INTERVISTA A G. ZIGONI IL PIU' GRANDE TALENTO INESPRESSO DEL CALCIO ITALIANO: PER LUI L'ISTINTO ERA TUTTO NIENTE COMPROMESSI.
Gianfranco Zigoni, il principio è la fine. 
«Ho lasciato Roma per colpa di Helenio Herrera. Mi ha mandato via perché era geloso di sua moglie che era trevigiana come me, ma mica era vero che andavo con la moglie, con tutte le belle ragazze che ci sono a Roma non ne avevo bisogno. Una vigliaccata. Una volta Renato Rascel si arrabbiò con lui perché mi tolse di squadra. Era un grande Renatino. E poi io ero bello come il sole». 

In principio fu la Juventus. 
«Ho giocato 7 anni con la Juventus. Ero il primo titolare della Juventus in Coppa Campioni. Io ero forte. Ma quelli lì mi hanno fatto piangere: la Juve mi ha tarpato le ali, mi ha tolto la libertà. Uno timido come me, così introverso, ha bisogno di calore. Heriberto Herrera mi diceva "vai lì, va là, fai questo, fai quello", ma io non sono così: voglio essere libero. Per colpa della Juventus sono caduto in depressione, sono andato dallo psichiatra. Non potevo nemmeno tenere i capelli lunghi. Io sono un 
insicuro, ho bisogno dell'amore che Roma mi ha dato. Ho giocato 7 anni con la Juventus, 2 a Roma, ma quando oggi mi chiedono: "Zigo, dove hai giocato?". Io rispondo: "Io sono della Roma".» 

La Roma. 
«Roma. Perché amo Roma non te lo saprei dire. Da ragazzino tifavo Toro.
Forse i colori. Roma mi ha dato la libertà, quei 2 anni là sono stati una vita. La mia vita. Il pubblico dell'Olimpico, la bellezza della spontaneità... Io quando guardo le partite mi metto a vedere la gente, guardo la passione. Che mi frega di 4 ragazzini che corrono in mezzo al campo? Roma l'ho amata. Roma per i suoi tifosi». 

I tifosi. 
«Il calcio senza gli ultrà non esiste. Chi dice che sono la parte peggiore di questo mondo non capisce niente. Gli ultrà sono amore: io li ho visti piangere per questa maglia, li ho visti piangere a Verona, l'altra squadra della mia carriera che m'è rimasta dentro insieme al Genoa. Squadre che sono una cosa sola con la loro gente. I delinquenti li puoi trovare al cinema, in piazza, quando vai a fare la spesa. La gente che ama una squadra è una cosa sana. A Roma l'amano. Anch'io non ho mai smesso di farlo». 

I figli. 
«Gianmarco è della Juve e non posso farci niente, ma Christian è romanista: ha 38 anni e l'ho scoperto 7 anni fa. Christian hai capito? Come il figlio di Totti! Ah, ma è senza "h"? Ma l'acca ci va sempre! Il mio Christian è un uomo che indossa la maglia di Damiano Tommasi. 
Me l'ha data a Verona, nel 2000». 

Capello: "Non mi interessa andare alla Juventus"; Emerson a Roma era 
depresso. Adesso... 
«Della depressione non voglio parlare perché so che significa, e se fosse vera... Ma certo è difficile essere uomini. Capello è un piccolo uomo. Non voglio offendere nessuno, ma non si vergogna? Quando ero al Verona e ci hanno mandato in serie B i miei tifosi m'imploravano di restare; gli dissi: "Perché me lo chiedete? Io non vi tradisco, io non me ne vado". L'Inter mi offriva 100 milioni, io ne guadagnavo 25. L'Inter mi voleva a tutti i costi, il Verona voleva guadagnarci, ma l'ho urlato: "Io gioco per i miei tifosi". Quelli del Verona sono sempre stati di destra, io sempre comunista, ma loro mi adoravano, mi dicevano "Zigo, tu puoi fare quello che vuoi". 
Ci ho scritto un libro, si chiama "Dio Zigo, salvaci tu"». 

Antonio Cassano. 
«Ma che fa 'sto ragazzo, perché non firma? Uno che gioca nella Roma non vuole andare via. La vita non è uno scudetto, quando giochi nella Roma hai già vinto. Lo dico sempre ai bambini che alleno: "anche se non vincete lo scudetto, mangiate lo stesso". Non si può lasciare Roma per andare dove la gente è triste, dove fuori piove». 

Il doping. 
«C'è sempre stato e sempre ci sarà. Quando vai a giocare la finale della Coppa del Mondo non ti prendi la bistecca. Al Genoa c'era un medico che mi faceva le punture, mi diceva che erano vitamine. Mi si spezzò la lingua, allora gli dissi: e vedere la Juve condannata». 

Gli arbitri. 
«Quando ero alla Juve non ci facevo caso, ma con la Roma sì. Proprio contro la Juve Lo Bello ci fece perdere. Poi hai visto domenica? Come hanno fatto a non espellere Camoranesi. Col Verona mandai a quel paese l'arbitro e mi squalificarono 6 giornate. Alla Juve mai». 

La carriera. 
«Ho esordito in serie A a 17 anni, a 20 ero in Nazionale. Ma la Juventus mi ha spezzato le ali. Stavo male, potevo fare di più. A Roma ho ritrovato la fiducia e se ci fossi rimasto avrei spaccato il mondo. Me lo diceva sempre il grande Valcareggi, me lo ha detto anche prima di morire: "Eri completamente pazzo, altrimenti saresti stato il più grande"». 

Adesso. 
«Vivo dove sono nato, a Oderzo. E' nata 46 anni prima di Roma, è una colonia romana, in piazza c'è la lupa. Qui ho mia moglie, i miei amici, alleno una squadra di ragazzini al massimo di 10 anni. Fino a quell'età non ti tradiscono». 

Domani. 
«Ho paura. Ho paura di lasciare casa, di lasciare gli amici, ho paura del traffico, del caos e dell'ipocrisia che c'è fuori: è il mondo fuori che mi fa paura. Sono 20 anni che non torno a Roma. E ci penso sempre». 
A Verona, in panchina con la pelliccia
Il libro di Zigoni

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