“La testa nel pallone. Perché il calcio?” 
Conferenza di Damiano Tommasi 
a S. Melania l'1/3/2002. 

N.B. Il testo, trascritto dalla viva voce dell'autore, non è stato da lui rivisto. 
Introduzione di d. Andrea Lonardo 
Ti ringrazio a nome di tutti per essere venuto una seconda volta a S.Melania, dopo aver incontrato due anni fa il gruppo degli adolescenti. 
L'interesse di questo luogo, di una parrocchia, è quello della vita. Non vogliamo sentire la tua opinione se il rigore era giusto o sbagliato, se la sostituzione di quel giocatore andava fatta o meno. Ci interessa, piuttosto, ascoltare, a partire dalla tua esperienza, perché il calcio suscita tanta passione, perché abbiamo “la testa nel pallone”? E poi: il calcio deprime la vita, la attira su vie non costruttive oppure la aiuta a crescere, dandole nuovi stimoli? 
Voglio subito riferire la tua risposta quando ti ho chiamato per invitarti qui, chiedendoti di incontrare la nostra parrocchia alle 21.00. Hai risposto: “Sì, mi fa piacere venire, ma non alle 21.00. Quella è l'ora in cui voglio stare con la mia famiglia. Sto già fuori troppe sere per giocare e non è giusto sottrarre altre ore serali a mia moglie ed alle mie bambine. Se a voi va bene, posso venire alle 18.30”. Questo dice situare il calcio in un contesto più ampio! Mi è tornata in mente una secca risposta di d.Giuseppe Dossetti, politico e padre della Costituzione, e poi monaco, morto dieci anni fa, alla domanda postagli da alcuni seminaristi su quale consiglio avesse da dare ai politici di oggi. La sua risposta era stata: “Innanzitutto che non sfascino le loro famiglie, trascurandole per la politica! Chi si occupa del bene di tutti, sappia prima di tutto curare la realtà più semplice della vita comune, la famiglia, sulla quale poi tutte le altre realtà pubbliche si fondano”. 
Spesso con d.Francesco ci interroghiamo sul perché il calcio piaccia tanto. Scherziamo molto su questo anche perché lui è juventino ed io romanista. E, nelle risposte che ci siamo dati, emerge il positivo ed il negativo dello sport. 
Innanzitutto il calcio ha un aspetto ludico. Pochi altri sport hanno campi di gioco grandi come quelli di calcio e questo permette spazio e velocità. Si usano moltissime parti del corpo, dai piedi alla testa, al petto, ecc. Soprattutto è sport di squadra e richiede non solo capacità individuali, ma anche una grande attenzione ad una visione di insieme. E' gioco di contatto, di scontro con l'avversario (a differenza, ad esempio, dalla bellissima pallavolo, dove l'avversario è al di là della rete). Un altro aspetto ci è sempre sembrato caratteristico: può accadere che in una partita non vinca il migliore, tanto è il peso che giocano il caso e la fortuna (mentre in altri sport questo non può avvenire); come si dice spesso: “La palla è rotonda”! Tutto questo può risultare uno stimolo per la vita. Giocare o vedere giocare la propria squadra, da tifosi, può essere stimolo alla capacità di decidere, di saper costruire insieme ad altri nella vita, di voler concretizzare (parola che si usa per indicare il passaggio da una superiorità di gioco alla realizzazione del goal), di saper lottare contro ciò che ci è avverso. 
Il rovescio della medaglia appare proprio nella capacità che ha oggi il calcio di allontanare dalla vita. Il tifo può darti l'apparenza di appartenere ad un popolo, ad una comunità (“Chi sono?” “Sono romanista, sono laziale, sono juventino”), può essere l'argomento ossessivamente ripetuto, non solo dal barbiere o al mercato, ma spesso anche in ogni incontro fra amici, che attrae a sé ogni interesse e che spegne la potenzialità di parlare d'altro. Può esaurire le tue energie di bene, di lotta, di trasformazione, requisendole per sé, invece di potenziarle, rimandandoti ad altre dimensioni della vita. Come non ricordare quella canzone, che è divenuta come un inno, che attribuisce alla squadra ciò che è proprio del senso della vita: “Che me fa' campa' sta vita così piena de problemi, che me da coraggio se tu non mi vuoi bene, che ce fa sentire amici anche se non ci conosciamo, ecc. ecc.” Anche la cosiddetta “scaramanzia” non vive forse dell'illusione di rendermi protagonista di un evento in cui io in realtà non conto niente, allontanandomi dagli spazi tipici della mia creatività e libertà? Prima di ogni partita ci diciamo reciprocamente: “Vedo la partita da te, perché questo porta fortuna, mi metto quella sciarpa o quel paio di mutande, perché quando le ho si vince sempre, ecc. ecc.” come a dire: “Non sono solo gli undici in campo che giocano e segnano, ma il risultato dipende da me, da quello che anch'io faccio”, come a dire: “Anche io ho il merito di quel goal, proprio io l'ho fatto” – ed ognuno ritiene e afferma che è stato il suo gesto scaramantico quello decisivo, in mezzo ad altri due milioni che dicono la stessa cosa! Ecco che la forza di renderti protagonista, tipica dello sport, può trasformarsi nel suo contrario, nell'abdicare nei campi decisivi della vita per vivere l'illusione di una decisività da tifoso. 
Ti chiediamo allora di aiutarci a comprendere dal tuo punto di vista: “Perché il calcio?” 
Relazione di Damiano Tommasi 
Vorrei innanzitutto consigliarvi un libro che ho appena finito di leggere. Si tratta di "Febbre a 90°" di Nick Hornby [1] . E' il racconto autobiografico di un tifoso dell'Arsenal in cui si incrociano successi ed insuccessi della squadra, con gli alti e bassi della vita affettiva e sociale del protagonista, dei tifosi e della società inglese. 
Per rispondere alla domanda che è stata posta, dobbiamo partire dal fatto che esistono diversi punti di vista, diverse angolature da cui vedere il calcio. 
C'è il punto di vista di noi calciatori, per i quali il calcio è un lavoro. Siamo professionisti, cerchiamo di lavorare al massimo, di dare il meglio di noi. Per noi il calcio è certamente una passione, ma è certamente anche il nostro lavoro e, da questo punto di vista, va visto come ogni altro lavoro. 
C'è un secondo punto di vista, quello del tifoso, di colui che vede il calcio o allo stadio o alla televisione. Conoscete sicuramente tutti molto bene questo aspetto. 
C'è poi il punto di vista di chi pratica lo sport del calcio in modo dilettantistico. Spesso qui troviamo le cose più belle del calcio, la dimensione sportiva vissuta e giocata con serietà e passione in mezzo ai tanti impegni che la vita comporta, senza fini esterni, economici o di altro tipo. 
C'è poi il punto di vista delle persone per le quali il calcio è un business, è il modo di guadagnare o perdere soldi, con lo scopo di sfruttare il fenomeno del calcio perché renda sempre di più, di interessare sempre più persone ad esso, perché questo genera un maggior ritorno economico, perché così aumentano i possibili clienti, ai quali vendere questo prodotto. 
Il fatto di vedere questo sport da angolazioni diverse crea poi quelle che sono le incomprensioni che possono essere le arrabbiature dei tifosi, possono essere le contestazioni, possono essere le delusioni amare per un risultato negativo della propria squadra, può essere la partenza di un idolo della propria squadra verso altre destinazioni. 
Il calcio per me è un lavoro e come tutti i lavori lo devo fare con il massimo della professionalità cercando di migliorare ogni giorno, sapendo che comunque è uno sport e si può vincere e si può perdere. Il tifoso questo lo vive diversamente. Anch'io sono tifoso di una squadra per la quale non gioco, ma solo ricordando come la vivevo prima di essere professionista, riesco a capire certi atteggiamenti dei tifosi. Il tifoso vuole sempre che la sua squadra vinca, non importa come. Il tifoso vuole un riscatto personale contro chi non è tifoso della propria squadra e per alcuni è anche un riscatto personale perché non è riuscito a diventare calciatore professionista e allora dimostrando che se ne intende di calcio vuol far vedere che sono stati i fatti della vita, la sfortuna e gli incontri sbagliati a non farlo diventare un calciatore professionista. 
Il calcio è sempre più al centro dell'attenzione in Italia e soprattutto a Roma. Io sono nativo di Verona e vedo questa differenza di come viene vissuto il calcio. A Verona non c'è nessuno che magari vive il calcio come lo vive una persona di Roma. A Roma non c'è nessuno che non sappia chi è un giocatore della Roma o chi è la Roma, perché se non è lui direttamente, è il collega dell'ufficio o compagno di scuola o nipote. Questo fa sì che il calcio soprattutto a Roma sia un fenomeno sociale molto più ampio che non a Verona. 
Noi da parte nostra talvolta non so se non vogliamo o non riusciamo a capire i tifosi, perché chi gioca e scende in campo sa che si può far bene e si può fare male, si può vincere e si può perdere, si possono avere dei comportamenti che i tifosi magari non capiscono e lo stesso non si capisce perché io che faccio il mio lavoro debbo magari rischiare l'incolumità fisica perché perdo una partita o perché gli altri sono più bravi di me. Forse è l'unico lavoro al mondo dove questo accade. D'altra parte i tifosi pretendono da noi calciatori il massimo, pretendono sempre la vittoria, pretendono l'impegno dal primo all'ultimo minuto e per tutta la settimana in tutte le partite dell'anno e con questo poi vanno avanti tutta la settimana a parlare della partita e dei giocatori, magari sorvolando su altri problemi della loro famiglia, come diceva prima don Andrea. 
Forse è anche un modo per spostare la nostra attenzione da quelli che sono poi i punti fermi della nostra vita, la nostra famiglia, i nostri amici, il nostro lavoro. 
Condisce il tutto il grosso business, tanti soldi che vengono ogni volta portati davanti. Quando si guarda un giocatore di calcio non si pensa che è bravo a fare quello sport, si pensa che guadagna tanti soldi e questa è una cosa sbagliata perché da quel punto di vista non si possono giudicare poi gli altri comportamenti. Non si può giudicare una persona per quello che guadagna. A me personalmente stupisce che questo procedimento non avvenga per i cantanti, per gli attori, per i politici, per gli imprenditori. Avviene solo per i calciatori, forse perché a calcio siamo tutti capaci di giocare. Ma insomma se 4.000 calciatori professionisti tra A, B e C in Italia riescono a fare questo lavoro su milioni di persone, ragazzi che iniziano a giocare a calcio, probabilmente un motivo ci sarà; non può essere solo la fortuna o l'incontro giusto o la conoscenza o l'infortunio che non ti è capitato. Probabilmente qualche abilità ce l'hanno. 
Quando gioca la Nazionale si vede che siamo tutti commissari tecnici! Tutti sanno la formazione ideale della Nazionale - siccome è facile parlare di calcio, non implica nessun coinvolgimento personale perché alla fine della chiacchierata si è come prima, non si è cambiato il risultato e anche se è cambiato la mia vita non cambia e quindi è anche un modo per stare insieme con leggerezza. Magari non ci si accorge della tristezza e della solitudine di una persona perché questa parla solo di calcio e parla della Roma, dei tifosi della Roma o della Lazio, del Milan, della Juve sorvolando probabilmente anche perché non cerca nella sua vita altri stimoli un po' più impegnativi. 
Dicevo prima il condimento del business. Chi fa calcio per creare movimento di denaro soprattutto non può che, non dico gioire, però essere soddisfatto di questo discorso, che la gente parli per intere settimane di calcio. Perché vuol dire che l'interesse intorno a questo fenomeno aumenta sempre di più. Tre settimane fa in un'intervista ad un giornalista che chiedeva - una delle domande che in quella settimana ricorrevano di più e anche adesso stanno ricorrendo di più - perché la sostituzione non è stata fatta, perché Montella non è stato inserito prima, sicuramente sarebbe stato meglio, ecc., mentre io rispondevo che non si ha la prova del contrario, che è facile parlare quando non si può dimostrare quello che si dice, lui giustamente diceva: “E' vero! Magari entrava lui e si perdeva e poi si stava a parlare di questo errore. Ma d'altra parte di qualcosa si deve pur parlare, sennò di cosa si parla?”!!! E detto da un giornalista sportivo fa un certo effetto. Vuol dire che sono lì per parlare di qualcosa che non ha nessun obiettivo se non quello di parlare. 
E tutto questo insieme fa sì che purtroppo molti genitori abbiano delle aspettative troppo forti sui loro figli e vedano nel loro figlio la realizzazione solo se diventa giocatore di calcio. Quindi ci sono genitori che addirittura sperano nel figlio maschio per farlo giocare a calcio, prima ancora della nascita. Mi è capitato più volte di firmare autografi per bambini che dovevano ancora nascere e questa è la dimostrazione di quanto il calcio si sia insinuato nella vita delle persone. Mi viene da ridere quando leggo “Roma – Barcellona vista da due miliardi di telespettatori nel mondo”. Probabilmente due miliardi di persone non hanno neanche la televisione nel mondo! La popolazione italiana è l'1% della popolazione mondiale. Nel mondo siamo 6 miliardi e dubito che una persona su tre martedì sia stata davanti al televisore per vedere Roma-Barcellona, dubito che uno su tre in Italia sia stato a guardare Roma–Barcellona, eppure chi fa di questo sport una grande industria ha tutto l'interesse a che la gente si consideri importante perché ha visto Roma–Barcellona in diretta, perché sa come è andata la partita, perché è protagonista come diceva prima don Andrea, indirettamente o direttamente. Se leggete il libro di cui vi ho parlato probabilmente vi ci riconoscerete in tanti - io mi riconosco da tifoso di calcio - in questo coinvolgimento che si ha, che si vuole dare al risultato. Insomma sono lì, faccio la mia parte, perché anche chi è sugli spalti, chi è a casa vuole fare la sua parte ed è convinto di farla - anch'io lo sono perché anch'io sono tifoso di calcio e capisco come sia il coinvolgimento. Però questa esagerazione, considerarlo più importante di quello che è, alla fine poi ti porta a delle reazioni come quella di cui ho parlato prima: l'autografo per il bambino che deve ancora nascere o l'aspettativa solo sportiva sul figlio. Non vedo così tanta soddisfazione nei genitori che hanno un figlio magari medico o insegnante o ingegnere o padre di famiglia che abbia dato dei nipotini, come quella che si vede negli occhi magari di genitori che hanno il figlio che gioca a calcio a livello professionistico. Questo mi fa pensare, da calciatore professionista. Penso che anche per i miei genitori la più grande soddisfazione sia quella di vedermi sposato felicemente con due bambine e non tanto il lavoro che faccio. Poi mio padre è appassionato di calcio e ovviamente è contento di poter andare a vedere una partita allo stadio ed essere coinvolto direttamente visto che è il figlio che gioca. Però deve rimanere al suo posto questo sport! 
Poi un altro punto di vista è quello di chi pratica questo sport a livello amatoriale, a livello dilettantistico. Lo vivo un po' perché i miei fratelli giocano a livello dilettanti. Anche io ho iniziato con squadre di dilettanti, quindi so con quale spirito ci si avvicina, anche alla mia età di adesso, quando le possibilità di far carriera non ci sono più. Si va a giocare a calcio per la pura passione. Forse è lì che emergono i lati positivi di questo sport, è lì che si riesce ad esaltare il gruppo. La squadra del mio paese è una squadra che nel suo piccolo sta facendo grandi cose, perché penso che sia l'unica squadra nel Veronese dove i giocatori pagano l'iscrizione al Campionato. Queste persone che pagano per andare a giocare e si allenano magari la sera dopo aver fatto otto, nove ore di lavoro che poi non è lavoro - magari - d'ufficio, ma lavoro artigianale e lo stesso riescono ad avere risultati sportivi importanti perché hanno vinto due campionati di seguito, hanno risultati sportivi di questo tipo. E' un segnale che il gruppo si crea in qualsiasi situazione e la forza di più persone riesce ad avere risultati anche con mezzi magari scarsi. A livello dilettanti emerge forse l'aspetto più bello di questo sport: giocare e non quantificare economicamente la sconfitta o la vittoria. Qualcosa che toglie un po' di romanticismo a questo sport è il fatto che se la Lazio esce dalla Champions League ha un mancato guadagno di tot miliardi - è una cosa che purtroppo è sulla bocca di tutti – con il problema delle plusvalenze degli ingaggi. Questo toglie magari l'altro aspetto che vuol dire vivere la sconfitta come un momento difficile per tutto il gruppo e non come una perdita economica, cosa che avviene a livello dilettanti. La voglia di riscatto nella partita successiva, quello che è poi lo sport, quello che è l'insegnamento più importante dello sport che è quello che ti da sempre un'opportunità di rifarti, ti da sempre una seconda opportunità, perché c'è sempre un'altra partita dopo quella che stai disputando, sia nel bene che nel male. Se vinci, l'esaltazione non deve essere così tanta, perché la partita dopo puoi perdere e lo stesso se perdi, la partita dopo non è detto che perdi ancora. Questo allenarsi agli alti e bassi poi è una buona palestra per la vita di tutti i giorni dove le gioie e i dolori si alternano e bisogna convivere, gestire il proprio umore a seconda della giornata storta o della giornata felice. E questo è uno sforzo che dobbiamo fare per vivere il nostro lavoro nella maniera più giusta, portare questo aspetto che il calcio dilettantistico ha per forza di cose perché non ci sono risultati economici, non ci sono ambizioni di carriera, c'è solo l'entusiasmo di giocare e di ottenere un risultato con la forza del gruppo. E questo dobbiamo cercare sempre di portarlo all'interno anche del nostro spogliatoio dove invece si ha la tendenza a quantificare il risultato, di quantificare la vittoria e i successi che poi diventano a un certo punto, anche a livello individuale, diventano dei successi personali, perché a seconda di come va la stagione, rifaccio il contratto, mi prolungano il contratto, quindi non esulto magari se un giocatore del mio ruolo fa bene perché vuol dire che la domenica successiva giocherà ancora lui e io non giocherò, cosa che invece si riesce a fare di più a livello amatoriale, dilettantistico, a livello giovanile. 
C'è poi l'aspetto dei tifosi, di come si vive il calcio sugli spalti - forse lo sapete meglio voi di me che ci siete spesso! Io ho parlato di come vivo io il calcio da tifoso - come ho detto prima è ben delineato da questo autore inglese in quel libro che ho citato - perché lo sento ancora, anche se faccio questo lavoro. Però un conto è ricordarsi di come si fa il tifoso, un conto è esserlo tutti i giorni. Comunque la dimostrazione che il calcio è un fenomeno sociale particolare, soprattutto in Italia, è il fatto che io sia qui a parlarvi di questo sport, che voi siete numerosi e che se io avessi fatto un altro lavoro certo non sarei qui. Questa è la responsabilità del nostro lavoro, il nostro essere, soprattutto per i giovani, dei testimoni. Una cosa che mi ha un po' impressionato è stato un giorno che avevamo una sosta e sono andato a Verona a vedere una partita di seconda categoria dei miei fratelli. Mi ha lasciato un pochino perplesso l'esasperazione degli atteggiamenti sia in positivo che in negativo che avevano i giocatori come spirito d'imitazione dei campioni di serie A e di serie B, dei giocatori che vedono in televisione. Il modo di esultare dopo i goal uguale a quel giocatore, il modo di protestare, di fare i falli, le astuzie nel battere il calcio d'angolo, il fallo laterale. Ho capito come siamo sempre sotto la lente d'ingrandimento, ci sono persone che ci studiano e, inconsciamente magari, ripetono quello che facciamo la domenica nei campetti la sera o sui campi delle categorie dilettanti la domenica. Di qui la nostra responsabilità che è tanta, che non abbiamo voluto noi. E' il nostro lavoro che ce la impone. 
Siamo guardati soprattutto dai ragazzi come persone che sono arrivate, che ce l'hanno fatta, che in qualche modo hanno ottenuto quello che volevano dalla loro vita. Sbagliando, perché non è così! Non sempre chi è in mezzo a un campo è realizzato nella sua vita. La realizzazione della propria vita è fatta di altre cose. Ognuno ha dei propri parametri. Personalmente la realizzazione della mia vita non è il fatto di giocare a calcio. La realizzazione è quando torno a casa, l'essere sereno, l'essere ancora legato alla mia famiglia, alla mia città. La capacità di dire: “Se domani smetto di fare questo lavoro rimango sempre uguale, non mi casca il mondo addosso”. E questo rimane sempre per me, questa è la realizzazione. I ragazzi magari invece ci vedono come delle persone realizzate perché riusciamo a fare goal allo stadio Olimpico. Per questo cercano di imitare tutto quello che facciamo in positivo e in negativo, perché si fa un procedimento molto veloce, per cui se quel giocatore si mette la fascetta bianca in testa o si lega le scarpe in un modo particolare o si mette le scarpe colorate, anche io, se faccio quello, intanto compio un primo passo per diventare come lui poi, piano piano diventerò come lui anche a giocare. Deve essere nostro obiettivo lanciare input positivi in questo caso. Rispettare l'avversario, rispettare l'arbitro, rispettare i tifosi, vivere la partita con correttezza, dimostrare la nostra professionalità non solo la domenica, ma tutta la settimana, quando ci si allena per allenarsi con responsabilità, allenarsi bene, preparando la partita come si deve, vivere una vita al di fuori del calcio che sia consona a quella di un atleta, quindi una vita tranquilla dove ti lasci le energie maggiori per il calcio, per lo sport, per il nostro lavoro. Io parto sempre dal presupposto che non tutti siamo nati dottori, non tutti siamo nati operai, non tutti calciatori, ognuno ha la sua strada, ognuno ha i propri talenti, l'importante è riconoscerli e farli fruttare al massimo. Poi se uno è destinato o ha le capacità per diventare calciatore professionista, diventerà calciatore professionista, se ha le potenzialità per diventare un medico diventerà un medico, se ha le potenzialità per diventare un padre di famiglia, diventerà un padre di famiglia. Ognuno ha la sua strada, non tutti dobbiamo mirare allo stesso obiettivo, se abbiamo altre potenzialità, altre caratteristiche. Però noi calciatori dobbiamo continuare a dirlo perché tanti miei colleghi danno magari la conferma di quello che la gente pensa, che diventando calciatore hai realizzato il sogno della tua vita e sei felice e contento per questo. Sono altre le cose che ci rendono felici e questo non dobbiamo stancarci di dirlo e soprattutto a dei ragazzi e ai loro genitori che dai ragazzi si aspettano tanto, forse troppo. Il calcio come obiettivo della nostra vita, o la vita dei nostri figli! 
Mi è capitato di incontrare l'amara realtà di un genitore che non ha fatto giocare suo figlio perché l'allenatore lo stava inserendo in campo a cinque minuti dalla fine. Il papà dalla tribuna ha detto: “O ascolti me o ascolti il tuo allenatore”. E lui, che magari era contento di giocare anche quei cinque minuti, non è entrato in campo perché il papà riteneva umiliante far giocare il proprio figlio solo cinque minuti. Da una società dilettantistica di Verona sono passato al Verona, la società di serie A delle giovanili. Eravamo in tre, due hanno superato il provino (io e un mio compagno di squadra) e l'altro non l'ha superato. Io sono rimasto e l'altro mio compagno invece, siccome era stato confermato per fare il terzino sinistro, non ha accettato perché suo padre ha detto che lui doveva diventare ala sinistra. Non ha confermato il provino perché il padre l'ha portato nella squadretta del suo quartiere per farlo giocare come attaccante! Risultato: dopo due anni l'ho trovato che aveva smesso di giocare a calcio. 
Questo è quello che accade, questo è quello che secondo me va evitato, non pensando che sia una frustrazione se nostro figlio non diventa calciatore. Nello stesso tempo non pensare che sia una frustrazione andare a giocare a “calciotto” o in seconda categoria coi nostri amici, facendo un altro lavoro, riducendosi a parlare di calcio, insultare i giocatori di serie A e guardare Stream. 

Domanda : Qual è la soddisfazione più grande che hai avuto dal mondo del calcio? E poi ancora: non mi sembra che tu abbia risposto completamente alla domanda di d.Andrea sul motivo per il quale il calcio è così popolare, trascina così tante passioni, così tanto entusiasmo. 
Risposta : La soddisfazione che ho avuto nel calcio è quella dei rapporti umani che sono riuscito ad instaurare con le persone che ho incontrato, sia compagni di squadra che allenatori, che dirigenti, accompagnatori, massaggiatori. Il rapporto buono che ancora adesso va al di là del mio lavoro. Queste sono le grandi soddisfazioni che ho avuto. 
Il calcio perché è popolare? Non ho risposto perché non so. Penso fondamentalmente perché è semplice. E' uno sport che sanno fare tutti e personalmente. E' importante perché per me è una passione e come tutte le passioni trascina. Penso che essendoci tante componenti che si interessano di calcio, ci siano vari motivi per cui è sempre e comunque alimentato l'interesse intorno a questo sport. Come ho detto prima forse dietro a tutto questo c'è il fatto che è una grossa industria, una grande azienda, che i grandi imprenditori, chi ha in mano i mass-media ha interesse che resti in piedi. Vedete i casi di certe società che sono in crisi economica e che ancora comunque rimangono ad alti livelli perché per le città che rappresentano sono importanti e per il movimento calcio è importante che non ci siano intoppi. Quindi si fa di tutto per tenerle in piedi. 

Domanda : Qual è la differenza tra un grande campione ed un fuoriclasse? 
Risposta: La differenza tra il campione e il fuoriclasse penso che si veda in settimana, non la domenica. Ci sono fuoriclasse che in settimana aspettano la domenica, ci sono campioni che in settimana preparano la domenica. 

Domanda : Ho avuto la fortuna per il lavoro che faccio di occuparmi di persone con handicap e ho visto la gioia che hanno i ragazzi nel giocare a pallone. Mi ha ricordato la gioia che avevamo noi da bambini quando correvamo sul prato in dieci o venti dietro al pallone. Volevo sapere di questa gioia allo stato puro nel calcio giocato ad alto livello quanto rimane? 
Risposta : La gioia ai miei livelli, nel mio lavoro, rimane perché - l'ho già detto - il calcio per me è una passione. Dicevo pochi giorni fa che per me giocare a calcio dentro lo stadio Olimpico contro il Barcellona ha le motivazioni, l'entusiasmo e la gioia che ho quando gioco con i miei fratelli durante le vacanze di Natale. Perché è sempre quello lo sport. La differenza è che quando gioco con il Barcellona gioco contro i più bravi esponenti di questo sport, quindi è maggiormente impegnativo dal punto di vista della concentrazione. Però la gioia c'è, la gioia la vediamo in settimana tra di noi. L'entusiasmo di fare una partitella alla fine dell'allenamento c'è sempre e al di là del risultato domenicale, che ci sia stata una sconfitta o una vittoria. 

Domanda : Quando negli anni '70/80 vedevo le partite in televisione o allo stadio avevo la percezione anche visiva di vedere una partita di pallone e basta. Adesso sembra, anche allo stadio, di vedere più uno spettacolo che uno sport. C'è indubbiamente quasi una deriva da sport a spettacolo che a me come sportivo sembra negativa. Se voglio vedere uno spettacolo vado al cinema. Condividi che c'è questa deriva verso lo spettacolo, lo ritieni una cosa positiva o negativa oppure sono solo i tempi che cambiano? 
Risposta : Lo sport sta diventando uno spettacolo. E' uno spettacolo. Lo dimostra il numero degli inviati quando gioca la Nazionale. Sono 10/12 giornalisti che si mettono in tutti gli angoli dello stadio per fare interviste, per fare la cronaca della partita, per sentire i protagonisti. E dietro di loro ci sono altre persone con le luci, le telecamere, i collegamenti audio. E' un grosso business e c'è lavoro per tutti, per questo si sta sempre di più spettacolarizzando. Le televisioni parlano molto e quindi si da spazio alle televisioni. La testimonianza di questo è l'aumentare delle inquadrature delle partite alla TV. Da qualsiasi angolazione si rivede il goal e questo perché ci sono tante telecamere allo stadio perché si vuole che il pubblico a casa non veda solo una partita, ma veda uno spettacolo. Perché i calciatori che fanno tanto rumore dopo un goal sono sempre più riproposti in televisione? Perché è un aspetto del nostro sport. Vi dicevo prima questo aspetto c'è meno a livello dilettanti, dove rimane lo sport. Da protagonista di questo sport-spettacolo dico che per noi è importante ed è fondamentale considerarlo sempre e comunque uno sport, altrimenti non si ottengono i risultati. Se si da spazio allo spettacolo si rischia di perdere anche la concentrazione e la volontà di prepararsi in settimana a quella che è una prestazione sportiva. Personalmente mi piace più lo sport che lo spettacolo, però capisco che ci siano tifosi che vengono allo stadio per vedere uno spettacolo e non le partite che finiscono 0 – 0, mentre noi, se è un risultato che va bene per la classifica, siamo soddisfatti. E' differente l'interesse che ha il tifoso da quello del calciatore professionista riguardo alle partite. 

Domanda : Cosa ne pensa della violenza e del razzismo negli stadi? 
Risposta : La violenza e i razzismo negli stadi! Taglierei la seconda parte della frase. Ci sono la violenza e il razzismo, punto. Il fatto che siano negli stadi è perché forse lo stadio è l'unico luogo dove si radunano la domenica migliaia di persone, di giovani. E più persone ci sono più è diversa la tipologia di persone rappresentata e come nel mondo c'è il bene e il male. Se siamo in 3 il fatto che ci sia un razzista tra di noi è facilmente riconoscibile e in pubblico neanche si espone. Quando siamo in 50.000, nessuno mi vede, nessuno mi sente e allo stesso tempo tutti mi vedono e tutti mi sentono. Io non sono nessuno, però se insulto un giocatore di colore o picchio qualcuno, poi il giorno dopo si sa che i tifosi della squadra hanno insultato, hanno spaccato etc. E' un modo per diventare famosi senza farsi riconoscere. Essendo il calcio l'unico fenomeno che si ripete tutte le domeniche e riesce a radunare così tante persone forse è l'unico momento in cui emergono la violenza e il razzismo che sono presenti nella nostra società, sono presenti in tutti gli ambienti di lavoro. In quanti uffici ci sono impiegati che non vanno d'accordo e si insultano dal mattino alla sera - anche quella è violenza, anche quello è razzismo - perché quella è una donna e io sono un uomo, perché quello è di Roma e l'altro è di Napoli. Allo stadio questo emerge perché lo stadio da l'anonimato. E noi non possiamo fare altro che continuare a parlare male di questi aspetti e cercare sul campo di non dare motivo di contestazioni, di insulti, con reazioni violente a decisioni arbitrali, a falli dell'avversario o a provocazioni. 

Domanda : Ci ha parlato di tanti valori, ma noi sappiamo che questi valori sono in lei sostenuti dall'essere credente. Sappiamo che le hanno dato un soprannome che è, da un lato, una presa in giro, ma dall'altro anche il riconoscimento di essere un cristiano ed un uomo di chiesa. Come vive la sua fede nel mondo del calcio? La sua squadra ha un cappellano? Sono molti quelli che nel calcio vivono la fede? 
Domanda : E' stato molto fischiato e poi molto applaudito. Come ha vissuto tutto questo? 
Risposta : Comincio dal vivere la fede nel mio ambiente di lavoro, così complicato come è complicato vivere la propria fede in qualsiasi ambiente di lavoro. Sono a contatto con persone che hanno sensibilità diverse, alcuni vivono la fede in maniera profonda, altri non ne sono toccati, altri non ne sono sfiorati. Tanto dipende da noi. Soprattutto il fatto di frequentare la parrocchia. C'è un aspetto del calcio professionistico che vede arrivare a questi livelli giocatori che magari a 13/14/15 anni si sono allontanati dalla famiglia magari perché dalla Sicilia sono andati a giocare a Torino, Milano, a Roma e quindi hanno perso i contatti con le amicizie loro e con la parrocchia in cui sono cresciuti, con la catechesi continua, con i genitori, magari con le loro stesse famiglie. Personalmente non trovo difficoltà a vivere la mia fede, a testimoniare la mia fede. Non trovo difficoltà perché sono talmente convinto di quello che credo che è un problema degli altri se do fastidio con il mio comportamento. E' un problema degli altri se da fastidio che io non cerchi di ingannare l'avversario, che cerchi di rispettare anche chi mi è avversario. 
Tra i tanti che vanno a messa, ci sono alcuni dirigenti, alcuni massaggiatori, alcuni calciatori, chi se la sente. Nessuno è obbligato. Però vedo che comunque chi viene, viene sempre, con continuità. Lo stesso dicasi per quando andiamo in trasferta. Ormai a seconda dell'albergo in cui andiamo conosco già la parrocchia, perché andiamo sempre negli stessi alberghi e le chiese che frequentiamo sono sempre quelle. Siamo in tre o quattro che quando è la domenica mattina andiamo a messa alla chiesa vicina all'albergo dove siamo. Ci sono squadre che fanno andare un prete a celebrare la messa in albergo per la squadra. 
Le difficoltà di essere cristiani non sono particolari nel nostro ambiente. Paradossalmente è più semplice per me perché, come dicevo prima, sono considerato uno che è arrivato, uno che può vestire come vuole e la gente non gli dice che è vestito male o che cosa fa quello. Perché io posso girare ed essere sicuro di me stesso perché sono un giocatore di serie A! La gente quindi non mi dice: “Perché vai a messa?”, anzi è l'inverso. La gente dice: “Se questo va a messa ed è diventato un calciatore professionista, non devo chiedergli il motivo, ma fare come fa lui”. Quindi per me è anche meno complicato di chi invece viene spesso preso in giro - a parte che prendono in giro anche me, ma io sono talmente convinto della mia fede che non ho alcun problema ad essere preso in giro. La presa in giro è poi un metro per misurare l'intelligenza delle persone. 

Domanda : E' stato molto fischiato e poi molto applaudito. Come ha vissuto tutto questo? 
Io la vivo così e poi questa sicurezza mi fa avere pazienza con i fischi, avere pazienza con chi mi insulta, con chi mi dice che non sono capace di giocare a calcio, di tornare a Verona, di tagliarmi i capelli, di andare a messa invece di andare allo stadio, di raddrizzare i piedi e tutte queste cose. Io sono soddisfatto del mio lavoro, so che devo migliorare tanto, so che ho imparato tanto, so che posso competere con quelli che mi trovo di fronte la domenica. Sono sicuro dei miei mezzi e della fiducia che hanno intorno a me i miei compagni, gli allenatori, la società. Poi se lo spettacolo che do non è gradito ai tifosi, i tifosi sono liberi di fare come meglio credono. Tanto visto che se fai goal applaudono tutti, vuol dire che si sono dimenticati i fischi anche loro, come ho fatto io. 

Domanda : Cosa pensa della Roma oggi? 
Risposta : Della Roma penso quello che dicono le classifiche: prima in campionato, prima in Champions League, con grosse potenzialità, con tanti giocatori di livello internazionale che può fare tanto bene. Ma non dimentichiamo che proprio quando le attese sono più grandi anche il rischio della delusione è più grande. E' la bellezza dello sport! 

Domanda : Come lei sa, tanti dei calciatori della sua squadra vivono nel nostro quartiere. Non appena escono, tutti gli corrono incontro. La loro vita è su tutti i giornali e soprattutto su quelli scandalistici, sia che lo vogliano e lo desiderino, sia che cerchino di sottrarsi a questo. Come riesce lei a vivere la sua vita privata? In che rapporto sta questa con il calcio? 
Risposta : Il rapporto tra la mia vita e il calcio? Il calcio è contenuto nella mia vita, è un aspetto della mia vita, non sono due cose separate. Per quanto riguarda la vita privata, è questione di tempi.
Il tempo che sono in famiglia lo dedico alla mia famiglia, il tempo in cui sono sul campo lo dedico al mio lavoro e cerco di impegnarmi in quel momento in quello che sto facendo. Quello che mi aiuta è cercare di essere sempre me stesso, sia in famiglia che a casa, che qui, che a Trigoria e negli altri stadi. 

Domanda : Cosa farebbe se un figlio le dicesse che ha deciso di impegnarsi per sfondare nel calcio? 
Risposta : Il rapporto genitori–figli? Quelli che dicono ai genitori: “Voglio sfondare nel mondo del calcio?” Sorriderei, perché tu puoi volere quello che vuoi, ma poi quando sbatti contro il muro è dura. Sicuramente starei vicino a un ragazzo che dice voglio sfondare nel calcio, gli presenterei le difficoltà di questo lavoro. Io mi sono diplomato in ragioneria studiando gli ultimi tre anni sull'autobus perché andavo a fare allenamento tutti i giorni dopo la scuola. Partivo da casa che era buio e tornavo che era buio. Io ho giocato all'Olimpico con lo stadio intero che fischiava, per un anno intero. E non finiva lì perché anche in strada insultavano. Non è tutto rose e fiori. All'inizio della stagione scorsa sono arrivati a tirare sassi e spaccare le macchine dei giocatori perché non avevamo passato il turno in coppa Italia. A fine anno erano tutti a gioire perché avevamo vinto lo scudetto. Sicuramente si può dire: “Io voglio fare quello che voglio, voglio diventare...”, ma nel calcio non basta volere, servono delle capacità, serve la preparazione anche mentale a quello che si sta andando a fare e soprattutto la cosa prima che un ragazzo deve sapere è che se quell'anno gioca nella Roma, negli allievi, nella primavera, in serie C, serie B, l'anno dopo può avere smesso di giocare a livello professionistico. L'attenzione deve essere sì massima a quello che si sta facendo, ma si deve essere preparati anche al fatto di non essere confermati perché ci sono altri più bravi, perché non si hanno le qualità. Comunque sicuramente un ragazzo che dice di voler sfondare nel mondo del calcio va seguito. Bisogna stargli vicino perché va incontro a delle delusioni molto forti. Caricarlo ancora di più di responsabilità dicendogli: “Fai bene, anch'io voglio che tu sfondi nel calcio”, vuol dire che, se alla fine non sfonda, pensa di avere deluso anche i genitori, quindi è una doppia delusione. 

Domanda : Cosa ha provato quando è stato convocato la prima volta in Nazionale e quando il suo nome è stato inserito tra i 50 candidati al Pallone d'oro? 
Risposta : La convocazione ai Mondiali ed essere considerato tra i 50 migliori giocatori d'Europa sono delle soddisfazioni a livello professionale importanti. E' come un impiegato che riceve una promozione, l'imprenditore che riesce a produrre di più. Sono soddisfazioni che uno ha nel proprio lavoro. Per il resto non è che abbia avuto particolari emozioni. Quando uno lavora durante la settimana per mesi, per anni e si hanno queste soddisfazioni forse è il premio migliore per gli sforzi che si fanno. 

Domanda : Cosa prova quando segna un goal? 
Risposta : Quando segno un goal? Ne segno talmente pochi che non sono abituato! Gioco in un ruolo dove non è importante fare goal e quindi è sì una gioia ma è come un regalo di compleanno, inatteso. E' una sorpresa e si apprezza. Ma non è sempre il giorno del nostro compleanno! La mia attenzione è su altri aspetti del mio ruolo in campo. 

Domanda: Cosa pensa dei suoi colleghi che usano della loro immagine per la pubblicità o del loro corpo per fare calendari? 
Risposta : Cosa penso della pubblicità che fanno i miei colleghi? Ognuno interpreta il suo ruolo come crede. Siamo personaggi pubblici ed oltre ad essere responsabili verso i giovani siamo anche un punto di riferimento per tante aziende, perché abbiamo l'attenzione di tante persone. E attraverso di noi vogliono attirare l'attenzione delle persone su certi prodotti, su certi locali, su un modo di vivere, di comportarsi che sia consono ai loro prodotti e al loro business. Facciamo parte di un business che va oltre lo sport. Se pensiamo alle persone che sono impiegate nel calcio o intorno al calcio, televisioni, radio, aziende che producono prodotti sportivi e misuriamo la percentuale di quelli che scendono in campo penso che sia uguale a quella che si verifica la domenica all'Olimpico: 50.000 sugli spalti e 22 che corrono. Poi questo viene fuori. Perché chi sa che questa professione si fa per pochi anni cerca di mettere da parte per sé e per i propri figli quello che può. 



Note
[Nota 1] N.d.R. Pubblicato da Ugo Guanda editore. Il regista David Evans ne ha tratto il film che porta lo stesso titolo “Febbre a 90°”. 



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