
 
        
        DOSSIER
ULTRAS
              "LA REPUBBLICA" ON LINE
        
        (maggio
              2001)
        
        Le
                curve vanno sempre più a destra e sono ingovernabili
        
        Politica
                e sport invocano la mano dura. Ma non basta
        
        Calcio,
                razzismo e violenza
        
        ecco
                i nuovi nemici
di MASSIMO VINCENZI
IL GUAIO con il calcio e la violenza è trovare l'inizio e capire dove sarà la fine. In mezzo le fotografie non mancano, la storia la fanno loro. C'è una curva - quella della Lazio - che da Arkan in poi (ma non è certo la prima puntata) si spinge sempre più a destra, imbevendosi di razzismo e xenofobia. C'è un giocatore - Zago della Roma - che viene aggredito fuori da un ristorante, preso a calci e pugni. C'è la moglie di un capo tifoso - sponda laziale, gruppo Irriducibili - che viene quasi violentata forse proprio per vendicare il pestaggio al difensore giallorosso. C'è persino un motorino che vola giù da una curva, come se fosse un mobile vecchio a Capodanno. Ci sono spalmati lungo il campionato scontri tra ultras, e soprattutto tra ultras e polizia.
C'è un potere - quello politico - che prova a reagire con un piano più severo, che va dalla squalifica del campo (la società di Cragnotti è la prima a farne le spese) a pene detentive più dure. C'è l'altro potere - quello sportivo - che non sa bene cosa fare, ondivago tra la voglia di pulizia (in tempi di tv e affari, i tifosi violenti sono un pessimo spot) e la paura di essere comunque ricattato.
Questo è il corpo della storia: tante istantanee sparse sul tavolo, che mostrano un pallone agonizzante, per altro già malandato a colpi di doping, passaporti come al Monopoli e regole, come da bambini in cortile, che cambiano a seconda delle comodità. La storia però comincia prima e corre lungo due strade diverse che poi si incrociano.
E' dalla seconda metà degli anni Novanta che il movimento ultras inizia a subire l'infiltrazione massiccia dell'estrema destra, già iniziata un decennio prima. Colorate di nero, le curve italiane lo sono da molto (non da sempre), ma è in quel periodo che alcune formazioni politiche, come Forza Nuova vedono dentro gli stadi il terreno ideale dove raccogliere proseliti. Gli striscioni razzisti aumentano, le celtiche proliferano e i pochi supporter di sinistra o neutrali vengono emarginati con le buone o con le cattive (come nella Sud giallorossa).
Nello stesso periodo, ed è la seconda strada, le curve accelerano il processo di disgregazione: i gruppi aumentano e spesso sono in conflitto tra loro. Anche all'interno di una stessa fazione i capi storici fanno sempre più fatica a controllare i loro iscritti. Paradossalmente sono le forze dell'ordine a contribuire all'ingovernabilità, con le diffide che colpiscono i generali più esposti, lasciando i soldati allo sbando, preda delle spinte più oltranziste. In più, a complicare tutto, arrivano le nuove generazioni. Sono giovanissimi, non rispettano neppure il codice ultras, hanno solo voglia di picchiare e criticano i vecchi boss giudicandoli troppo "impegnati a fare affari".
Non a caso, per l'aggressione alla moglie del leader degli Irriducibili, si parla di "cani sciolti", lo dicono i tifosi biancazzurri e lo ripetono pure gli investigatori. Ora sono loro il nocciolo del problema. Loro e chi li usa, per i propri scopi politici di propaganda. Sono loro a riportare negli stadi i coltelli: trovati nel derby romano. "Lame" che erano state bandite dagli stessi tifosi dopo la morte di Vincenzo Claudio Spagnolo a Genova.
Succede così che dentro un'indagine sul traffico d'armi e di droga a Roma, la Digos e il Sisde si imbattano in alcuni ultras della Lazio, tra cui un capo degli Irriducibili. Non vale l'equazione tifosi=criminali, ma è la conferma che nel sottobosco dove confinano estremismo politico, delinquenza comune e violenza da stadio qualcosa si sta muovendo di nuovo, come alla fine degli anni Settanta. E non è un bel movimento.
Va in questa direzione anche la vigilanza del Viminale verso quel gruppo di tifosi, che si sta organizzando per seguire la Nazionale. Anche qui c'è una facciata presentabile (i Viking Italia), che pur con una tendenza di destra si riallaccia alla vecchia tradizione ultras. E c'è un retrobottega molto meno presentabile con i "duri e puri" di alcune tra le curve più "cattive" (Verona, Lazio, Triestina, Padova) che approfitterebbero della visibilità azzurra per avvelenare ancora di più il clima.
Le società si muovono lentamente: fanno appelli contro il razzismo, cercano di tagliare i ponti (in passato invece coltivati) con i violenti, a cui comunque avere rapporti non interessa quasi più.
Il potere politico invece sceglie la strada della mano pesante: tolleranza zero è la nuova parola d'ordine. Dentro gli stadi la repressione è sempre più dura e la tensione tra ultras e polizia cresce oltre i livelli di guardia: per tutti valgono gli scontri prima di Roma-Liverpool sotto la Sud all'Olimpico, risposta ai tafferugli di Bologna, dove la polizia venne accusata di "violenza immotivata" e di aver provocato il ferimento grave di un tifoso giallorosso, finito in coma.
Il ministro Enzo Bianco poi ottiene dalla Federcalcio, con la normativa Petrucci, l'applicazione delle norme che prevedono squalifiche del campo non solo se ci sono incidenti, ma anche per i buu o per gli striscioni razzisti.
Tutti, società e politici, invocano il modello inglese, dimenticando però che gli hooligans sono stati sconfitti con un'efficace strategia di intelligence (sono stati individuati gli estremisti politici e decapitate le organizzazioni) e con una trasformazione radicale degli stadi.
I famosi impianti privati, dove tutti i posti sono numerati, dove le società si prendono finalmente la responsabilità (vera non oggettiva) dei propri supporter. Dove tutti sanno tutto di tutti, e nessuno si gira più dall'altra parte: a Manchester o a Londra se un tifoso urla un insulto (per non parlare di un lancio di oggetti) viene subito identificato o fermato dai suoi stessi vicini di posto. "Una rivoluzione culturale, non solo poliziesca": dicono gli esperti inglesi. La rivoluzione culturale di cui ha bisogno il nostro pallone per rompere l'assedio, per non sgonfiarsi completamente.
LA REPUBBLICA ON
          LINE
      
      22 maggio 2001
      
    
Il
                sociologo Antonio Smargiasse spiega il fenomento ultras
        
        "La
                violenza è diminuita, ma tornano segnali preoccupanti"
        
        "Così
                l'estrema destra si è presa gli stadi"
ANTONIO Smargiasse fa il sociologo, scrive di calcio (e non solo) e da anni studia il fenomeno ultras. Dalle origini, negli anni Settanta, a oggi, il suo è un tentativo di raccontare, con obbiettività, quello che accade dentro gli stadi italiani. Con una certezza: "Nessuna criminalizzazione, ma non è un movimento positivo".
Chi sono gli
          ultras?
      
      "Il movimento
          inizia
          ad apparire negli anni Settanta su imitazione di quanto
          avveniva già
          in Inghilterra. La prima connotazione è l'età, sono giovani
          attorno ai vent'anni. Poi c'è il dato geografico, con le
          grandi
          città a tenere a battesimo il nuovo fenomeno: Torino, Roma,
          Milano
          e così via. La fascia sociale è quella giovanile-urbana,
          con un tratto meno colto, più marginale rispetto a chi in
          quegli
          anni frequenta le piazze, cioé gli studenti. Questi tratti
          restano
          intatti, anche se oggi la fascia anagrafica si è allargata e
          in
          più ora sono coinvolte in pratica tutte le città".
    
Violenza e
          ultras,
          secondo lei la situazione è peggiorata?
      
      "Sotto il profilo
          quantitativo assolutamente no. Nei 25 anni di storia del
          movimento gli
          episodi sono certamente diminuiti. Lo dicono i numeri. Molto
          ha influito
          la repressione dello stato, che è diventata più efficace.
          Ci sono però segnali preoccupanti come la ricomparsa dei
          coltelli,
          che erano stati banditi dopo l'assassinio di Spagnolo a
          Genova".
    
Politica e
          ultras,
          è un altro aspetto importante del movimento. Che rapporto c'è
          tra idelogia e tifo?
      
      "Ci sono due
          fattori
          da considerare. I giovani che si trovano in piazza sono gli
          stessi che
          si organizzano negli stadi. Nella prima fase l'ideologia
          dominante è
          quella di sinistra, con poche eccezioni, come quella della
          curva laziale.
          All'Olimpico, nella Sud dove allora c'erano i tifosi
          biancazzurri, il primo
          striscione portava scritto 'Folgore', tanto per capirci. Poi
          c'è
          la seconda fase ed è quella di un intervento soggettivo,
          mirato,
          dall'esterno per orientare politicamente la curva. Ed è qui
          che
          entra in gioco la destra".
    
In che modo?
      
      "Negli anni
          Settanta
          la destra è in difficoltà dentro le scuole, nelle strade,
          e trova negli stadi un'occasione unica di far proseliti. In
          più
          lo spirito ultras con la sua cultura dell'appartenenza, della
          rivalità,
          della violenza anche, è sicuramente più assimilabile agli
          ideali della destra. Ed è così che la sinistra perde sempre
          più terreno all'interno del movimento, consegnando questa
          fetta
          di giovani all'altra parte politica. E il razzismo che dilaga
          adesso ne
          è la conferma".
    
Violenza,
          politica,
          razzismo appunto: molti puntano l'indice contro le società
          accusandole
          anche di una sorta di complicità con questi tifosi. E'
          d'accordo?
      
      "Su questo tema
          andrei
          molto cauto. Con la logica degli affari, che oggi domina nel
          calcio, non
          vedo come i dirigenti moderni possano vedere di buon occhio
          queste frange
          violente. Anche l'orientamento politico ormai è diverso,
          perché
          è vero che la maggior parte dei presidente sono più vicini
          al centrodestra che al centrosinistra, ma è altrettanto vero
          che
          è un centrodestra di governo. Mentre, in quest'ultimo periodo,
          dentro
          le curve fanno proseliti formazioni di estrema destra, come
          Forza Nuova,
          che è antagonista a tutto: anche ai presidenti".
    
Riesce a vedere
          un
          lato positivo del fenomeno ultras?
      
      "La capacità
          di stare assieme, di organizzare uno spazio, la spinta
          vitalistica contro
          l'apatia della tv: questi sono sicuramente dei pregi. Però io
          resto
          molto critico verso questo fenomeno, perché non mi sembra un
          gran
          passo avanti verso la civiltà la creazione di un luogo dove si
          considerano
          nemici tutti quelli diversi da sé. Le caratteristiche cui
          accennavo
          prima - appartenenza, violenza - segnano in maniera negativa
          gli ultras".
    
Lei prima
          accennava
          a segnali preoccupanti. Come si ferma la violenza negli stadi?
      
      "Lo stato deve
          fare
          la sua parte assicurando prevenzione e repressione. Poi
          bisogna fare un
          grande sforzo per riportare le famiglie dentro gli stadi.
          Serve una rivoluzione
          culturale". (m.v.)
    
La Repubblica on
          line
      
      22 maggio 2001
      
       
    
A Genova nel '90
          la
          prima squadra speciale per gli stadi
      
      Ecco come si
          combatte
          la violenza. Con successo
      
      "La repressione
          non
          basta
      
      serve anche la
          prevenzione"
      
      Ma c'è una
          nuova generazione di ultrà che non segue più nessuna regola
      
       
    
SPARTACO Mortola è dirigente della Digos a Genova, la città dove - per la prima volta - la polizia creò, ormai dieci anni fa, una squadra speciale, con l'incarico di operare negli stadi. Da quell'esperienza parte il suo racconto dall'altra parte della barricata, con qualche preoccupazione e un pizzico di ottimismo.
Come nacque
          l'idea?
      
      "Era il 1990,
          alla
          vigilia dei Mondiali italiani. Un anno prima, a Genova, c'era
          stato uno
          scontro violento, lontano dallo stadio, tra tifosi della Samp
          e del Genoa.
          Fu l'occasione per una presa di coscienza generale e per
          iniziare ad affrontare
          il problema sotto una luce diversa. Fu creata una squadra
          speciale con
          il compito di allacciare rapporti con gli ultras, di seguirli
          in trasferta.
          Un lavoro di intelligence, prima ancora che di repressione".
    
Come si combatte
          la
          violenza negli stadi?
      
      "L'aspetto
          fondamentale
          è capire che non è solo un problema della polizia: tutte
          le componenti del mondo del calcio devono fare la loro parte.
          Alla base
          di tutto deve esserci una politica culturale per incentivare
          sempre di
          più la parte sana del tifo. Una politica che deve essere
          portata
          avanti dalle scuole, dalle società, dai giocatori. Poi - per
          quanto
          riguarda noi poliziotti - c'è una fase importantissima che è
          quella della prevenzione. Per fare questo la conoscenza dei
          tifosi è
          decisiva. Bisogna parlare con loro, senza però mostrarsi mai
          deboli:
          i patti da noi a Genova sono chiari, appena qualcuno sgarra,
          la repressione
          è immediata ed efficace. Ma senza la prima parte del lavoro,
          la
          sola repressione non serve".
    
La violenza
          aumenta
          o diminuisce?
      
      "Le statistiche
          dicono
          che diminuisce, anche se i singoli episodi possono sempre
          accadere. L'allarme
          ora è per il razzismo, ed in questo caso che la necessità
          di una politica culturale è evidente. Bisogna riconoscere che
          comunque
          abbiamo fatto molto in questi anni: le strutture sono più
          adeguate,
          le tifoserie più calde sono controllate. Non parlerei
          d'allarme
          anche se qualche segnale preoccupante si intravede".
    
Quale?
      
      "In molte curve
          sta
          venendo fuori una nuova generazione di ultras, che non segue
          più
          gli schemi di quella precedente. Inoltre le curve sono sempre
          più
          frammentarie e al loro interno convivono gruppi diversi per
          struttura e
          anche per ideologia. Sono situazioni pericolose, perché più
          difficili da gestire. Ed è su questo fronte che ora si
          concentra
          la nostra attenzione". (m.v.)
    
La Repubblica on
          line
      
      22 maggio 2001
      
    
Due
                leader delle curve della Roma e del Milan raccontano
        
        "Adesso
                ci sono troppi cani sciolti, addio regole"
        
        “Noi
                vecchi ultras nella riserva del calcio"
        
        "Ormai
                anche per i tifosi contano solo gli affari"
di MATTEO TONELLI
ENTRARE nella testa di un ultras. Cosa difficile da fare: primo perché gli ultimi episodi di violenza (lancio del motorino dagli spalti di San Siro compreso) sembrano fatti apposta per dare ragione a chi ripete che gli ultras non hanno una testa, secondo perchè quello delle curve è un mondo con proprie regole e codici difficili da decifrare dall'esterno.
Ma chi sono gli ultras? "Siamo il vicino di casa, il compagno di banco, il ragazzo di periferia, la testa calda e il bravo ragazzo, il razzista e il comunista" ci dice un tifoso laziale con alle spalle anni di militanza curvaiola. E allora forse vale la pena di partire da qui. Da chi sono gli ultras del 2000. E c'è un solo modo per farlo: parlare con due loro. Con Gabriele degli Asr Ultras della Roma e con Marco della Fossa dei Leoni del Milan per esempio. Entrambi ripetono parole come "valori e regole", entrambi ricordano come andare allo stadio oggi sia diventata una moda.
E allora capisci che la crisi degli ultras è cominciata nel momento della loro massima crescita. "Oggi trovi ragazzini che spaccano vetrine senza un motivo, che se gli dici di darti una mano a riavvolgere uno striscione alzano le spalle e spariscono", è la spiegazione fatta da chi di striscioni ne ha avvolti parecchi. Forse bisogna partire da qui per capire gli ultras di oggi, da chi, come Marco spiega: "Il movimento è cresciuto di numero e di conseguenza ha perso in purezza". O da chi ti spiega che "nelle curve, soprattutto in quelle delle grandi città ci sono troppi cani sciolti, ragazzi che non appartengono a nessun gruppo, difficili da controllare".
Eppure c'è chi sostiene che più che cambiare gli ultras sia cambiato il calcio. Un mondo all'insegna dei miliardi, della televisione a pagamento, degli stadi che si svuotano, dei biglietti che costano sempre di più. "Quest'anno la Roma è prima in classifica e in trasferta viene tantissima gente - dice Gabriele - ma se le cose non vanno bene, in tanti si piazzano davanti alla pay tv e rinunciano alla trasferta. E a seguire la squadra resta solo "lo zoccolo duro" della curva. Quello per cui la fede per la squadra e lo spirito di appartenenza al gruppo ultras si fondono in un tutt'uno".
Il calcio che
          cambia
          dunque, ma non solo. Ci sono anche gli interessi economici
          sempre in rialzo.
          Gli Irriducibli, gruppo portante della Lazio, gestiscono un
          decina di negozi
          sparsi in tutta la regione.
      
      Dentro trovi di
          tutto:
          dalle sciarpe del gruppo, ai caschi con l'insegna di Mr
          Enrich, il simbolo
          degli Irriducibili. "Ovvio che davanti a tanti soldi che
          girano ci sono
          gruppi influenzati e influenzabili" ragiona Marco. "Vendono
          pure le racchette
          da ping pong: che c'entra con gli ultras?" aggiunge Gabriele.
          E quello
          dei laziali non è un caso isolato. Altri gruppi hanno
          trasformato
          le curve in una fonte di reddito a sei cifre. In altre invece
          è
          entrata la politica, per lo più quella all'insegna di celtiche
          e
          slogan razzisti.
    
Poi c'è il capitolo violenza. Quello più difficile da affrontare se parli con gli ultras. Lo scontro fisico "solo tra ultras però" è parte del Dna dei gruppi. Inutile negarlo e infatti nessuno lo nega. Semmai, come puntualizza Marco, si preferisce ricordare come "ci fosse più violenza in passato che adesso, solo che ora giornali e televisioni ne parlano di più e l'allarme sociale cresce". "Eppoi oggi i servizi d'ordine impediscono contatti tra gruppi - commenta Gabriele - lo scontro è raro". E allora ecco proliferare agguati vigliacchi in dieci contro uno e vetrine spaccate.
Nonostante le divisioni il movimento ultras però all'inizio del nuovo millennio ha trovato un fronte comune. Una sorta di alleanza che lega le curve italiane in nome di un "nemico" comune: le forze dell'ordine. "Anzi del disordine", puntualizza Gabriele. Gli uomini in divisa, mai come in passato, sembrano essere diventati il bersaglio numero 1 degli ultras. Il ferimento di un tifoso giallorosso per cui gli ultras mettono sotto accusa la mano pesante della polizia, è stato ricordato con striscioni di solidarietà e di accuse alla polizia in quasi tutte le curve italiane. "E non è l'unico episodio, ogni domenica siamo costretti a subire ogni tipo di provocazioni, alla fine è chiaro che la gente reagisce, e spesso non sono gli ultras ma i padri di famiglia" commenta Gabriele. Aggiunge Marco: "Cresce la repressione indiscriminata ed è chiaro che non potendo colpire la legge colpiamo il braccio che è chiamato ad applicarla".
Così ragionano
          gli ultras del 2000. Stretti tra un calcio che cambia e che
          non li vuole,
          tra le loro contraddizioni, tra chi usa quello che una volta
          era solo un
          territorio dedicato al calcio per altri scopi, dal business
          alla politica.
      
       
    
La Repubblica on
          line
      
      22 maggio 2001
      
    
Sulla
                Rete dilagano i siti degli ultras
        
        i
                muri fanno la parte del leone: con qualche problema
        
        Su
                Internet in scena le curve virtuali
Non a caso lo schema seguito dai webmaster curvaioli è simile. Sezioni dedicate alle foto del gruppo, al racconto delle trasferte, alla vendita del materiale, ai cori della curva, alle immagine da scaricare. Una sezione poi ha fatto la sua comparsa in tutti i siti, quella dedicata alla "repressione dele forze dell'ordine". In Rete ci sono i consigli da seguire in caso di arresto o di diffida, un vero e proprio manuale dei diritti degli ultras.
Poi c'è il muro, sezione dedicata ai messaggi in cui si sfogano gli umori curvaioli. A leggerli sembra di essere in presenza di una moltitudine di sanguinari teppisti. Insulti e minacce si sprecano. Gli appuntamenti per risse anche. Il più delle volte però sono solo parole: "Chi veramente fa casino allo stadio, non perde tempo a scrivere sul muro - giura un webmaster curvaiolo - Il problema è che la polizia li legge e noi ci troviamo nei guai per le cavolate scritte da 4 ragazzini esaltati".
Non a caso ci sono gruppi che filtrano i messaggi per evitare che i muri diventino un susseguirsi di insulti e minacce.
La panoramica sui siti curvaioli potrebbe durare ore. Basta digitare la parola ultras su di un qualsiasi motore di ricerca e si apre una lista smisurata. A Roma sono due i siti principali: quello curatissimo degli Asr Ultras sulla sponda giallorossa e quello degli Irriducibili Lazio, sul versante laziale. A Milano campeggia quello della Fossa dei Leoni del Milan , mentre sul fronte interista si propongono i Boys San e gli Irriducibili. A Torino ci sono i Fighters della Juventus e i Ragazzi della Maratona del Toro, a Bologna i Forever Ultras, a Genova gli Ultras Tito della Sampdoria. A Udine troneggia il gruppo Friulani al seguito. E così via.
La lista potrebbe preseguire scendono in serie B dove troviamo i Nuclei sconvolti del Cosenza, i Freak Brothers della Ternana e giù giù fino alla C dove gli Ultras della Triestina e del Padova si lanciano tutto il loro "odio reciproco". Gli ultras del Modena invece nella sezione foto includono le immagini degli scontri con i rivali di Reggio Emilia. Carico di falci e martello e scritte in cirillico quello delle Brigate autonome del Livorno.
Ci sono poi i siti generalisti. Non riconducibili cioè ad un gruppo. Si chiamano Tifonet, ultras Inside, Mentalità ultras. Dentro si trova un collage del panorama curvaiolo italiano. Infine, per gli amanti di cronache e foto di tafferugli bisogna saltare in Inghilterra. In un sito che si chiama View from the terrace si trova la rassegna completa e aggiornata di tutti gli incidenti tra tifosi di tutta europa. (m. t.)
La Repubblica on
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      2 maggio 2001