno Conti?”
P: “No caro, i laziali non lo hanno mai avuto, come campione del mondo oggi acclamano un tedesco, non una loro bandiera… Ti ripeto, non ne hanno mai avute e uno di quelli che reputano tale era nato in Inghilterra ed alla fine è scappato in America. Sono sempre stati anglofili, anzi, scozzesi in terra inglese”.
F: “E che significa papà?”
P: “Non lo so figliolo, loro sono internazionali”.

F: “Papi, mi avevi detto che uno c’aveva il soprannome di una moto…”
P: “E’ vero! Kawasaki. Francesco ROCCA giocava con il numero 3 e quando si metteva sulla fascia era ben più veloce di Gervinho. Lui è stato una bandiera della Roma e dopo un gravissimo infortunio venne gratificato dai biancocelesti con l’elegante striscione “Rocca bavoso, i morti non resuscitano”. Rocca è un altro “Core de’ Roma”, dopo Giacomino Losi.
F: “Papà, ma i laziali hanno mai avuto uno come Francesco Rocca?”
P: “No caro, i laziali non lo hanno mai avuto, è per questo che lo hanno insultato. Loro vivono in quanto noi esistiamo”.

F: “Papà, perché ti commuovi?”
P: “Vedi figlio, quello è Agostino. Il cognome neanche serve. I laziali facevano il coro “Ago Ago Ago Agostino bum” dopo che lo stesso si suicidò con un colpo di pistola il 30 maggio del 1994.
Lui appartiene alla categoria “capitani”, “figli di Roma” e “bandiere” e sarà sempre IL capitano della Roma, in qualunque epoca. Sai, chi non ha mai avuto la gioia e l’orgoglio di avere giocatori simili si attacca a piccolezze, come quando – ceduto al Milan – litigò con Ciccio Graziani al suo ritorno all’Olimpico. Sai caro, all’epoca anche io cantai quel coro contro di lui, perché al tempo pensai, del tutto erroneamente, che in quel momento lui non fosse la Roma, quando invece proprio in quell’istante la sua romanità e il suo romanismo si sublimò. Anche con un’altra maglia, quel giorno era comunque il più grande romanista in campo. Lo capimmo, tutti, poco dopo e quel giorno lo rimproverammo per il troppo amore, come quando un giorno litigherai con tua moglie e poi ci farai pace. Senza che me lo chiedi: quegli altri un giocatore così non lo hanno mai avuto, non lo hanno, non lo potranno mai avere.

F: “Quello è un portiere papà?
P: “Si piccolo, è il portiere del primo scudetto, Guido MASETTI: “Volk segna e Masetti non fa segnare”, si cantava a Testaccio. Nacque a Verona (anche prima di Cristo sempre Verona si chiamava) e morì a Roma. Della squadra con i colori capitolini fu bandiera e, pensa, in un'amichevole la folla dei “popolari” costrinse l’arbitro a non invertire il campo alla fine del primo tempo, perché il pubblico ivi assiepato voleva continuare a vedere le sue parate”.
F: “E gli altri hanno mai avuto un portiere così?”
P: “Sono sincero, caro. Non lo so, ma se lo hanno avuto non lo sa nessuno”.

F: “E quello con la faccia tonda?”
P: “Giancarlo “Picchio” DE SISTI. Giocò più o meno lo stesso numero di partite nella Roma e nella Fiorentina, uniche due squadre in carriera. E’ un figlio di Roma, tifoso della Roma”.

F: “Quello invece ancora gioca, è Daniele De Rossi, lo riconosco!”
P: “Sì, quello è Daniele DE ROSSI, di Ostia, che qualcuno volle come mare di Roma. Anche lui è un giocatore che quelli che hai alla tua destra non hanno mai avuto e mai potranno avere. Ha giocato sempre e solo nella Roma, squadra di cui è tifoso. In una coreografia entra il cuore e Daniele De Rossi è semplicemente uno di noi, a prescindere dalle prestazioni in campo”.

F: “Il capitano papà, lui è il capitano!”
P: “Sì, caro. Capitano è riduttivo, perché Francesco Totti è la somma di tutto.
Romano, romanista, capitano, bandiera.
Il più grande calciatore che la Roma abbia mai avuto.
Non è conosciuto fuori dal raccordo anulare, però ieri ho letto il Sydney Morning Herald e c’era lui in prima pagina. Pensa che quegli altri avevano provato a paragonarlo con tale Di Canio, che ha vestito dieci maglie diverse in venti anni di carriera!
Vabbé, fantascienza a parte, gli rimprovero solo una cosa: non avergli fatto il terzo gol, perché a quel punto poteva tranquillamente andare sotto la Curva Nord, levarsi la maglietta, i calzoncini, gli scarpini e regalarglieli.
A loro, non a noi.
Ora hai capito la coreografia, piccolo?”
F: “Si papà, in effetti non ci vuole molto”.












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