"Noi vecchi ultras nella riserva del calcio"
"Ormai anche per i tifosi contano solo gli affari"

Entrare nella testa di un ultras. Cosa difficile da fare: primo perché gli ultimi episodi di violenza (lancio del motorino dagli spalti di SanSiro compreso) sembrano fatti apposta per dare ragione a chi ripete che gli ultras non hanno una testa, secondo perchè quello delle curve è un mondo con proprie regole e codici difficili da decifrare dall'esterno.
Ma chi sono gli ultras? "Siamo il vicino di casa, il compagno di banco, il ragazzo di periferia, la testa calda e il bravo ragazzo, il razzista e il comunista" ci dice un tifoso laziale con alle spalle anni di militanza curvaiola. E allora forse vale la pena di partire da qui.
Da chi sono gli ultras del 2000. E c'è un solo modo per farlo: parlare con due loro. Con Gabriele degli Asr Ultras della Roma e con Marco della Fossa dei Leoni del Milan per esempio. Entrambi ripetono parole come "valori e regole", entrambi ricordano come andare allo stadio oggi sia diventata una moda.
E allora capisci che la crisi degli ultras è cominciata nel momento della loro massima crescita. "Oggi trovi ragazzini che spaccano vetrine senza un motivo, che se gli dici di darti una mano a riavvolgere uno striscione alzano le spalle e spariscono", è la spiegazione fatta da chi di striscioni ne ha avvolti parecchi. Forse bisogna partire da qui per capire gli ultras di oggi, da chi, come Marco spiega:
"Il movimento è cresciuto di numero e di conseguenza ha perso in purezza". O da chi ti spiega che "nelle curve, soprattutto in quelle delle grandi città ci sono troppi cani sciolti, ragazzi che non appartengono a nessun gruppo, difficili da controllare".
Eppure c'è chi sostiene che più che cambiare gli ultras sia cambiato il calcio. Un mondo all'insegna dei miliardi, della televisione a pagamento, degli stadi che si svuotano, dei biglietti che costano sempre di più. "Quest'anno la Roma è prima in classifica e in trasferta viene tantissima gente - dice Gabriele - ma se le cose non vanno bene, in tanti si piazzano davanti alla pay tv e rinunciano alla
trasferta. E a seguire la squadra resta solo "lo zoccolo duro" della curva. Quello per cui la fede per la squadra e lo spirito di appartenenza al gruppo ultras si fondono in un tutt'uno".
Il calcio che cambia dunque, ma non solo. Ci sono anche gli interessi economici sempre in rialzo. Gli Irriducibli, gruppo portante della Lazio, gestiscono un decina di negozi sparsi in tutta la regione. Dentro trovi di tutto: dalle sciarpe del gruppo, ai caschi con l'insegna di Mr Enrich, il simbolo degli Irriducibili. "Ovvio che davanti a tanti soldi che girano ci sono gruppi influenzati e influenzabili" ragiona Marco. "Vendono pure le racchette da ping pong: che c'entra con gli ultras?" aggiunge Gabriele. E quello dei laziali non è un caso isolato. Altri gruppi hanno trasformato le curve in una fonte di reddito a sei cifre. In altre invece è entrata la politica, per lo più quella all'insegna di celtiche e slogan razzisti.
Poi c'è il capitolo violenza. Quello più difficile da affrontare se parli con gli ultras. Lo scontro fisico "solo tra ultras però" è parte del Dna dei gruppi. Inutile negarlo e infatti nessuno lo nega. Semmai, come puntualizza Marco, si preferisce ricordare come "ci fosse più violenza in passato che adesso, solo che ora giornali e televisioni ne parlano di più e l'allarme sociale cresce". "Eppoi oggi i servizi
d'ordine impediscono contatti tra gruppi - commenta Gabriele - lo scontro è raro". E allora ecco proliferare agguati vigliacchi in dieci contro uno e vetrine spaccate.
Nonostante le divisioni il movimento ultras però all'inizio del nuovo millennio ha trovato un fronte comune. Una sorta di alleanza che lega le curve italiane in nome di un "nemico" comune: le forze dell'ordine. "Anzi del disordine", puntualizza Gabriele. Gli uomini in divisa, mai come in passato, sembrano essere diventati il bersaglio numero 1 degli ultras. Il ferimento di un tifoso giallorosso per cui gli ultras mettono sotto accusa la mano pesante della polizia, è stato ricordato con striscioni di solidarietà e di accuse alla polizia in quasi tutte le curve italiane. "E non è l'unico episodio, ogni domenica siamo costretti a subire ogni tipo di provocazioni, alla fine è chiaro che  la gente reagisce, e spesso non sono gli ultras ma i padri di famiglia" commenta Gabriele. Aggiunge Marco: "Cresce la repressione
indiscriminata ed è chiaro che non potendo colpire la legge colpiamo il braccio che è chiamato ad applicarla".
Così ragionano gli ultras del 2000. Stretti tra un calcio che cambia e che non li vuole, tra le loro contraddizioni, tra chi usa quello che una volta era solo un territorio dedicato al calcio per altri scopi, dal business alla politica.

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