LAZIE/ROMA
(sospesa all'inizio del 2° tempo sullo 0-0)
Stadio Olimpico
21 marzo 2004
ore 20.30

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CRONACHE

Famiglie e bambini terrorizzati. Alessandro: «Questa è l’ultima volta che assisto a un derby»
 Ore 22, in fuga dall’inferno
 Lacrimogeni e fiamme all’Olimpico: «Fumo ovunque, non si usciva»
 di MARCO DE RISI
e GIUSEPPE MARTINA
Intorno allo stadio Olimpico un campo di battaglia. Vetri dappertutto, resti di lacrimogeni, marmi divelti, sassi, motorini bruciati, macchie di sangue e gente in fuga. «Ho provato ad uscire dalla curva Sud - racconta Simone, 22 anni, con la sciarpa giallorossa al collo e gli occhi ancora arrossati dai lacrimogeni - Ho avuto paura perchè non riuscivo a lasciare lo stadio. Prima di raggiungere i cancelli d’uscita c’erano gli scontri tra la polizia e i tifosi. Non ho visto più per i lacrimogeni ed ero spintonato da una massa di persone».
«Ho preso anche io alcune manganellate pur non avendo fatto nulla - aggiunge Enrico, 40 anni, che si trovava insieme alla moglie - Gli scontri tra le tifoserie e le forze dell’ordine sono iniziati già prima della partita e non sono mai terminati. Dallo stadio vedevo il fumo dei lacrimogeni entrare dentro e anche quello di una pila di copertoni in fiamme sotto la Nord. Sono riuscito a uscire e sul viale del Foro Italico mi sono trovato in mezzo all’inferno. Un poliziotto sanguinava a una gamba. Sono stato aggredito anch’io».
Anche un cameramen che stava girando per “Rai Tre” è stato aggredito. «La polizia ha manganellato gli occupanti di una Volvo station wagon - racconta il cameramen con la testa sanguinante - Una ragazza ha riportato la frattura di una mano. Poi, un agente mi ha spintonato a terra».
All’origine dell’inferno la notizia non confermata di un ragazzino investito da un’auto delle forze dell’ordine. Subito smentita dalla Questura. Ma inutilmente. «Hanno ucciso un ragazzino, così dicono ma se è vero è uno schifo, è la fine del calcio, di tutto». Filippo Suraci, 22 anni, e Sandra, la fidanzata, tifosi della Roma, si tengono per mano mentre parlano accelerando il passo, gli occhi lucidi. Sono le 22.05, e i tifosi sono in fuga dalla “grande paura” senza dar peso alle smentite ufficiali. «Impossibile che non sia successo nulla - dice Tommaso R. 26 anni appena uscito dalla curva Sud - o quel bambino è stato investito oppure gli hanno sparato addosso e adesso è ricoverato, magari è in coma e non ce lo dicono. Se non avessero sospeso la partita sarebbe stata di sicuro invasione».
«Lasciando la Sud abbiamo avuto paura di essere coinvolti nei tafferugli - continuano altri due fan romanisti, Alessandro e Simone, 20 e 22 anni, in fila nel traffico a bordo di una Smart - Hanno distrutto tutto dentro loo stadio: c’erano vetrine spaccate, un chiosco di bibite in fiamme».
A gruppetti, a piedi, i tifosi sciamano verso l’Obelisco. Il primo pensiero è rassicurare le famiglie. «Ma le linee sono intasate - dice Stefano Schirinzi, 28 anni - non si riesce a telefonare a casa». Alessandro, 41 anni, allo stadio con i suoi due bambini corre verso la propria auto in sosta sul Lungotevere con una certezza: «Questo è l’ultimo derby cui assisto, uno spettacolo bruttissimo».

Lanci di pietre e auto incendiate. Le forze dell’ordine hanno caricato con i fumogeni. Nove persone arrestate e undici denunce
 Derby sospeso, la notte della guerriglia

 I primi scontri già alle 18,30. Poi all’uscita dall’Olimpico è stato il caos: decine di feriti

 di ROBERTO PONTIROLI GOBBI
 

Guerriglia, guerriglia pura e urbana. Innescata da un morto inesistente, la cui notizia - secondo alcuni investigatori - sarebbe stata diffusa pretestuosamente, e solo un miracolo ha impedito che il morto non ci sia stato realmente. Una notte di follia con epicentro intorno alle 23 quando, circa un’ora dopo l’ufficializzazione della sospensione del derby i tifosi sono usciti dallo stadio. Il bilancio finale è di decine di feriti, nove arrestati e undici denunciati. Mentre quattordici sono i tifosi medicati per ferite lievi.
Gli scontri, le cariche e un inferno di fumogeni e gas Cs è iniziato fuori della curva Sud e, quasi contemporaneamente all’esterno di quella Nord. Chi ha potuto e voluto, sentendo odore di scontri ha cercato di allontanarsi in fretta e furia, altri invece hanno dato vita alla guerriglia che è esplosa intorno alle 23 in piazza Lauro De Bosis, davanti all'obelisco sul Lungotevere Maresciallo Cadorna all'angolo con ponte Duca d'Aosta.
I tifosi hanno creato con delle transenne e con cassonetti un blocco, e hanno ripetutamente lanciato nei confronti delle forze dell'ordine bottiglie e asse di bastoni. Poco distante altri scontri in piazza Todi dove sono confluiti i tifosi provenienti dalla curva Nord, quella laziale. Due guerriglie parallele per un totale di venti minuti di follia pura, di violenza, di scontri, con gli ultras che lanciavano sassi, pedardi e brandivano bastoni e le forze dell’ordine che rispondevano caricando e sparando fumogeni.
Intorno uno scenario surreale, con automobili distrutte, piccoli focolai di incendi dovunque, una ventina di scooter e motorini in terra. E naturalmente un assortito catalogo di feriti e contusi. Si parla di alcune decine. Solo tra le forze dell’ordine due tenenti dei carabinieri sono stati trasportati in ospedale, uno ferito da una coltellata a una gamba, il secondo da una sorta di punteruolo ad un braccio, mentre un finanziere è stato colpito da un carrello ad un braccio ed ha riportato una frattura.
Un bilancio inevitabilmente provvisorio e incompleto per difetto, visto che solo oggi si potrà stilare il bollettino di guerra esatto. Perché di questo si tratta. Per non parlare dei danni ai mezzi e alle strutture. Milioni di euro. Naturalmente fioccate anche decine di fermi, di denunce e anche qualche arresto, come quello di un tifoso laziale di 34 anni G.T. sorpreso a brandire una cinghia poco prima dell’inizio della partita e, poi, dalla perquisizione è spuntato da una tasca un coltello a serramanico.
Per gli altri arrestati e denunciati i reati contestati vanno da resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale fino alla detenzione di armi da taglio. Il clou intorno alle 23. Ma gli scontri sono iniziati a partire dalle 18 quando fuori dalla curva Sud alcuni tifosi romanisti, dall’interno dello stadio, hanno cercato di forzare i cancelli d’ingresso per far entrare gli altri che erano privi di biglietto. Una serie di cariche con lancio di fumogeni e i ripetuti tentativi sono stati neutralizzati.
A quel punto alcuni di loro hanno tentato di scavalcare i cancelli, ma anche lì sono stati bloccati. Una sequenza di scontri impressionante, ma prontamente repressi, che si è protratta fino a pochi minuti del fischio d’inizio del derby. Qui si è registrato il primo ferito, da una coltellata alla gamba: soccorso al San Giacomo, guarirà in 7 giorni.
Quindi, durante il riposo tra le due frazioni, altri tafferugli sotto la curva Sud dove è stato dato alle fiamme il gabbiotto prefabbricato di vigilanza. Una guerriglia lunga un derby, una giornata da dimenticare. «E’ stata distrutta una splendida giornata di sport». Una frase quella di un tifoso, che racchiude al meglio quanto successo in questa nottata di follia.


 E NEGLI OSPEDALI ERANO PRONTI AL PEGGIO
 di MARCO GIOVANNELLI

Allarme rosso, come per una catastrofe. Alle sei del pomeriggio, dopo i primi scontri, è scattato il piano di sicurezza sanitaria per far fronte a eventuali ondate di feriti e purtroppo nei pronto soccorso sono state medicate decine e decine di persone, tra tifosi e forze dell’ordine. Nella centrale del 118 ieri erano pronti a qualsiasi evenienza. «Un derby come quello tra le due squadre capitoline è sempre un evento delicato - spiega Pietro Pugliese, direttore della sala operativa - e quindi era stato allertato il personale». Nei pressi dello stadio Olimpico fin dal primo pomeriggio c’erano quattro ambulanze parcheggiate nei punti strategici. All’interno dello stadio il sistema di sicurezza sanitaria viene svolta da un’altra organizzazione pagata dal Coni e dalle società sportive e dimensionato, per legge, a secondo nel numero degli spettatori. Dopo i primi scontri si è aggiunto un centro mobile per la rianimazione e un’automedica, cioè un’ambulanza con il medico a bordo. Poco prima dell’inizio della partita, quando c’erano notizie di ulteriori scontri, sono stati allertati i pronto soccorso dell’ospedale San Giacomo e il dipartimento di emergenza del Santo Spirito, i più vicini allo stadio. Il pre allarme invece è stato diramato (a raggiera rispetto alla distanza allo stadio) al policlinico Gemelli, agli ospedali San Camillo e San Filippo Neri.
Al San Giacomo ieri sera sono stati portati decine di feriti, qualche tifoso ma soprattutto tanti carabinieri, agenti della polizia e della Finanza. Stessa situazione negli altri nosocomi. «Il centralino del 118 è come impazzito eppure era domenica - spiega Pugliese -. Gli operatori hanno lavorato fino a tarda ora come di giorno quando c’è il picco massimo delle chiamate che ogni 24 ore sono circa 2.500 con l’invio di circa 700 soccorsi. Abbiamo registrato tante chiamate ma soprattutto le telefonate di moltissime persone che chiedevano consigli su come curarsi dagli effetti urticanti dei lacrimogeni o per lenire il dolore delle contusioni». E così i tifosi feriti hanno evitato le cure ufficiali in un ospedale: niente referto, nessun rischio di eventuali conseguenze giudiziarie. Il bilancio ufficiale di una notte di ordinaria follia sarà quindi molto ridotto rispetto alla realtà.
Alle undici di ieri sera, al culmine degli scontri erano in servizio una quarantina di ambulanze e appena gli infermieri scaricavano un ferito, ripartivano subito per un altro soccorso. «Abbiamo inviato i mezzi adeguati e proporzionati all’evento - afferma a notte fonda Pietro Pugliese -. Avevamo messo in conto che potevano scoppiare degli incidenti e purtroppo è stato così. Il sistema ha funzionato, almeno per ora non sono state evidenziate delle crepe».
Ma come funziona il sistema di emergenza in caso di calamità? Al 118 hanno un piano di emergenza per ogni eventualità, dal terremoto all’attacco terroristico, ai disordini negli stadi. «Quando un evento accade all’improvviso - spiega Pugliese -, viene inviato un “mezzo esplorante” che spiega alla centrale cosa vede e quali sono le esigenze. Da quel momento si mette in moto tutto il sistema fino all’allarme diramato degli ospedali». 


SAN GIACOMO DEI TIFOSI
Romanisti mischiati con i laziali. Tifosi insieme a poliziotti, carabinieri e finanzieri. Tutti insieme, in un silenzio quasi irreale. Legati da un sentimento di solidarietà che si è ricomposto solo in ospedale. Al pronto soccorso dell’ospedale San Giacomo a mezzanotte non c’erano più barelle. «Se vincono arrivano ubriachi, se perdono si spaccano la testa», mormora un’infermiera. Il pronto soccorso è come un campo di battaglia: su una lettiga c’è un giovanotto con la sciarpa biancazzurra al collo, appoggiato al lettino un uomo sulla cinquantina, preme un fazzoletto sulla testa: i suoi capelli e la maglietta giallorossa sono sporchi di sangue. Un altro tifoso con la testa rasata e due enormi ecchimosi sulla fronte parlotta con un agente. «Che ti sei fatto?», chiede. E l’altro gli mostra la mano sinistra gonfia: «E’ fratturato», risponde mostrando il dito mignolo.
Arrivano alla spicciolata parenti e amici alla ricerca dei congiunti feriti. Chiedono informazioni, guardano tra le barelle alla ricerca di uno sguardo conosciuto. Due poliziotti chiedono ai carabinieri come stanno due ufficiali del Battaglione mobile di Milano, accoltellati uno alla coscia e l’altro a un fianco. «Dottore si sente male?», chiede un finanziere al funzionario di polizia che ha la mano fracassata. «Ma chi ha sparato i lacrimogeni? Eravamo sottovento, ci sono tornati indietro», parla e tossisce un carabiniere. Un ragazzo chiede a un poliziotto una sigaretta tenendo sulla fronte un sacchetto con il ghiaccio: «Uno dei tuoi mi ha dato una manganellata, ma io non c’entro niente con i teppisti». «Prendi il pacchetto in tasca, non riesco a muovere il braccio, forse me l’ha rotto uno dei tuoi». Via del Corso è quasi deserta, si sente in lontananza una risata: quei ragazzi sicuramente non erano stati allo stadio.

Il fumo dalla curva Sud la fuga precipitosa: scoppia l’apocalisse
di MARCO DE MARTINO




le forze dell’ordine caricano, si sentono i botti dei lacrimogeni e le bombe carta di risposta, soprattutto le sirene che vanno e vengono impazzite, le ambulanze, i carri dei pompieri. Affacciarsi da sopra, dall’alto della tribuna Monte Mario, è come assistere a uno scenario da Blade Runner. Ci sono squadriglie di tifosi mascherati che attendono lo scontro. Fermi. Pronti. Concentrati. La polizia è in assetto da guerra e sta dall’altra parte del viale, come nei film western, solo che siamo a Roma. Sassaiole. Lanci di bottiglie. Razzi sparati ad altezza uomo. Ma sta succedendo cosa?
E dentro semmai è peggio, il fumo nero sale sempre più denso, in curva Sud non si può più stare perchè non si riesce a respirare e la gente scende di corsa, all’impazzata, si butta giù scavalcando le transenne di vetro e poi il fossato, cercando la salvezza in campo mentre i giocatori tornano di corsa negli spogliatoi, sconvolti. Scene di disperazione come all’Heysel, una marea umana che viene giù. Gente che cade e si rialza. Geniale l’idea di aprire persino il passaggio degli spogliatoi. Ci sono anche gli uomini della Digos che corrono e mentre corrono si mettono le maschere antigas. Vanno avanti verso il fuoco e spariscono dentro il fumo.
Ma chi cerca di uscire non ce la fa, fuori è peggio, persino peggio. Si rischia di finire in mezzo alla guerriglia e allora si ritorna su, scale fatte quattro a quattro senza capire e senza riflettere, nel panico più assoluto, nell’angoscia della disperazione che prende sempre in queste occasioni. Ecco. Papà che corrono con i bambini in braccio, disperati. Mamme stravolte. Anziani. Gente che pensava di assistere giusto a un derby, a ventidue persone in mutande che corrono dietro a un pallone. La gente torna su e si trova a metà strada tra feriti, contusi, svenuti; altri che chiedono aiuto. Ci sono poliziotti sanguinanti stesi sulla pista in tartan dell’Olimpico. Arrivano ambulanze in campo, due, tre, dieci. E dal fumo non si vede più nulla. Barelle. Flebo. Un polizotto addirittura intubato. Ossigeno per chi fa fatica a respirare.
Arrivano gli appelli via altoparlante. Prima i due presidenti che cominciano il discorso con un incredibile: «Buonasera». Poi i capitani, prima Mihajlovic e poi Totti: «State tranquilli, non è successo nulla, è tutto sotto controllo. Appena potete andate a casa. State sereni». Sereni? E come? Le linee dei telefonini sono in tilt, non si riesce a chiamare casa, in tribuna c’è gente disperata che ti chiede di fare una telefonata dalla tua linea fissa, gli leggi il panico negli occhi, «solo un attimo, la prego, devo dire a mia moglie che sto bene». I riflettori dello stadio restano accesi ma le luci diventano sempre più spettrali e in mezzo ci sono le divise blu dei carabinieri, quelle verdi della polizia, quelle rosse degli infermieri, quelle gialle dei pompieri.
Alle undici, fuori brucia ancora tutto. Tanto. Immagini ancora choc. Molti sono scappati, ma migliaia di persone sono ancora dentro lo stadio, di uscire non se ne parla, dentro almeno sono al sicuro. Adesso non prendono più nemmeno i telefoni fissi e il panico è generale. La Monte Mario è ancora mezza piena, fuori altri colpi, altri botti, la sfida finale è davanti all’obelisco, davanti al palazzo del Coni, al Foro Italico. Ma ora ci sono più carabinieri e poliziotti che tifosi. Gli idranti spazzano. Ma le sirene stanno a testimoniare che dopo un’ora di guerra, la guerra ancora non è finita.
Il tempo è sbriciolato, ma non passa. Vetri rotti dappertutto, persino quelli delle ambulanze. E quando il fumo finalmente si alza, restano a lampeggiare i fari blu della polizia. Ancora non ci si può credere. Ancora non sappiamo tutto. I televisori a circuito chiuso trasmettono immagini assurde. I feriti vengono portati via da ambulanze ammaccate. Tutto in una notte. E quando è davvero notte torna finalmente la calma. Solo rovine fumanti a ricordare quello che è accaduto.




IL MANIFESTO

                                Postumi di un'incredibile Lazio-Roma, digos e tifo si accusano delle violenze. Arrestati all'alba di ieri i tre
                                tifosi che erano entrati in campo per convincere Totti a non giocare, si aggiungono ai quindici arrestati
                                durante gli incidenti. Episodio di follia collettiva o piano preordinato nelle curve? Le accuse formali si
                                riducono ma resta il giallo.

                      Il derby della follia è continuato anche di lunedì ma con altre squadre. Invece di Lazio e Roma sono scese in campo la questura e la
                      Digos della capitale: devono vedersela con gli ultrà delle due curve, sospettati addirittura di un complotto che ha fatto saltare la
                      partita di domenica sera. Secondo il prefetto Serra e il questore Cavaliere, entrambi all'Olimpico, laziali e romanisti si sarebbero
                      accordati per diffondere la falsa notizia del ragazzino ucciso dalla polizia. Ma proprio le forze dell'ordine sono accusate di aver
                      provocato il caos: sulle radio private romane i tifosi, soprattutto romanisti, raccontano delle cariche prima della partita e nel primo
                      tempo sotto la curva sud, dei blindati della guardia di finanza lanciati in mezzo alla gente nel piazzale tra la curva e la tribuna
                      Tevere, dei lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo o a casaccio sugli spalti, delle manganellate a donne e anziani... E' successo
                      anche sotto gli occhi di chi scrive: sul lungotevere, quando ormai era tutto finito, un celerino ha sfondato i vetri di una macchina per
                      reagire a un insulto, gli occupanti dell'auto sono stati malmenati (compresa una ragazza) e con loro un operatore tv. E allora si
                      capisce che allo stadio Olimpico l'abbiamo scampata bella, che il morto poteva scapparci per davvero, altro che psicologia delle folle.
                      Anche perché la polizia, oltre a lamentare 153 feriti refertati (soprattutto contusi ma anche qualche frattura e ferite da taglio), ha le
                      sue buone ragioni nel denunciare le aggressioni, le coltellate e le bombe carta imbottite di bulloni e lanciate sui reparti. E se è vero
                      che il deflusso è stato assicurato, limitando i danni, la prolungata chiusura dei cancelli ha scatenato rabbia. La gente si sentiva in
                      trappola. All'alba di ieri mattina la Digos è andata a prelevare i tre ultrà giallorossi che in diretta tv, all'inizio del secondo tempo,
                      eranp scesi in campo ad avvertire Totti e compagni, invitandoli a non giocare. A uno di loro è stato contestato, in base alle riprese
                      televisive acquisite dalla polizia, di aver detto di aver parlato personalmente con la madre del giovane rimasto ucciso. E a tutti di
                      aver insistito nonostante le smentite del prefetto, del questore e degli altoparlanti dello stadio, spingendo Totti a convincere gli
                      altri calciatori. E le minacce? Erano consapevoli della falsità della notizia? E i laziali, dall'altra parte, cosa ne sapevano? Le certezze
                      della prima ora, che quando si tratta di ultrà sono facili, si sbriciolano.

                      Le accuse infatti sono piuttosto blande, invasione di campo (violazione della legge sulla violenza negli stadi, articolo 6) e violenza
                      privata. Non c'è minaccia, non c'è procurato allarme: ipotesi di reato coerenti con i ragionamenti fatti a caldo da questore e
                      prefetto. Rischiano di più alcuni dei quindici arrestati durante gli incidenti. I tre sono stati portati in questura senza avvocato,
                      formalmente arrestati in flagranza perché per tutta la notte la Digos aveva lavorato, e ascoltati solo «informalmente». Hanno tra i
                      27 e i 34 anni, non sono veri e propri capi ultrà. Stefano Sordini e Roberto Maria Morelli appartengono agli Asroma ultras, il gruppo
                      forse più forte numericamente, Stefano Carriero ai Tradizione e distinzione Roma, il più esplicito nelle simbologie d'estrema destra
                      fino ai cappellini inneggianti alla brigata nazista Charlemagne. Nessuno avrebbe precedenti da stadio, Carriero è stato segnalato
                      per la partecipazione a iniziative di estrema destra, caratteristica assai diffusa nella curva romanista quanto tra i laziali degli
                      Irriducibili e della Banda noantri. Non a caso c'era anche questo ragionamento «politico» dietro l'idea del complotto. E del resto,
                      negli ultimi anni, ultrà delle due sponde si davano appuntamento al derby per attaccare insieme la polizia.

                      Domenica sera non è andata così, se non dopo la sospensione della partita e comunque in misura marginale, perché ai laziali della
                      curva nord è stato impedito per diverse ore di uscire dallo stadio (come in quasi tutti i settori). Gli scontri però ci sono stati anche
                      prima della partita, fin dalle 18 nella zona della curva romanista. E sono proseguiti all'interno, nel piazzale tra il cancello della curva
                      e la rampa che porta agli spalti, riprendendo vigore alla fine del primo tempo. «La partita doveva essere sospesa già allora -
                      protestano molti tifosi romanisti che erano in sud - anche se non si fosse diffusa la notizia del morto». Ma quella notizia aveva già
                      fatto il giro dello stadio, forse davvero perché un bambino aveva avuto un malore sotto la sud ed era stato portato via. Senz'altro
                      c'era il clima adatto, specie tra i romanisti. Solo una settimana fa la Roma aveva dovuto giocare a Villareal a poche ore dalle stragi
                      sui treni: per l'ennesima volta il calcio non si era fermato di fronte ai morti, quelli veri.



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